REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente -
Dott. BANDINI Gianfranco - rel. Consigliere -
Dott. D'ANTONIO Enrica - Consigliere -
Dott. TRIA Lucia - Consigliere -
Dott. GHINOY Paola - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 15863/2013 proposto da:
INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso lo studio degli avvocati PULSONI FABIO e RAPONE RAFFAELLA, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell'avvocato VALLEBONA ANTONIO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1782/2012 della CORTE D'APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 24/12/2012 R.G.N. 233/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/03/2014 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;
udito l'Avvocato RAPONE RAFFAELLA;
udito l'Avvocato VALLEBONA ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 28.1-4.2.2010 la Corte d'Appello di Catanzaro, in riforma della decisione di primo grado, rigettò la domanda, proposta da C.R., volta a far accertare l'illegittimità del licenziamento intimatole in data 29.3.2006 dalla Intesa Sanpaolo spa, alle cui dipendenze aveva prestato attività lavorativa; avverso tale sentenza la C. propose ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
Questa Corte, con sentenza n. 2013/2012, rigettato il primo motivo, accolse i restanti, cassò la pronuncia impugnata e rinviò alla Corte d'Appello di Reggio Calabria.
Rilevò questa Corte, per ciò che qui particolarmente interessa, che la sentenza d'appello non aveva fatto corretta applicazione dei principi in tema di proporzionalità fra la sanzione irrogata e la condotta addebitata, così pervenendo "... alla conferma della legittimità di una sanzione che appare, in realtà, sperequata rispetto all'effettivo disvalore della condotta della lavoratrice ed al grado di intensità della violazione della buona fede contrattuale che la stessa richiede in relazione alla necessaria prognosi di un futuro proficuo svolgimento del rapporto di lavoro"; concluse quindi questa Corte stabilendo che doveva "... ritenersi che la sanzione irrogata appare non proporzionata al grado di responsabilità che esprimono i fatti accertati, dovendosi al riguardo ribadire che il grave inadempimento degli obblighi contrattuali che costituisce il presupposto della nozione legale di giusta causa risulta incompatibile con comportamenti del lavoratore che, per le loro concrete modalità e per il contesto di riferimento, ed in particolare per l'esistenza di una conforme prassi aziendale, nota al datore di lavoro, appaiono insuscettibili di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e di determinare la irreparabile lesione del vincolo fiduciario che ispira la relazione di lavoro"; di tal che la sentenza impugnata andava cassata in relazione alle censure accolte e la causa doveva essere rimessa ad altro giudice di pari grado, che avrebbe provveduto "in ordine alle statuizioni conseguenti all'accertata illegittimità del recesso".
Riassunto il giudizio, il Giudice del rinvio, con sentenza del 23.11- 24.12.2012, rigettò gli appelli proposti avverso le sentenze di primo grado, stabilendo che doveva tuttavia detrarsi dalla somma spettante a titolo di pagamento delle retribuzioni dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione quanto già ricevuto dalla lavoratrice in corso di causa.
A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui specificamente rileva, la Corte territoriale osservò che:
- la sentenza rescindente della Corte di Cassazione aveva dichiarato definitivamente e irrevocabilmente nel merito l'illegittimità del licenziamento intimato, demandando al Giudice del rinvio soltanto la statuizioni conseguenti all'accertata illegittimità del recesso;
- le sanzioni per tale illegittimità erano quelle previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo anteriore alla novella di cui alla L. n. 92 del 2012, in quanto la normativa sostanziale sui licenziamenti prevista da quest'ultima trova applicazione, pur in assenza di norme transitorie sul punto, per i licenziamenti intimati dopo la sua entrata in vigore e, al più, per quelli intimati prima ma comportanti, per il preavviso, la cessazione successiva del rapporto lavorativo, laddove, nel caso di specie, il licenziamento e la sua efficacia risalivano al 2006.

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale resa in sede di rinvio, l'Intesa Sanpaolo spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.
L'intimata C.R. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Motivazione

1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, nonchè vizio di motivazione, la ricorrente assume che la sentenza impugnata, senza la benchè minima argomentazione, aveva condiviso in toto le conclusioni rassegnate nella pronuncia rescindente in ordine all'illegittimità del licenziamento, con ciò rigettando altresì la domanda subordinata di derubricazione della giusta causa in giustificato motivo, pur sottolineando, ai fini della regolamentazione delle spese, l'estrema gravità della condotta della lavoratrice e il consistente danno patrimoniale arrecato alla parte datoriale; il che avrebbe dovuto condurre al riconoscimento della inevitabile improseguibilità del rapporto di lavoro.
1.1 Il suddetto motivo è manifestamente infondato, atteso che questa Corte, come inequivocabilmente risulta dal contenuto della pronuncia rescindente (nei termini già diffusamente esposti nello storico di lite), aveva già stabilito, decidendo sul punto nel merito, l'illegittimità della sanzione espulsiva irrogata, sicchè al Giudice del rinvio, come del resto espressamente demandatogli, non restava altro spazio decisionale se non quello afferente alle conseguenze dell'accertata illegittimità del recesso.

2. Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, nonchè vizio di motivazione, la ricorrente invoca l'applicabilità alla fattispecie del regime sanzionatolo introdotto dalla L. n. 92 del 2012, quale legge vigente al momento della decisione, non essendo consentito, in difetto di una specifica disposizione che lo consenta, l'applicazione di una legge soppressa;
il ridetto ius superveniens avrebbe dovuto infatti trovare applicazione nel caso di specie poichè, essendo restato inalterato il fatto generatore, veniva a disciplinare esclusivamente gli effetti di tale fatto, verificatosi sotto l'impero della vecchia legge.
2.1 La questione sollevata con il suddetto motivo è già stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, che l'ha risolta ritenendo che la L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 42, nel novellare il testo dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, non trova applicazione alle fattispecie di licenziamento oggetto dei giudizi pendenti innanzi alla Corte di Cassazione alla data della sua entrata in vigore (cfr. Cass., n. 10550/2013).
Il suddetto principio, enunciato, nel caso esaminato, con riferimento all'applicabilità dello ius superveniens nei giudizi pendenti avanti alla Corte di Cassazione, trova peraltro applicazione anche con riferimento ai giudizi pendenti (alla data di entrata in vigore della novella) nei gradi di merito ovvero, come nel caso all'esame, in sede di rinvio.
Ciò perchè, come condivisibilmente osservato nel testè ricordato precedente di legittimità, a cui va qui data continuità, con la L. n. 92 del 2012, è stata introdotta una nuova, complessa ed articolata disciplina dei licenziamenti, che ancora le sanzioni irrogabili per effetto della accertata illegittimità del recesso a vantazioni di fatto incompatibili non solo con il giudizio di legittimità, ma anche con una eventuale rimessione al giudice di merito che dovesse applicare uno dei possibili sistemi sanzionatori conseguenti alla qualificazione del fatto (giuridico) determinativo del provvedimento espulsivo; ed invero il nuovo sistema prevede distinti regimi di tutela a seconda delle ragioni comportanti l'illegittimità del licenziamento, con un'evidente incisiva ricaduta sul sistema della allegazioni e delle prove, non essendosi la novella limitata ad una modifica della sanzione irrogatale, ma avendola ricollegata ad una molteplicità di ipotesi di condotte giuridicamente rilevanti, fra loro diverse, ed alle quali, appunto, vengono connesse tutele tra loro profondamente differenti; si tratta dunque, in sostanza, di "Un sistema unico che non incide sul solo apparato sanzionatorio ma impone un approccio diverso alla qualificazione giuridica dei fatti incompatibile con una sua immediata applicazione ai processi in corso" (cfr, Cass., n. 10550/2013, cit., in motivazione).

3. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 4.100,00 (quattromilacento), di cui Euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre accessori come per legge; da atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2014


 

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