REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENTILE Mario - Presidente -
Dott. LOMBARDO Luigi G. - rel. Consigliere -
Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere -
Dott. BELTRANI Sergio - Consigliere -
Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) B.G;
2) B.G.;
3) M.A.,;
4) S.M.;
5) M.G.;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 25.6.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Dott. LOMBARDO Luigi;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Dott. RIELLO Luigi, che ha concluso per l'inammissibilità di tutti i ricorsi;
Udito il difensore Avv. IARIA Giacomo, che ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi.

Motivazione

1. Con sentenza del 4.11.2010, la Corte di Appello di Reggio Calabria confermò la pronuncia del G.U.P. del locale Tribunale, emessa in esito a giudizio abbreviato, con la quale B.G., Ba.Gi., M.A., S.M. e Ma.Ga. furono condannati alle pene di giustizia perchè giudicati responsabili dei delitti di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti nonchè di diversi episodi di cessione di sostanze stupefacenti rispettivamente loro ascritti.
Su ricorso degli imputati, la Sezione sesta di questa Corte suprema, con sentenza del 6.11.2012, annullò la sentenza di appello nei confronti dei predetti in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, perchè il fatto non sussiste, rigettando nel resto i ricorsi e rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per la rideterminazione della pena.
Con sentenza del 25.6.2013, la Corte di Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, quale giudice di rinvio, rideterminò la pena nei confronti degli imputati in ordine ai soli reati di cessione di sostanze stupefacenti loro contestati.
Avverso tale pronuncia, propongono un primo ricorso per cassazione il difensore degli imputati B.G., B.Gi., M.A. e S.M.; propone poi un secondo e separato ricorso per cassazione il difensore di M.G.

2. Il ricorso cumulativo, presentato nell'interesse di B. G., B.Gi., M.A. e S. M., contiene un'unica censura, con la quale si deduce la nullità dell'impugnata sentenza per erronea applicazione dell'art. 624 c.p.p., nonchè la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
Secondo i ricorrenti, a seguito della sentenza di questa Corte del 6.11.2012, non si sarebbe formato il giudicato sul giudizio di responsabilità degli imputati in ordine ai delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, perchè la Corte di cassazione non ha esplicitamente dichiarato, nel dispositivo, che il giudizio relativo ai delitti di cui all'art. 73, comma 5 cit. diveniva irrevocabile; conseguentemente, i reati in questione, essendo stati commessi fino all'ottobre 2005, sarebbero ormai estinti per la prescrizione maturata prima della sentenza del giudice di rinvio.

La censura è manifestamente infondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in virtù del principio del giudicato progressivo (art. 624 c.p.p.) le parti della decisione non oggetto di annullamento e non in connessione essenziale con quelle per cui è stato disposto il nuovo giudizio, acquistano, in quanto definitive, autorità di cosa giudicata (Cass., sez. un., n. 4904 del 26/03/1997 Rv. 207640); ed è irrilevante l'assenza, nel dispositivo della sentenza di annullamento, del dato meramente formale della declaratoria dell'intervenuto passaggio in giudicato della parte non annullata nonchè la temporanea ineseguibilità della decisione o l'eventuale ritardo nella sua esecuzione (cfr. Sez. 2, n. 6287 del 15/12/1999 Rv. 217857).

Il Collegio condivide questi principi, osservando che la espressa declaratoria, nel dispositivo della sentenza di cassazione parziale, delle parti della sentenza impugnata che diventano irrevocabili non è obbligatoria per la Corte di cassazione, ma è rimessa ad una sua valutazione di opportunità.
Infatti, l'art. 624 c.p.p., comma 2, prevede che la Corte di cassazione provveda a tale espressa declaratoria "quando occorra", ossia solo quando, per esigenze di chiarezza, appare opportuno enunciare espressamente nel dispositivo il passaggio in giudicato dei capi della sentenza impugnata la cui acquisita irrevocabilità possa risultare poco chiara o poco evidente.
D'altra parte, lo stesso art. 624 c.p.p., commi 2 e 3, prevede che l'eventuale omissione della declaratoria è in ogni momento riparabile dalla Corte di cassazione, tramite un'ordinanza da adottarsi de plano in camera di consiglio, d'ufficio o su richiesta del pubblico ministero o della parte privata interessata.
Alla stregua di tale disciplina, deve allora concludersi che alla declaratoria prevista dall'art. 624 c.p.p., comma 2, non può essere riconosciuta alcuna efficacia costitutiva dell'effetto della irrevocabilità dei capi della sentenza impugnata che non siano stati oggetto di annullamento e non siano in connessione essenziale con quelli annullati; al contrario, la declaratoria delle parti della sentenza impugnata divenute irrevocabili ha "efficacia meramente dichiarativa".

Ne deriva che, in occasione del successivo giudizio di legittimità introdotto mediante ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio, va riconosciuta alla Corte di cassazione, ai fini della decisione del ricorso, la possibilità di ricavare la irrevocabilità delle statuizioni della sentenza di appello non oggetto di annullamento parziale - e darne atto anche soltanto nella motivazione della sua nuova pronuncia - mediante la semplice lettura e interpretazione della propria precedente sentenza di annullamento parziale, in quanto tale potere corrisponde, nella sostanza, a quello di integrazione successiva disposta (d'ufficio o a richiesta di parte) con ordinanza ai sensi dell'art. 624 c.p.p., commi 2 e 3.
Ritiene la Corte che, ai fini della soluzione del caso sottoposto, debba affermarsi il seguente principio di diritto: la dichiarazione nel dispositivo della pronuncia di annullamento parziale della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 624 c.p.p., comma 2, delle parti della sentenza impugnata divenute irrevocabili ha efficacia meramente dichiarativa, e non costitutiva; conseguentemente, ove tale dichiarazione sia stata omessa, è comunque consentito alla stessa Corte - adita con ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio - di individuare, sulla base della lettura e dell'interpretazione della sua precedente sentenza, le parti della sentenza di appello che sono passate in cosa giudicata e di trarne le dovute conseguente nel successivo giudizio di legittimità.

Orbene, posto tale principio, può osservarsi che, nel caso di specie, questa Corte, con la sentenza del 6.11.2012, respinse tutte le censure relative ai giudizi di responsabilità pronunciati dai giudici di merito in ordine ai delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e - una volta annullata senza rinvio la sentenza impugnata quanto al reato associativo di cui all'art. 74 D.P.R. cit. - rinviò ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria solo per la rideterminazione della pena in ordine a tali delitti.
Non può dubitarsi, pertanto, che i giudizi di responsabilità relativi ai delitti di cui all'art. 73 cit., in quanto non in rapporto di connessione essenziale con quello relativo al delitto associativo, siano divenuti irrevocabili col rigetto dei motivi di ricorso per cassazione ad essi relativi.
Il giudicato formatosi sull'accertamento di tali reati e della relativa responsabilità penale impedisce la declaratoria di estinzione dei reati stessi per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d'annullamento (Cass., Sez. 2^, n. 8039 del 09/02/2010 Rv. 246806).

3. Anche il ricorso presentato nell'interesse di M.G. contiene un'unica censura. Con essa si deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 133 c.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla quantificazione della pena irrogata; si lamenta che i giudici di merito non avrebbero motivato a sufficienza e non avrebbero tenuto conto del limitato numero di episodi di cui l'imputato era chiamato a rispondere, della pochezza della condotte poste in essere e dei motivi che avevano spinto l'imputato a delinquere, elementi tutti per i quali egli avrebbe meritato il minimo della pena.

La censura è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, al giudice di merito spetta un potere discrezionale nella determinazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, che egli esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che le statuizioni relative alla determinazione della pena non sono sindacabili in sede di legittimità, salvo il caso che la motivazione sia del tutto mancante o sia contraddittoria o manifestamente illogica (Cass., sez. un., n. 10713 del 25/02/2010 Rv. 245931; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 Rv. 259142). A tal fine, non è necessario che il giudice di merito dia conto, nella motivazione della sentenza, di aver tenuto conto di tutti gli elementi fattuali che connotano la fattispecie concreta, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti ai fini dell'applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p.(Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998 Rv. 211582; Sez. 3, n. 420 del 10/11/1982 - dep. 20/01/1983 - Rv. 156961).

Avendo la Corte territoriale motivato (p. 3 della sentenza impugnata) in modo non manifestamente illogico - alla stregua dei parametri di cui all'art. 133 c.p., - in ordine all'entità della pena irrogata al Ma., la censura risulta inammissibile.
4. I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., gli imputati vanno condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè ciascuno - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Penale, il 16 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2014


 

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