REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -
Dott. D'ANTONIO Enrica - rel. Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 6310/2010 proposto da:
FRANCIS SUB S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell'avvocato ANTONINI MARIO, rappresentata e difesa dall'avvocato ANDRONICO FRANCESCO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
P.F., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato LICARI FULVIO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 123/2009 della CORTE D'APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 24/02/2009 r.g.n. 158/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2014 dal Consigliere Dott. ENRICA D'ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24/2/2009 la Corte d'appello di Caltanisetta ha confermato la sentenza del Tribunale di Nicosia con la quale il giudice aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato dalla società Francis sub a P.F., dipendente della società quale mescolatorista addetto al reparto gomma di livello G, con condanna della società all'immediata reintegra nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra.
La Corte d'appello ha esposto che il licenziamento era stato intimato all'esito della procedura di mobilità conclusasi con l'accordo del 23 settembre 2004 che disponeva la collocazione in mobilità di 14 dipendenti quale conseguenza della soppressione del reparto gomma e della relativa attività per irreversibile crisi di quel settore produttivo che rendeva ormai indifferibile tale provvedimento.
La Corte d'appello ha respinto, in primo luogo, l'eccezione sollevata dalla società appellante di nullità della sentenza del Tribunale per difetto di integrità del contraddittorio non avendo partecipato al giudizio gli altri lavoratori non licenziati portatori, secondo la società, di un concreto interesse in caso di annullamento del licenziamento per violazione dei criteri di scelta.
Secondo la Corte territoriale inoltre nella scelta dei lavoratori da licenziare era necessario considerare unitariamente gli addetti al reparto gomma, quale era il ricorrente, e quelli addetti alla reparto plastica senza distinzioni. Ha osservato infatti che la scelta dei lavoratori da licenziare poteva fare riferimento a singoli reparti interessati dalle eccedenze ma era pur sempre necessario che ciò fosse giustificato da esigenze tecnico - produttive e che invece la scelta non poteva essere limitata ad un reparto se i lavoratori interessati erano idonei, per acquisite esperienze e per pregresse e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda, ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti dovendo in tali casi la scelta dei lavoratori da porre in mobilità non essere limitata ad un solo reparto.
La Corte territoriale ha osservato che spettava al datore di lavoro l'onere di provare la ragionevolezza del suo operato dovendosi evidenziare nella specie che la declaratoria del contratto collettivo applicato non permetteva di rinvenire alcuna sostanziale differenza tra il profilo di mescolatorista del reparto gomma e quello del reparto plastica e che inoltre il ricorrente aveva anche lavorato nel reparto plastica approntando la cosiddetta "termo gomma" utilizzata nella produzione di elaborati in plastica con ciò potendosi escludere la ragionevolezza e la conformità ai principi di correttezza e buona fede nella scelta del ricorrente.
Secondo la Corte d'appello, inoltre, non risultava assolutamente provata la soppressione del reparto gomma, individuata come causale unica della procedura di licenziamento collettivo. Ha richiamato la consulenza tecnica svolta che aveva accertato l'acquisto di materie prime delle quali alcune utilizzate esclusivamente nel ciclo produttivo della gomma, nonchè un andamento positivo della produzione negli anni 2003/2004 ed, anzi, in quest'ultimo anno un incremento nei mesi da maggio novembre.
La mancanza di effettività della soppressione del reparto emergeva, secondo il giudice di merito, anche dalla lettera del 12 gennaio 2006 inviata al lavoratore contenente una proposta di assunzione a tempo determinato quale conseguenza della "recente acquisizione di alcune commesse di prodotti di gomma", nonchè dalla successiva lettera del gennaio 2007 dove si affermava che il lavoratore sarebbe stato addetto al settore "gomma e plastica" con ciò comprovando la non avvenuta soppressione del reparto.
Quanto alla misura del risarcimento del danno la Corte d'appello ha osservato che incombeva al datore di lavoro fornire la prova dell'aliunde perceptum da parte del lavoratore, prova mancante nel fattispecie.
Avverso la sentenza ricorre la società formulando cinque motivi.
Resiste il lavoratore.

Motivazione

Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione della L. n. 223 del 1991, art. 17, e dell'art. 102 c.p.c. Censura la sentenza nella parte in cui ha escluso la sussistenza del litisconsorzio necessario nè confronti dei lavoratori coinvolti dalla procedura di licenziamento collettivo. Osserva che l'art. 17 citato prevede la possibilità di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro di un numero di lavoratori pari a quello dei reintegrati senza dover esperire una nuova procedura.
La censura è infondata.
Secondo la ricorrente sussisterebbe un concreto interesse degli altri lavoratori dell'azienda, con conseguente litisconsorzio necessario, perchè l'annullamento del licenziamento comporterebbe la possibilità dell'azienda di licenziare un altro dipendente in sostituzione di quello reintegrato. Si è affermato a riguardo (cfr Cass. 29679/2011) che "il licenziamento, ancorchè collettivo o intimato con unico atto ad una pluralità di lavoratori, ha natura di negozio unilaterale recettizio volto a determinare la cessazione del rapporto di lavoro dei singoli dipendenti destinatari della comunicazione, configurandosi tanti licenziamenti quanti sono i dipendenti licenziati, con ciò realizzandosi, in caso di impugnativa giudiziale, non una fattispecie di litisconsorzio necessario, ma, tutt'al più, un'ipotesi di litisconsorzio processuale o facoltativo ex art. 103 c.p.c., caratterizzata dall'autonomia delle singole cause". La Corte d'appello si è attenuta a detti principi con conseguente rigetto del vizio denunciato.

Con il secondo motivo la società denuncia vizio di motivazione.
Censura la sentenza nella parte in cui la Corte ritiene che al fine di individuare i lavoratori da licenziare occorreva accorpare i dipendenti senza distinzione tra quelli addetti al reparto gomma e quelli alla plastica. Osserva che qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda la comparazione dei lavoratori al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità non deve necessariamente interessare l'intera azienda ma può avvenire secondo una legittima scelta dell'imprenditore ispirata ad esigenze tecnico produttive. Deduce che il profilo di mescolatorista plastica non esisteva nemmeno in azienda proprio in quanto la plastica non necessitava di mescolazione; che il ricorrente aveva lavorato solo alcune parti in gomma utilizzate per completare il prodotto in plastica e che inoltre tutti gli addetti al reparto gomma avevano un costo aziendale ben più elevato di quelli alla plastica in quanto inquadrati in un livello più alto.

Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che non vi sarebbe stata una reale soppressione del reparto gomma. Lamenta che la Corte ha oltrepassato i limiti del proprio sindacato rimettendo al suo discrezionale apprezzamento le modalità di attuazione della complessa operazione economica finanziaria posto in essere dalla società. Sottolinea l'andamento negativo del mercato determinato dall'uso sempre meno frequente nella produzione e commercializzazione di oggetti articoli sportivi ed attrezzature per subacquei in materiali plastici invece che la gomma; l'avvio da parte della società di un'operazione meramente economica minimizzando la produzione di gomma e puntando sulla plastica; che l'attuazione di tale programma necessitava di mesi per essere portato a compimento prima sospendendo la produzione, rifilando i prodotti semilavorati, smaltendo le giacenze; che non era pensabile una soppressione fisica del reparto e dei macchinari.
Osserva che la Corte aveva valorizzato elementi marginali e che, invece, esistevano numerosi elementi che provavano l'effettiva soppressione del reparto.

Il secondo ed il terzo motivo, congiuntamente esaminati in quanto strettamente connessi, sono infondati.
La ricorrente lamenta che la Corte d'appello avrebbe errato nell'affermare l'avvenuta violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare avendo ritenuto necessario considerare unitariamente gli addetti al reparto gomma e quelli addetti alla reparto plastica senza distinzioni. La società, con il primo motivo, si limita a riproporre una propria valutazione degli elementi di prova acquisiti che il giudice di merito ha, invece, disatteso con una congrua motivazione.
La Corte territoriale ha richiamato, in primo luogo, il principio affermato da questa Corte (cfr Cass. 22825/2009, n. 7752/2006) che in tema di licenziamento collettivo, il doppio richiamo operato dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, comporta che la riduzione del personale deve, in linea generale, investire l'intero ambito aziendale, potendo essere limitato a specifici rami d'azienda soltanto se caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate, infungibili rispetto alle altre. La Corte ha, altresì, precisato che non è possibile limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti ad un reparto se detti lavoratori sono idonei ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti e che la dimostrazione della ricorrenza delle specifiche professionalità o comunque delle situazioni oggettive che rendano impraticabile qualunque comparazione, costituisce onere probatorio a carico del datore di lavoro.
In applicazione di detti principi la Corte territoriale ha rilevato da un lato che il CCNL non distingue tra le figure del mescolatorista, e dall'altro che il ricorrente aveva anche lavorato nel reparto plastica approntando la ed termo gomma utilizzata nella produzione dei lavorati in plastica e, dunque, ha escluso che sussistesse la prova delle esigenze tecnico - produttive che giustificavano la limitazione dei lavoratori da licenziare tra quelli addetti al reparto gomma evidenziando in sostanza che in caso di personale tendenzialmente omogeneo per professionalità e fungibilità non è utilizzabile il criterio della posizione o reparto da sopprimere in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori licenziabili.
Le argomentazioni esposte nel ricorso in Cassazione dalla società non sono idonee ad invalidare la decisione impugnata. La soc. Francis ha ribadito che aveva diviso i dipendenti sulla base del reparto di assegnazione e delle mansioni prevalentemente disimpegnate nel tempo e che il personale eccedente era proprio quello addetto al reparto gomma il quale, inoltre, aveva un costo ben più elevato. Tali affermazioni, tuttavia, non valgono a costituire la prova rigorosa che la scelta del personale da licenziare sia stata adottata in considerazione della specificità delle professionalità e di impossibilità di qualsiasi fungibilità. Per stessa ammissione della società la scelta sembra, invece, motivata dal maggior costo del personale addetto al reparto gomma inquadrato in un livello più elevato rispetto a quello addetto al reparto plastica.

Quanto alle censure formulate nel terzo motivo circa la soppressione del reparto gomma deve rilevarsi che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. n 6288/2011).
Nella specie la Corte territoriale, senza esorbitare dai limiti del proprio sindacato, ha escluso l'effettività della chiusura del reparto gomma elencando gli elementi probatori in base ai quali è pervenuta a tale decisione. La decisione della Corte è congruamente motivata e, pertanto, anche il terzo motivo deve essere rigettato.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 18 Stat. Lav. e 2697 CC. Censura la sentenza nella parte in cui la Corte ha respinto l'eccezione di aliunde perceptum sotto il profilo della carenza di prova ritenendo che l'onere probatorio gravasse sul datore di lavoro. Osserva che l'art. 18 citato quantifica un risarcimento di danno presunto nella misura minima di cinque mensilità e che oltre tale misura il lavoratore era tenuto a dimostrare di non aver trovato altra occupazione dopo il licenziamento, non potendo gravare tale prova sul datore di lavoro che non può avere conoscenza di tali fatti se non dallo stesso lavoratore.

Anche tale motivo è infondato.
Va rilevato che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 21919/2010, n. 5676/2012) l'eccezione con la quale il datore di lavoro deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione, ovvero deduca la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l'aggravamento del danno, non è oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte.
Pertanto, allorquando vi sia stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trame d'ufficio (anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l'acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte) tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato (Cass. sez. unite 3 febbraio 1998 n. 1099). E' stato, tuttavia, anche precisato che, ai fini della sottrazione dell'aliunde perceptum dalle retribuzioni dovute al lavoratore ingiustamente licenziato è necessario che risulti la prova, da qualsiasi parte provenga, non solo del fatto che il lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo una nuova occupazione, ma anche di quanto percepito essendo questo il fatto che riduce l'entità del danno presunto (Cass. 5 aprile 2004 n. 6668). In ogni caso, spetta al datore di lavoro il relativo onere probatorio, quantomeno in punto di negligenza del lavoratore nel cercare altra proficua occupazione. Nel caso di specie la società ricorrente non ha assolto a tale onere probatorio, essendosi limitata a dedurre nel giudizio di merito la mera possibilità che il lavoratore avesse espletato attività lavorativa retribuita da terzi.
Le conclusioni della decisione impugnata devono pertanto essere accolte non potendo ritenersi inficiate dalle deduzioni svolte dalla società, in quanto tali deduzioni non presentano, in sostanza, argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi nelle numerose pronunce rese da questa Corte su detta questione.

Con il quinto motivo la società denuncia violazione dell'art. 18 stat. Lav., degli artt. 1223, 1225 e 1227 c.c.. Rileva che il ricorrente aveva avuto concreta possibilità di lavorare atteso che la società gli aveva proposto con lettera del 24/1/2006 un contratto a termine con decorrenza da febbraio a giugno 2006, offerta rifiutata. Censura, pertanto, la sentenza che l'aveva condannata a pagare tutte le retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra.
Nella sentenza impugnata non vi è cenno alla questione sollevata con detto motivo. La ricorrente ha denunciato, vizi che assume riconducibili all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, ma ha, poi, formulato un quesito adeguato soltanto alla violazione degli artt. 1225 e 1227 c.c., omettendo qualsiasi riferimento all'art. 112 c.p.c., nè deducendo il relativo "error in procedendo" in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4.
La censura, pertanto, non appare pertinente. Pur non essendo indispensabile che il ricorrente faccia esplicito riferimento alla fattispecie di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4, con riguardo all'art. 112 c.p.c., è necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione.
Nella specie, tuttavia, pur avendo la società richiamato l'art. 360 c.p.c., n. 4, ha formulato un quesito, essendo applicabile "ratione temporis" l'art. 366 bis c.p.c., adeguato al vizio di cui al n. 3, limitandosi ad argomentare sulla violazione di legge.
Il motivo è, pertanto, inammissibile. Per le ragioni che precedono il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente soccombente a pagare le spese del presente giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del presente giudizio al resistente liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2014


 

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