REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - rel. Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -
Dott. D'ANTONIO Enrica - Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4723/2011 proposto da:
VALAGRO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (C/O STUDIO SINAGRA SABATINI SANCI) VIALE GORIZIA 14, presso lo studio dell'avvocato SABATINI FRANCO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. L. LAGRANGE 1 (c/o STUDIO AVVOCATO GOLISANO PIETRO), presso lo studio dell'avvocato SCAMPOLI GIULIANA MIRIAM, rappresentato e difeso dall'avvocato DI RISIO CARMINE, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 565/2010 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 18/05/2010 R.G.N. 863/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2014 dal Consigliere Dott. FABRIZIO MIANI CANEVARI;
udito l'Avvocato DI RISIO CARMINE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

C.M. ha impugnato il licenziamento disciplinare intimatogli, dopo una sospensione cautelare, da Valagro S.p.A. a seguito di contestazione disciplinare con l'addebito di uso improprio di strumenti di lavoro e in particolare del PC affidatogli, delle reti informatiche aziendali e della casella di posta elettronica. Ha dedotto sotto vari profili la nullità della sanzione, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno.
Il Tribunale adito ha accolto la domanda e la Corte di Appello di L'Aquila ha confermato tale decisione con la sentenza oggi impugnata, rilevando che il fatto contestato corrispondeva alla fattispecie disciplinare prevista dal contratto collettivo applicabile, ove è stabilita solo una sanzione conservativa per l'infrazione consistente nell'utilizzazione "in modo improprio di strumenti di lavoro aziendali".
In relazione alla valutazione preventiva operata dalle parti sociali con l'art. 53 del contratto collettivo applicabile, secondo cui tali comportamenti non erano comunque di gravità tale da giustificare il pensionamento, il datore di lavoro non avrebbe potuto irrogare una sanzione disciplinare più grave di quella pattizia.
De resto, anche a voler ritenere che la società datrice di lavoro intendesse contestare una fattispecie diversa e più grave di quella prevista dalla norma collettiva, le risultanze della consulenza tecnica di ufficio escludevano comunque la particolare gravità del comportamento del C. ai fini della giustificazione del recesso.
Avverso tale sentenza la società Valagro propone ricorso per cassazione affidato a due motivi ed illustrato da memoria. C. M. resiste con controricorso.

Motivazione

1.1. Con il primo motivo di ricorso, mediante la denuncia di vizi di violazione dell'art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1996, artt. 1 e 12, nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su fatti decisivi, si criticano le affermazioni svolte nella sentenza impugnata in ordine alla coincidenza integrale tra la fattispecie disciplinare prevista dal contratto collettivo, secondo cui incorre nei provvedimenti dell'ammonizione scritta, della multa o della sospensione il lavoratore che "utilizzi in modo improprio strumenti di lavoro aziendali (accesso a strumenti di comunicazione, strumenti di duplicazione ecc.) con il comportamento contestato al lavoratore e posto a base del licenziamento per giusta causa.
La ricorrente richiama il contenuto della lettera (riprodotta nel ricorso) di comunicazione dell'addebito di "uso improprio da parte Sua di strumenti di lavoro aziendali e, nella specie, del PC a Lei affidato, delle reti informatiche aziendali e della casella di posta elettronica". In tale comunicazione si rendeva noto l'accertamento di esistenza nel PC affidato al dipendente di "programmi coperti da copyright non forniti dall'azienda e non necessari" per lo svolgimento di attività; di installazione nello stesso PC, oltre ai programmi in dotazione, di "software diversi non forniti dall'azienda e non necessari; dell'avvenuta utilizzazione per innumerevoli volte durante l'orario lavorativo della casella di posta elettronica di dominio aziendale per scopi personali non giustificati, "eludendo le chiare informative e molteplici preavvisi effettuati dall'azienda".
Si sostiene quindi che con tale lettera sono stati contestati non solo l'uso improprio dello strumento di lavoro aziendale, ma anche la violazione del dovere di obbedienza di cui all'art. 2104 c.c., in relazione al richiamo della violazione di "chiare informative e "molteplici preavvisi", nonchè la riscontrata presenza nello stesso PC di materiale di carattere pornografico. Inoltre, l'abilitazione di tale strumento ad impieghi nuovi e diversi comportava, per l'utilizzo di programmi coperti da copyright, la violazione della L. n. 633 del 1941, art. 64, con esposizione del datore di lavoro a conseguente responsabilità. Di tali elementi non avrebbe tenuto conto la Corte territoriale, affermando che il comportamento contestato riguardava solo la fattispecie prevista dalla richiamata norma del contratto collettivo.

1.2. Analoghe censure di violazione di legge e vizio di motivazione vengono svolte con il secondo motivo, mediante la critica dell'ulteriore affermazione della sentenza impugnata secondo cui, anche a voler ritenere non contestata una fattispecie diversa e più grave rispetto a quella contrattualmente prevista, doveva essere esclusa la particolare gravità del comportamento addebitato, in relazione alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio in ordine ai "files" non legati all'attività lavorativa di cui era stata riscontrata la presenza nel PC. Ad avviso della ricorrente, la consulenza tecnica aveva posto in luce elementi rilevanti ai fini della valutazione della gravità degli adempimenti, che non era stata adeguatamente compiuta. Sotto questo profilo, dovevano essere apprezzati sia l'uso quotidiano e molto frequente della posta elettronica, sia la installazione di una enorme quantità di file, con cui il lavoratore avrebbe dimostrato "di intendere il posto di lavoro e il tempo di lavoro come destinato ad attività di svago piuttosto che di adempimento" dell'obbligo di prestazione lavorativa.
Il giudice di appello ha inoltre omesso la valutazione della gravità dell'inadempimento sotto il profilo delle conseguenze pregiudizievoli per l'azienda dell'installazione di programmi coperti da copyright, come della violazione delle disposizioni impartite per l'uso del computer.

2. Il primo motivo non merita accoglimento. Non è posto in discussione il principio, applicato dalla Corte territoriale, secondo cui il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo applicabile in relazione ad una determinata infrazione (v. in questo senso, per tutte, Cass. 29 settembre 2005 n. 19053, 17 giugno 2011 n.13353).
Le allegazioni della società ricorrente non valgono a dimostrare che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, l'addebito mosso al dipendente riguardi infrazioni disciplinari autonome e diverse rispetto alla fattispecie contemplata dal contratto collettivo (richiamato nella lettera di contestazione) di uso improprio di strumenti aziendali. Il riferimento a precedenti informazioni e preavvisi (cioè disposizioni del datore di lavoro in ordine all'uso del computer aziendale) non prospetta certo una violazione di distinti obblighi contrattuali, rilevando solo ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento.
La "rilevata presenza di materiale pornografico" non corrisponde ad una specifica contestazione di addebito formulata con la suddetta lettera. La stessa non indica poi, quanto alla presenza di programmi coperti da copyright, la violazione di limiti posti alla utilizzazione dei programmi stessi, con conseguenti profili di responsabilità per l'azienda.

3. Il secondo motivo, che riguarda il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato, è ugualmente infondato.
La valutazione della gravità dell'inadempimento dal lavoratore e dell'adeguatezza della sanzione attiene a questioni di merito che, ove risolte dal giudice di merito con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione sufficiente e non contraddittoria, si sottraggono al riesame in sede di legittimità (vedi tra le più recenti Cass. 7 aprile 2011 n. 7948, 25 maggio 2012 n. 8293).

Nella specie, le critiche formulate dalla società ricorrente rilevano sotto il profilo del denunciato vizio di motivazione della sentenza in ordine a tale valutazione di gravità dell'inadempimento contrattuale, che il giudice dell'appello ha accertato affermando la rilevanza disciplinare del comportamento del dipendente. La censura investe peraltro gli stessi fatti già considerati dalla corte territoriale (in particolare con il richiamo delle risultanze della consulenza tecnica) e non indica quindi punti decisivi di cui sia stato trascurato l'esame.

4. Il ricorso deve essere quindi respinto con la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2014


 

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