REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -
Dott. D'ANTONIO Enrica - Consigliere -
Dott. MANNA Antonio - Consigliere -
Dott. TRIA Lucia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 16218/2011 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato BUTTAFOCO ANNA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
UNICREDIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell'avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato FRANCESCO GIAMMARIA, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1122/2010 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 08/06/2010 R.G.N. 10017/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/10/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito l'Avvocato RICCARDI RAFFAELE per delega verbale BUTTAFOCO ANNA;
udito l'Avvocato SERRANI TIZIANA per delega verbale PESSI ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata rigetta l'appello di C. A. avverso la sentenza del Tribunale di Latina, n. 3159 del 2007, che, respingendo il ricorso proposto da C.A., ha dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al ricorrente dalla Banca di Roma s.p.a. (oggi: UNICREDIT s.p.a.) in data 12 dicembre 2002.

La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) l'appellante deduce la mancanza di prova dei fatti posti a fondamento della contestazione e del licenziamento e aggiunge che, comunque, anche se i fatti risultassero provati nella loro materialità, comunque non integrerebbero una giusta causa di licenziamento, ma semmai una condotta irregolare meritevole di una sanzione conservativa, in considerazione della assenza sia di un proprio profitto tratto dalla condotta contestata sia di un pregiudizio economico o di immagine arrecato alla banca datrice di lavoro;
b) le censure sono infondate;
c) al C., dipendente della Banca di Roma s.p.a., distaccato presso lo sportello aperto nella ASL di Latina, con mansioni di addetto operativo e cassiere (3^ area professionale 4^ livello), all'esito di una verifica ispettiva, vennero contestati una serie di comportamenti reiterati rivelatori della prassi seguita dal C., per molto tempo, di effettuare prelievi su conti bancari dei clienti all'insaputa dei titolari e di concedere sconfinamenti senza ordine scritto, operazioni che si sottraevano agli ordinari controlli in quanto, per esempio, per gli sconfinamenti il potere di autorizzazione dell'organo sovraordinato non era esercitabile se non veniva richiesto dal dipendente che doveva effettuare l'operazione;
d) i fatti risultanti dalla verifica ispettiva sono stati tutti confermati oltre che dalla documentazione in atti anche dalla prova testimoniale, pure per quel che riguarda l'elemento intenzionale;
e) ne deriva che è indubitabile che si tratti di una condotta di una gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, tanto più in un rapporto di lavoro bancario, oltretutto nella specie caratterizzato da una certa autonomia, dato lo svolgimento della prestazione in uno sportello molto attivo e distaccato dalla sede della filiale, che quindi era anche fisicamente sottratto ai controlli quotidiani diretti;
f) nè assume alcun rilievo - al fine di escludere la giusta causa - la dedotta mancanza di un vantaggio diretto del dipendente e l'asserita assenza di un pregiudizio per la Banca;

2.- Il ricorso di C.A. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, UNICREDIT s.p.a.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c.

Motivazione

1 - Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Il ricorso è articolato in due motivi, con i quali si deduce:
A) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c., (primo motivo), sostenendosi che la Corte d'appello non avrebbe valutato correttamente la proporzionalità della sanzione espulsiva perchè non avrebbe tenuto conto nè del curriculum del C. (dipendente della Banca da più di venti anni al momento dei fatti contestati) nè della modesta entità del danno come accertato in concreto;
B) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (secondo motivo), ribadendosi - rispetto alle fasi di merito del giudizio - che la datrice di lavoro non avrebbe fornito "alcun sostegno probatorio" alle proprie deduzioni e si aggiunge che la Corte romana, senza chiarire il percorso logico seguito, sarebbe giunta all'erronea conclusione di confermare la legittimità del licenziamento, aderendo, acriticamente alle tesi della Banca, senza neppure tenere conto della sentenza penale di assoluzione con formula piena del ricorrente dal reato di cui agli artt. 81 e 646 c.p., art. 61 c.p., n. 11, pronunciata dal Tribunale di Latina ed emanata nel corso dell'udienza di discussione del giudizio di appello in oggetto.

2 - Esame delle censure.
2.1-I motivi del ricorso - da esaminare congiuntamente data la loro intima connessione - non sono da accogliere per le ragioni di seguito esposte.

3.- In linea generale va precisato che, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell'intestazione del primo motivo, tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata ma non per errori di logica giuridica - che sono gli unici idonei a rendere la motivazione stessa incongrua o incoerente e quindi emendabile in sede di giudizio di cassazione - bensì per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, con l'inammissibile intento di sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito.
Viceversa, nella specie, le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l'iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.
Infatti, in particolare, dalla sentenza si desume con chiarezza che la Corte d'appello è pervenuta alla conclusione - che, peraltro, si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, come accade nella specie - di ritenere sussistenti in concreto gli estremi della giusta causa del recesso attraverso un'attenta valutazione da un lato della gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro della proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta.

E' pacifico che al ricorrente, dipendente della Banca di Roma s.p.a., distaccato presso lo sportello aperto nella ASL di Latina, con mansioni di addetto operativo e cassiere (3^ area professionale 4^ livello), all'esito di una verifica ispettiva, sono stati contestati una serie di comportamenti reiterati rivelatori della prassi seguita, per molto tempo, di effettuare prelievi su conti bancari dei clienti all'insaputa dei titolari e di concedere sconfinamenti senza ordine scritto, operazioni che si sottraevano agli ordinari controlli in quanto, per esempio, per gli sconfinamenti il potere di autorizzazione dell'organo sovraordinato non era esercitabile se non veniva richiesto dal dipendente che doveva effettuare l'operazione.

A fronte di tale situazione - che dalla sentenza risulta essere stata attentamente vagliata in tutti i suoi elementi - appare del tutto condivisibile e conforme alla giurisprudenza di questa Corte l'affermazione della Corte romana secondo cui il comportamento posto in essere dal ricorrente sia stato di una gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, tanto più perchè posto in essere in un rapporto di lavoro bancario, oltretutto nella specie caratterizzato da una certa autonomia, dato lo svolgimento della prestazione in uno sportello molto attivo e distaccato dalla sede della filiale, che quindi era anche fisicamente sottratto ai controlli quotidiani diretti, essendo del tutto ininfluente - al fine di escludere la giusta causa - la dedotta mancanza di un vantaggio diretto del dipendente e l'asserita assenza di un pregiudizio per la Banca.

4.- Non va, infatti, dimenticato che, con specifico riferimento a fattispecie simili alla presente, questa Corte, con costante orientamento cui il Collegio intende dare continuità, ha affermato che nell'ipotesi del dipendente di un istituto di credito, l'idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario deve essere valutata con particolare rigore ed a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo e concreto per il datore di lavoro (vedi, per tutte: Cass. 14 maggio 2005, n. 5504; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1475; Cass. 9 agosto 2004, n. 15373; Cass. 2 febbraio 2009, n. 2579; Cass. 26 luglio 2010, n. 17514).

5.- D'altra parte, non ha alcun rilievo che la Corte territoriale non abbia tenuto conto della sentenza penale di assoluzione con formula piena del ricorrente dal reato di cui agli artt. 81 e 646 c.p., art. 61 c.p., n. 11, pronunciata dal Tribunale di Latina ed emanata nel corso dell'udienza di discussione del giudizio di appello in oggetto.
Infatti, è jus receptum che l'eventuale rilevanza della sentenza penale di assoluzione nell'ambito del giudizio relativo alla dichiarazione di illegittimità di un licenziamento disciplinare irrogato in conseguenza del medesimo comportamento per il quale il lavoratore è stato sottoposto a procedimento penale presuppone - oltre alla identità del fatto materiale, rispettivamente vagliato in sede penale e in sede civile come condotta che ha determinato il licenziamento - che si tratti di una sentenza dibattimentale divenuta cosa giudicata e comunque non esclude il dovere del giudice civile di procedere in modo autonomo alla rivalutazione del fatto e del materiale probatorio ai fini della valutazione della condotta del lavoratore e della prova della giusta causa del licenziamento (vedi, per tutte: Cass. 13 settembre 2012, n. 15353).
Ne consegue che appare del tutto conforme al suindicato principio la decisione della Corte territoriale di non attribuire alcun rilievo alla indicata sentenza del Tribunale penale di Latina, non ancora divenuta definitiva.

4 - Conclusioni.
6.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione -liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, Euro 3000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Lavoro, il 21 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2014


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.