REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - rel. Consigliere -
Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17519/2012 proposto da:
G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, FORO TRAIANO 1-A, presso lo studio dell'avvocato COSMELLI GIORGIO, rappresentato e difeso dall'avvocato BONAZZI Giulio CESARE, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
CREDITO EMILIANO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86, presso lo studio dell'avvocato CAVASOLA Pietro, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato IOTTI GIGLIOLA, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1023/2011 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/04/2012 R.G.N. 679/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito l'Avvocato BONAZZI GIULIO CESARE;
udito l'Avvocato IOTTI GIGLIOLA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con ricorso in via d'urgenza, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., G.G., già dipendente dal 1976 di Credito Emiliano s.p.a. con qualifica impiegatizia e mansioni di addetto alla cassa presso varie filiali e agenzie, adiva il Tribunale di Reggio Emilia, in funzione del giudice del lavoro, per l'immediata reintegrazione nel posto di lavoro, perduto per licenziamento "in tronco" intimatogli dalla banca con raccomandata 6 novembre 2000, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 7 e art. 2119 c.c., sulla base di contestazione 25 agosto 2000 (cui egli puntualmente replicato con raccomandata 6 settembre 2000) di addebiti essenzialmente riconducibili ad operazioni non consentite di trading azionario "allo scoperto", a partecipazione ad attività commerciali incompatibili e al suo dubbio coinvolgimento nella sottrazione alla banca il 9 giugno 2000, con modalità poco chiare, della somma di L. 100 milioni dal medesimo prelevata lo stesso giorno presso la sede centrale, accompagnato da persona estranea.
Respinto il ricorso, nella resistenza della banca, dal tribunale adito con ordinanza 20 marzo 2001 confermata dallo stesso tribunale, in composizione collegiale con ordinanza 23 aprile 2001, reiettiva del suo reclamo ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c., G. G. adiva, con ricorso in via ordinaria 7 settembre 2001 il Tribunale di Reggio Emilia, in funzione del giudice del lavoro, per la pronuncia di nullità, illegittimità o inefficacia del licenziamento, con ordine a Credito Emiliano s.p.a. di reintegrazione nel posto di lavoro e sua condanna al pagamento, in proprio favore, delle retribuzioni dovutegli dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione e al risarcimento del danno in misura di cinque mensilità.
Nell'argomentata resistenza della banca e dopo istruzione orale e documentale, il tribunale adito, ritenutane l'infondatezza, respingeva il ricorso (con relativa condanna alle spese) con sentenza 14 aprile 2006, confermata, sull'appello del lavoratore ed in esito a C.t.u. contabile, dalla Corte di Appello di Bologna, che esso rigettava (compensando le spese del grado tra le parti, salvo quelle di C.t.u., poste a carico di G.), con sentenza 10 aprile 2012.
Ravvisata l'immediatezza tanto della contestazione rispetto alla conoscenza dei fatti quanto dell'intimazione di licenziamento rispetto alla prima, tenuto conto della sua accezione relativa al grado di percepibilità della condotta, della complessità della struttura datoriale e del tempo necessario per il pieno esercizio del diritto di difesa dell'incolpato, la corte di merito riteneva legittimo il licenziamento impugnato per rottura del vincolo di fiducia tra le parti, impeditivo della prosecuzione neppure temporanea del rapporto di lavoro, avendo il dipendente operato trading finanziario (in linea generale consentito, ma) senza sufficiente provvista (non elidendo la successiva ricostituzione la gravità del comportamento) e prelevato e trasportato contante poi sottratto, senza necessità e facendosi accompagnare da terzo estraneo, con la commistione pure di incombenze personali e potenziale esposizione a responsabilità ex art. 2049 c.c., della banca datrice, non inadempiente agli obblighi prescritti dall'art. 2087 c.c.. G.G. ricorre per cassazione sulla base di sostanzialmente sei motivi, pure illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., cui resiste la banca intimata con controricorso.

Motivazione

Con il primo motivo, complesso e articolato, G.G. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 2119 e 1375 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sotto una molteplicità di profili:
a) mancanza del requisito di immediatezza sia della contestazione disciplinare che del licenziamento, per erronea assunzione nella sua nozione relativa, oltre che dell'obiettiva percepibilità della condotta contestata e della complessità dell'organizzazione datoriale, esclusivamente del diritto di difesa del prestatore, non ostacolabile "in concreto ... dal fluire del tempo", contraria alla ratio di un tempestivo e corretto esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, ispirato all'incompatibilità dei fatti addebitati con la prosecuzione anche temporanea del rapporto e al rispetto del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto;
b) rilevanza ai fini del superiore requisito, erroneamente esclusa dalla sentenza impugnata, della conoscenza dei fatti addebitati da colleghi anche sovraordinati, edotti delle operazioni sui conti correnti, aperti presso la stessa banca, almeno dall'inizio del 2000 e dell'attività di trading azionario da marzo o metà aprile 2000 (come in particolare riferito dal teste M.M., all'epoca responsabile del personale e addetto alle questioni disciplinari, in merito alla richiesta del dipendente nel marzo 2000 di affidamento per ripianamento di rilevante scoperto di conto, rifiutata dall'ufficio per l'emergenza di operazioni su titoli e di movimenti anomali sul suo conto), con la conseguenza della possibilità concreta di più tempestiva attivazione della banca, tenuta alla predisposizione di una struttura di controllo adeguata, essendo inaccettabile una sua discrezionalità interna nell'analisi di dati da tempo disponibili;
c) rilevanza, in relazione al requisito di immediatezza, della suddetta richiesta 21 marzo 2000 (indice di conoscenza contestuale dalla banca dello scoperto di conto) e delle circostanze riferite dal teste M. a fini di collocazione della conoscenza dall'organo disciplinare della banca (come si evince dalla lettera di contestazione) da metà aprile 2000, anzichè da giugno 2000 (come erroneamente ritenuto dalla corte di merito, trascurante la circostanza della richiesta di aumento di affidamento quale presunzione certa di sconfinamento): con intervallo di quattro mesi e mezzo tra la conoscenza e la contestazione dei fatti;
d) omesso esame della mancata adozione dalla banca, nonostante la gravità degli addebiti contestati, di un provvedimento di sospensione dall'attività di G., lasciato invece nelle stesse mansioni libero di agire in operazioni delicate e potenzialmente dannose come quelle bancarie, con riflesso negativo sull'effettiva ricorrenza di una giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c., tale da impedire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto di lavoro, tenuto conto dei tempi di reazione dell'istituto (oltre due mesi per l'intimazione di licenziamento dalla contestazione e cinque dalla conoscenza dei fatti, collocata a giugno dalla corte di merito), non giustificabili neppure dalla riserva di adeguato spazio al diritto di difesa del lavoratore (per cui fissato il termine di cinque giorni dalla L. n. 300 del 1970, art. 7);
e) omessa considerazione, nella valutazione di mancato rispetto del principio di tempestività, dell'insussistenza di una complessa articolazione della struttura datoriale, di cui nessun elemento emerso, anche per la prestazione dell'attività del lavoratore licenziato in Reggio Emilia, dove ubicate sede e direzione della banca.

Con il secondo motivo, pure complesso e articolato, G. G. deduce violazione dell'art. 2119 c.c. ed omessa motivazione su fatto decisivo e controverso, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non avere la sentenza impugnata valorizzato:
a) in merito all'attività di trading, le risultanze della deposizione del teste M.M. (addetto ai titoli della filiale di ____, presso cui lavorato anche il ricorrente) e degli accurati e minuziosi accertamenti della C.t.u. contabile (per ricostruzione delle operazioni finanziarie sui sette conti correnti in disponibilità, diretta e indiretta, di G.) disposta ma non valorizzata dalla corte d'appello, in ordine alla piena conoscenza dalla banca delle operazioni, anche allo scoperto, tollerate per alcuni mesi (da inizio 2000) così come gli sconfinamenti, immediatamente rilevati dai tabulati interni (n. 41013 di inventario sconfinamenti giornaliero e n. 41033 di situazione sintetica del conto) e dalle segnalazioni di avvertimento warning, non tecnicamente bloccanti l'operatività ma ogni volta forzati dagli operatori, addirittura con la presentazione dal direttore della filiale di ____ della citata richiesta di ampliamento dell'affidamento di G., bocciata dalla Direzione Centrale, a fronte di comportamenti del dipendente (mantenuto in tutte le mansioni, anche di trasporto valori) in contrasto con il CCNL di categoria (abilitante i dipendenti all'esecuzione di operazioni di borsa per contante ma non su conto corrente), con tardiva rilettura degli stessi comportamenti (pure subito interrotti a richiesta del direttore della filiale di ____, come ancora riferito dal teste M.) nella prospettiva sanzionatoria contestata, per illegittimità dipendente da loro inidoneità, tanto a lungo tollerati senza reazione, ad integrare credibile ragione interruttiva del vincolo di fiducia;
b) in merito all'operazione di prelievo di contante del 9 giugno 2000, seguita dalla sua sottrazione, le risultanze delle dichiarazioni dei testi I.L. (capo cassiere della filiale di ____) e P.A. (collega di G., cui prestata la propria auto per detto prelievo quel giorno, come altre volte), nel senso della riserva all'autonomia discrezionale dei dipendenti, volta a volta incaricati, delle modalità esecutive (purchè entro il limite massimo di L. 100 milioni per ragioni di copertura assicurativa), con insussistenza di ogni anomalia, ritenuta dalla corte di merito, senza più attento esame della reale prassi operativa della banca.

Con il terzo motivo, G.G. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., per non avere la corte di merito considerato la completa discrezionalità lasciata dalla banca ai dipendenti nelle frequenti operazioni di prelievo e trasporto di valori dalla sede alle agenzie (come risultato dalle dichiarazioni in particolare del teste V.C. e dal registro prelievi della banca), quale quella in oggetto seguita da rapina (preceduta da altra pure di G. la medesima mattina di importo inferiore, per frazionare le somme nel rispetto dei limiti di massimale assicurato), senza alcuna cautela o istruzione, nè controllo dal Credito Emiliano s.p.a., in contrasto con le Istruzioni di Vigilanza di Bankitalia e in violazione degli obblighi datoriali, commisurati sulla particolarità del lavoro e a tutela dell'integrità fisica dei prestatori, stabiliti dalla norma citata, secondo interpretazione giurisprudenziale richiamata.

Con il quarto motivo, G.G. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in relazione all'art. 112 c.p.c., per vizio di ultrapetizione della corte nella attribuzione di rilevanza a "commistione di incombenze private (il ritiro della polizza, v. deposizione del teste C.)", non contestata nella lettera 25 agosto 2000 della banca, nel giudizio di fondatezza dell'addebito riguardante il prelievo di contante (pg. 9 della sentenza).

Con il quinto motivo, G.G. deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, per illegittimo fondamento della sentenza impugnata (anche) sulle sommarie informazioni testimoniali rese ai carabinieri (e quindi fuori del giudizio) da G.C., pure poco credibile, senza comparazione con quelle del teste M. M.

Con il sesto, G.G. deduce violazione dell'art. 2049 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per inconfigurabilità (nel farsi egli accompagnare da terzo estraneo in occasione del prelievo di contante) di un proprio illecito, in difetto di istruzioni o direttive della banca, così come di sua responsabilità per eventuali danni arrecabili al predetto da un rapinatore, siccome circostanza sopravvenuta interruttiva del nesso causale tra comportamento del dipendente (per cui solo responsabile il datore di lavoro) ed evento di danno.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 2119 e 1375 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sotto i molteplici profili illustrati, è infondato.
Quanto alla mancanza del requisito di immediatezza, appare inammissibile un sindacato di legittimità in ordine al bilanciamento tra esigenza di puntuale accertamento del fatto e di specificazione delle contestazioni e tutela del diritto di difesa del lavoratore: si tratta, infatti, di questione di merito estranea alla violazione delle norme di diritto denunciate (essendo corretta la sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta normativa), senza peraltro istituzione nella sentenza impugnata (in particolare a pg. 3) di alcuna gerarchia tra la suddetta esigenza di accertamento, in ragione dell'obiettiva percepibilità della condotta e della complessità dell'organizzazione datoriale, e l'esercizio del diritto di difesa di G.
In ordine poi alla rilevanza, ai fini del superiore requisito, della consapevolezza dei colleghi anche sovraordinati dei fatti addebitati per operazioni su conti correnti almeno da inizio anno 2000 e per attività di trading azionario da marzo o metà aprile 2000 (sub b) o della richiesta di affidamento del dipendente 21 marzo 2000 o delle circostanze riferite dal teste M. (sub c), quale indice di conoscenza contestuale dalla banca dello scoperto di conto o dell'omessa valutazione di insussistenza della complessa articolazione della struttura datoriale nella valutazione di mancato rispetto del principio di tempestività (sub e) deve parimenti essere esclusa, per le ragioni suenunciate, la violazione di norme di diritto.
Quanto alla motivazione (a pgg. da 3 a 6 della sentenza), essa appare, pur nella sua sinteticità, sufficiente e congrua nel dare conto della necessità, ai fini dell'accertamento in questione, di approfondimenti ispettivi in base alla distinzione di competenze degli organi interni della banca e alla procedimentalizzazione delle funzioni: non coincidendo con una conoscenza idonea la percezione di elementi disaggregati, quale quella degli operatori allo sportello o anche del direttore di filiale, siccome privi di adeguati strumenti di valutazione dei dati nella loro complessiva significanza. In mancanza di ciò, essi non possono essere immediatamente riferiti, quand'anche istantaneamente conosciuti ma non globalmente elaborati (per la quantità di operazioni compiute da G. sui diversi conti nella sua disponibilità, diretta o indiretta, presso le filiali di ____), alle causali sottostanti e così anche alle ragioni degli sconfinamenti, peraltro questi esattamente apprezzabili nella risultanza complessiva dei saldi dei vari conti e non soltanto di quella, sia pure di segno negativo, del conto singolarmente movimentato, di esclusiva percezione dell'operatore allo sportello. E questo vale chiaramente anche per la richiesta di affidamento inoltrata dal direttore della filiale alla direzione centrale, peraltro da questa bocciata con immediato avvio delle indagini ispettive poi culminate nella lettera di contestazione: tenuto pure conto delle dichiarazioni del teste M. ("ribadisco che solo dopo gli approfondimenti ispettivi sono emerse le esatte dimensioni e circostanze del fenomeno"), congruamente e logicamente valutate dalla corte (in fondo a pg. 5 della sentenza).
Infine nota la complessa articolazione della struttura di una banca, per varietà di organi interni, diversità di funzioni e settorialità di competenze, da ricondurre ad un momento di sintesi valutativa finale, una volta esauriti gli accertamenti istruttori dei vari uffici: in ogni caso insindacabile la valutazione di congruità del tempo intercorso, in base al concreto apprezzamento degli elementi di fatto e alla loro giustificazione.
hi proposito, occorre ribadire che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non equivale a revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione del giudice del merito per una determinata soluzione della questione esaminata, posto che essa equivarrebbe ad un giudizio di fatto, risolvendosi in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità: con la conseguente estraneità all'ambito del vizio di motivazione della possibilità per questa Corte di procedere a nuovo giudizio di merito attraverso un'autonoma e propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. 28 marzo 2012, n. 5024; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694). Sicchè, per la configurazione di un vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario che il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle risultanze fondanti il convincimento del giudice, onde la ratio decidendi appaia priva di base, ovvero che si tratti di elemento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione e perciò tale che, se tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella adottata (Cass. 21 aprile 2006, n. 9368: Cass. 7 luglio 2005, n. 14304). Ma una tale decisività non si verifica, per le ragioni dette, nel caso di specie, con la conseguente esclusione del vizio di motivazione denunciato.
Esso neppure sussiste, infine, in relazione al profilo di omesso esame dalla corte di merito della mancata adozione dalla banca, nonostante la gravità degli addebiti contestati, di un provvedimento di sospensione dall'attività di G. (sub d): piuttosto che decisivo, esso è addirittura inconferente, per la natura facoltativa della sospensione cautelare, neppure prospettata regolata dal CCNL settore credito, in ogni caso riservata alla sfera decisionale datoriale, insindacabile e pure irrilevante a fini di tempestività della contestazione in esame.

Anche il secondo motivo, di violazione dell'art. 2119 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per omessa valorizzazione, in merito all'attività di trading (addebito sub a), delle dichiarazioni del teste M. e degli accertamenti della C.t.u. contabile, nonchè, in ordine al prelievo di contante del 9 giugno 2000 (addebito sub b), delle dichiarazioni dei testi I. e P., è infondato.
Quanto all'addebito sub a), la critica non coglie nel segno: il trading allo scoperto, lungi dall'essere escluso, è stato anzi confermato sia dalle dichiarazioni del teste citato che dalla C.t.u. e comunque ammesso da G.
La pur sintetica valutazione del giudice di merito, fondata su detta ammissione e sulla gravità della sua incidenza sul rapporto di fiducia, non è scalfita dalla censura, piuttosto impostata sulla prospettazione di tolleranza dalla banca degli sconfinamenti, con evidente confusione tra responsabilità proprie degli operatori per forzatura di "warning bloccanti" e del direttore di filiale per presentazione di richiesta di ampliamento dell'affidamento (come detto, innescante il successivo blocco dell'attività) e consenso degli organi rappresentativi della volontà della banca, certamente non impegnati dai comportamenti dei suddetti dipendenti. Chiarita pure l'inesistenza di alcun obbligo del giudice di considerare tutti gli elementi di prova nè di dare esplicito conto in motivazione della C.t.u. disposta (di conferma dell'addebito, con sviluppo di rilievi argomentativi sull'operato degli operatori allo sportello e del direttore agenzia, irrilevanti ai fini in esame).
Quanto all'addebito sub b), del tutto adeguata e corretta pare la motivazione della corte di merito, sulla base della ravvisata non necessità del prelievo di contante (poi sottratto a G. per rapina) e delle sue modalità operative, con accompagnamento da terzo estraneo e commistione con incombenze personali: nell'indeferibilità a questa Corte di una sollecitazione a valutazioni in fatto e nell'irrilevanza di una riserva di autonomia dalla banca ai propri dipendenti sulle modalità di trasporto dei valori, pure contraddetta dalle dichiarazioni in particolare del teste I.L. e nell'ininfluenza nel caso di specie delle considerazioni sulla prassi del Credito Emiliano s.p.a..
Esclusa anche qui la violazione dell'art. 2119 c.c., denunciato, per corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta normativa, deve essere parimenti disattesa la doglianza di vizio di motivazione, sulla scorta dello scrutinio compiuto, in applicazione coerente con i principi regolanti la materia. E' infatti nota l'inammissibilità della censura in esame, qualora con essa si intenda contrapporre la ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte, in particolare prospettante un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, posto che tali aspetti del giudizio, interni alla discrezionalità valutativa degli elementi di prova e all'apprezzamento dei fatti, riguardano il libero convincimento del giudice e non i possibili vizi del suo percorso formativo rilevanti ai fini in oggetto; diversamente risolvendosi tale motivo di ricorso in un'istanza inammissibile di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e quindi nella richiesta di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394). Occorre poi ribadire come valutazione delle risultanze delle prove, giudizio sull'attendibilità dei testi e così scelta, tra le varie, delle risultanze probatorie ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgano apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, libero di attingere il proprio convincimento dalle prove che gli paiano più attendibili, senza alcun obbligo di esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412).

Deve pertanto essere enunciato a conferma, nel caso di specie ed ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, il principio di diritto, secondo cui, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, rileva ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto sia di pregiudizio agli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l'influenza che sul rapporto di lavoro possa esercitare il comportamento del lavoratore che, per sue concrete modalità e contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare con diligenza gli obblighi assunti, conformando il suo comportamento ai canoni di buona fede e correttezza: spettando al giudice di merito apprezzare la congruità della sanzione espulsiva per valutazione non astratta del fatto addebitato, ma di ogni aspetto concreto della vicenda processuale, che, in esito a scrutinio unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, in relazione al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla sua particolare natura e tipologia (Cass. 22 giugno 2009, n. 14586).

Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., per mancata considerazione della prassi concreta della banca nel disporre operazioni di prelievo e trasporto di valori dalla sede alle agenzie, secondo la discrezionalità dei dipendenti senza adozione di cautele, nè istruzioni o controlli, è pure infondato.
Non ricorre infatti violazione della suddetta norma, sotto il profilo di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta normativa, pure genericamente prospettata dal ricorrente, senza una valutazione in concreto della fattispecie, a fronte dell'accertata non necessità di prelievo del contante e della condotta gravemente imprudente di G. in relazione alle circostanze della denunciata rapina, così da porsi quale causa esclusiva dell'evento e sostanzialmente estraneo il rischio dedotto a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere (Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656).

Parimenti infondati sono quindi il quarto motivo, di violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in relazione all'art. 112 c.p.c., per vizio di ultrapetizione rispetto alla contestazione della banca con lettera 25 agosto 2000, così come il quinto, di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, per attribuzione di erroneo decisivo rilievo alle sommarie informazioni testimoniali rese ai carabinieri da G.C..
Il primo si incentra, infatti, su un passaggio argomentativo, privo di autonoma rilevanza decisionale, emerso da risultanze istruttorie (le dichiarazioni del teste C.), sicchè il vizio denunciato non si configura. Giova qui ribadire, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, il principio di diritto, secondo cui ricorre vizio di ultrapetizione solo quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti e pronunciando oltre i limiti del petitum e delle eccezioni hinc inde dedotte, ovvero su questioni non sollevate nè rilevabili d'ufficio, attribuisca alla parte un bene non richiesto, siccome non compreso nemmeno implicitamente o virtualmente nella domanda proposta: con la conseguente esclusione di tale vizio qualora il giudice, contenendo la propria decisione entro i limiti delle pretese o delle eccezioni delle parti e riferendosi ai fatti da queste dedotti, abbia fondato la decisione sulla valutazione unitaria delle risultanze processuali, pur se in base ad argomentazioni o considerazioni non prospettate dalle parti (Cass. 11 ottobre 2006, n. 21745; Cass. 1 aprile 2005, n. 6891).
Il secondo consiste in una censura irrilevante, essendo risultato non necessario il prelievo di contante poi sottratto, per la mancata presentazione al suo ritiro della cliente G., nonostante la prospettata sua esigenza in tale senso, qualche giorno prima del 9 giugno 2000, da G., come riferito dai testi I., citato in sentenza e M.: con palese insussistenza del vizio di non corretta utilizzazione delle suddette sommarie informazioni testimoniali, confermate dalle deposizioni citate, ritualmente utilizzate dalla corte di merito.

Infine, il sesto motivo, relativo a violazione dell'art. 2049 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per inconfigurabilità di un illecito del lavoratore, nel farsi accompagnare da persona estranea in occasione del prelievo di contante, come pure di responsabilità dell'istituto per danno verosimilmente patibile dal terzo, è inammissibile.
Esso difetta, infatti, del requisito di specificità prescritto, a pena appunto di inammissibilità, dall'art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 4 marzo 2005, n. 4741), posto che la censura mira alla confutazione di argomentazione ininfluente sul piano decisorio, in quanto meramente incidentale, quale la prospettazione di ipotesi eventuale neppure verificatasi ("ove dalla rapina il Caraffa avesse subito danni dei medesimi avrebbe dovuto rispondere il datore ex art. 2049 c.c."): pertanto priva di ogni supporto alla ratio decidendi, non essendo stata nel giudizio trattata la questione di danni risarcibili.
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la condanna di G.G.alla rifusione, in favore della banca, delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna G.G. alla rifusione, in favore di Credito Emiliano s.p.a., delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2014


 

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