REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto - Presidente -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -
Dott. STALLA Giacomo Maria - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14536/2012 proposto da:
F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TRITONE 102, presso lo studio dell'avvocato NANNA Rocco, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
V.A., R.A., elettivamente domiciliati in ROMA, LARGO MESSICO 7, presso lo studio dell'avvocato PIERO LORUSSO, rappresentati e difesi dall'avvocato MASTROPASQUA Nicolò giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 433/2012 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 19/04/2012 R.G.N. 1349/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l'Avvocato ROCCO NANNA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del 1. 2 e 3 motivo del ricorso, accoglimento del 4 motivo e decisione nel merito.

Svolgimento del processo

1.- V.A. e R.A. proposero appello avverso la sentenza del Tribunale di Bari - sezione distaccata di Bitonto, in data 21 luglio 2009, con la quale era stata rigettata la domanda avanzata dai medesimi, nella loro qualità di conduttori dell'appartamento ad uso di civile abitazione di proprietà della locatrice F.A.; precisamente, della domanda di restituzione, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 79, della somma complessiva di Euro 27.053,82 (o di quell'altra maggiore o minore ritenuta di giustizia), oltre accessori, dalla convenuta indebitamente percepita a decorrere dall'inizio del rapporto di locazione, per aver preteso importi mensili superiori sia alla misura del canone contrattualmente stabilita (L. 200.000), sia a quella del canone legale prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 12 e segg..

2.- La Corte d'appello di Bari, con sentenza pubblicata il 19 aprile 2012, ha accolto l'appello e, per l'effetto, in accoglimento della domanda degli attori, ha condannato l'appellata, F. A., al pagamento in favore degli appellanti, V. e R., a titolo di restituzione degli importi versati in eccedenza, rispetto al canone legale, dall'inizio del rapporto al mese di marzo 2003, della somma di Euro 26.338,35, nonchè dell'ulteriore importo di Euro 6.078,00, a titolo di restituzione delle somme indebitamente versate dal mese di aprile 2003 al mese di settembre 2005, oltre agli interessi legali dalla scadenza di ciascun mese al soddisfo. Ha condannato l'appellata al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

3.- Avverso la sentenza, F.A. propone ricorso, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.
V.A. e R.A. si difendono con controricorso.

Motivazione

1.- Col primo motivo di ricorso si deduce errores in iudicando, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione insufficiente su un punto decisivo della causa, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La ricorrente sostiene che, pur avendo la Corte barese, correttamente enunciato il principio regolatore dell'onere della prova nel presente giudizio, avente ad oggetto la ripetizione di indebito, non ne avrebbe fatto buon uso. Secondo la ricorrente, gli attori, poi appellanti, avrebbero provato soltanto il pagamento della somma complessiva di Euro 8.200,00, che non sarebbe stata sufficiente a coprire nemmeno i canoni dovuti ex contractu. Critica la sentenza nella parte in cui ha valorizzato la prova testimoniale favorevole ai conduttori, nonchè nella parte in cui, a suo dire, avrebbe fatto ricorso alla praesumptio de praesumpto per colmare le lacune istruttorie di questi ultimi.

1.1.- Col secondo motivo si deduce errores in iudicando, violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2727, 2729 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè motivazione insufficiente su un punto decisivo della controversia e omesso esame di documenti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La ricorrente critica la valutazione della Corte d'Appello circa l'attendibilità delle testimoni indicate dai conduttori, espressa in senso diametralmente opposto alla valutazione negativa effettuata dal Tribunale. Lamenta, inoltre, l'omesso esame di documenti: specificamente del documento che avrebbe comprovato l'esecuzione, nell'appartamento, di lavori di straordinaria manutenzione, in ragione dei quali il canone sarebbe stato incrementato dai conduttori per la contribuire alle spese relative.

1.2.- Col terzo motivo si deduce "error in iudicando - vizi di motivazione - critiche alle risultanze della CTU - omessa considerazione - sussistenza del vizio (art. 61 e art. 360, comma 1, n. 5)".
Il motivo è basato sulla consulenza tecnica di parte, dalla quale, a detta della ricorrente, sarebbe risultato un credito a suo favore, anche in considerazione dell'andamento degli indici ISTAT, su cui vi sarebbe stato un "tombale silenzio" nella sentenza. Questa perciò sarebbe viziata per non aver preso in considerazione le critiche svolte dal consulente di parte alla consulenza tecnica d'ufficio, e per avere, invece, fatto proprie le conclusioni di quest'ultima.

2.- I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, non meritano di essere accolti, nè per la parte in cui sono volti a sostenere il mancato assolvimento da parte degli attori, poi appellanti, dell'onere della prova su loro gravante, nè per la parte in cui sono volti, per contro, a sostenere, la sussistenza di risultanze istruttorie atte a corroborare gli argomenti difensivi della convenuta, poi appellata.

2.1.- Quanto ai detti due profili, l'impianto motivazionale della sentenza è così strutturato:

- sulla prova del fatto costitutivo della domanda di ripetizione di indebito spettante ai conduttori: ha valutato le testimonianze rese dalla sorella e dalla madre della R. (cognata e suocera del V.) - delle quali ha escluso un giudizio di inattendibilità basato esclusivamente sul rapporto di parentela - unitamente ed in collegamento con la prova documentale (sei ricevute di vaglia postale relative al periodo 1992-1998 e diciassette ricevute di pagamento relative a maggio-giugno 2000, novembre-dicembre 2001, intero 2002, gennaio-febbraio 2003, per importi non contestati dalla controparte), secondo un ragionamento dichiaratamente basato sulle presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., oltre che sugli argomenti di prova; - sulla prova contraria offerta dalla convenuta: ha tratto argomenti di prova, ai sensi dell'art. 116 c.p.c., comma 2, dal comportamento processuale della parte ("mancanza di specificità delle contestazioni del convenuto, parziali ammissioni delle circostanze dedotte dalla controparte, reticenza o genericità delle risposte date in sede di interrogatorio formale, ecc."); non idoneità dei documenti offerti.
Sulla base dei primi elementi ha reputato provato che durante il rapporto fossero state corrisposte somme incrementante nel corso del tempo - comunque maggiori di quelle indicate in contratto o dovute secondo la legge dell'equo canone - e che i versamenti dei canoni fossero stati fatti in continuità, non avendo la convenuta lamentato la morosità dei conduttori.
Sulla base della seconda tipologia di risultanze, ha, per un verso, escluso che la locatrice abbia fornito la prova di rituali richieste di aggiornamento del canone secondo gli indici Istat ovvero abbia dimostrato la ricorrenza di tutti gli elementi necessari per l'adeguamento di esso (ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 23) ed inoltre ha ritenuto che la stessa convenuta non abbia quantificato l'ammontare della spesa sostenuta per le opere di straordinaria manutenzione; per altro verso, ha rilevato come la locatrice non abbia nemmeno specificato gli aumenti del canone che sarebbero via via intervenuti secondo la sua stessa prospettazione.
Ha perciò condiviso i calcoli eseguiti dal consulente tecnico d'ufficio, quantificando nell'importo complessivo di Euro 26.338,35 i canoni versati in eccedenza fino al mese di marzo 2003.

3.- Per quanto riguarda le censure relativa alle prove fornite dagli appellanti, vanno reputate inammissibili, in primo luogo, quelle che attengono alla valutazione di attendibilità dei testimoni, sia perchè, come rilevato dai resistenti, in ricorso non è indicato il contenuto delle deposizioni, sia perchè la ricorrente si limita a contrapporre al giudizio di attendibilità espresso dalla Corte d'Appello, quello contrario espresso dal Tribunale.
Orbene, essendo riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, sono insindacabili, in sede di legittimità, se logicamente motivate, sia la valutazione di attendibilità dei testimoni (cfr., tra le tante, di recente Cass. n. 11511/14), sia la diversità del relativo giudizio rispetto a quello formulato dal primo giudice (cfr. Cass. n. 13054/14).
La Corte d'Appello ha adeguatamente valutato la veridicità delle deposizioni tenendo conto di elementi oggettivi (attinenti al loro contenuto ed ai rapporti con le altre risultanze istruttorie) ma anche degli elementi soggettivi (rapporto di parentela; in sè non comportante una situazione di necessaria inattendibilità: cfr. Cass. n. 1109/06, n. 4202/11 ed altre). La relativa valutazione è sufficientemente motivata e si sottrae alle censure della ricorrente.

3.1.- Parimenti inammissibili sono le censure basate sull'errata valutazione da parte della Corte di merito dei documenti prodotti dai conduttori, dato che questi sono genericamente indicati in ricorso, laddove, per contro, la sentenza ne fa una disamina, attenta e particolareggiata, per tipologia, periodi ed importi.
Sono comunque infondate le censure riferite al preteso errato utilizzo della prova per presunzioni.
La Corte d'Appello non ha fatto ricorso, come sostiene la locatrice, a presunzioni di secondo grado, incorrendo nel relativo divieto.

Il divieto di presunzioni di secondo grado (c.d. praesumptio de praesumpto) opera esclusivamente nella consecuzione di una presunzione semplice da un'altra presunzione semplice (cfr. Cass. n. 5045/02), in ragione del fatto che poichè le presunzioni semplici, ai sensi dell'art. 2727 c.c., sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, gli elementi che costituiscono la premessa devono avere il carattere della certezza e della concretezza (cfr. Cass. n. 1044/95).

La c.d. "praesumptio de praesumpto", da considerarsi vietata, si ha pertanto quando si utilizza una presunzione come fatto noto, per derivarne da essa un'altra presunzione.


Nel caso di specie, la Corte d'Appello ha preso le mosse dai fatti noti ricavati dalla prova documentale (specificamente dai vaglia postali) e dalla prova testimoniale (specificamente quanto ai pagamenti in contante dei canoni di locazione) per addivenire al fatto ignoto del pagamento dei canoni in eccedenza per tutta la durata del rapporto di locazione e nelle misure via via crescenti, desumibili, per i diversi periodi, dalle ricevute di pagamento. Non si comprende quale sia la presunzione della quale la Corte si sarebbe avvalsa, invalidamente, secondo la ricorrente. Di certo non è tale l'importo dei canoni dovuti, dal momento che questo dato è ricavabile dal contratto ovvero, in caso di violazione della normativa sull'equo canone, dalle norme della L. n. 392 del 1978, in base alle quali calcolare il dovuto. Ogni altra considerazione attiene, come si dirà, alla prova (che il giudice di merito ha ritenuto insufficiente) di aumenti del canone-base per fatti sopravvenuti (specificamente, incrementi Istat ed asseriti lavori straordinari). La prova per presunzioni è servita alla Corte d'Appello per ricostruire l'andamento dei pagamenti effettuati, a titolo di canone di locazione, nel corso del rapporto, da parte dei conduttori, dal momento che questi non disponevano di tutte le ricevute di pagamento (avendo corrisposto il canone attraverso vaglia postali ma anche brevi manu, per come la Corte ha ritenuto provato dalle testimonianze).

Il giudice ha preso le mosse dagli importi noti per risalire agli ignoti, essendo i fatti noti gravi precisi e concordanti e adeguatamente collegabili, e collegati, al fatto ignoto secondo una regola di esperienza pressochè scontata (enunciata in sentenza: quella secondo cui il canone, nel periodo in considerazione, avrebbe avuto un andamento regolare per intervalli annuali e regolarmente crescente, mai decrescente).

Il ragionamento presuntivo è corretto e la sua adozione è conforme al principio, pure richiamato in sentenza, per il quale affinchè sia riconoscibile valore giuridico alle presunzioni semplici è necessario che gli elementi presi in considerazione siano gravi, precisi e concordanti, ovvero devono essere tali da lasciar apparire l'esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità (cfr. Cass. 14115/06).

In conclusione, ben può essere affermato che, nell'azione di ripetizione dell'indebito da parte del conduttore, in tema di prova del pagamento di canoni di locazione in misura eccedente quella concordata o quella legale, non viola il divieto di "praesumptio de praesumpto" il giudice di merito il quale, essendo stato provato, con documenti e prova testimoniale, il versamento di somme maggiori del canone contrattuale, o di quello dovuto ai sensi della L. n. 392 del 1978, per intervalli o per periodi di tempo non corrispondenti all'intera durata del rapporto, ritiene presuntivamente provato il versamento, in tutti i mesi intermedi, di un canone mensile dello stesso importo di quello risultante dai documenti.

4.- In merito alle censure concernenti l'asserito omesso esame, da parte del giudice di secondo grado, del documento prodotto dall'odierna ricorrente comprovante l'esecuzione di lavori straordinari, si osserva quanto segue. Il giudice ha affermato che la locatrice non si è preoccupata "neppure di quantificare l'ammontare della spese sostenuta per le "opere di straordinaria manutenzione di rilevante entità"" e che in sede di interrogatorio formale la risposta è stata generica, avendo la F. affermato "di non ricordare precisamente gli importi".

A fronte di questa ragione della decisione, sarebbe stato onere della ricorrente dedurre elementi atti a comprovare non tanto l'avvenuta esecuzione dei lavori straordinari, quanto gli importi della spesa relativa e l'imputazione a questa spesa, in tutto o in parte, di somme versate dai conduttori in aggiunta al canone di locazione. Il documento menzionato in ricorso non è affatto idoneo allo scopo, non contenendo - per quanto si evince dal testo riportato nell'atto - alcuna quantificazione. Il ragionamento seguito dal giudice di merito non risulta pertanto nemmeno scalfito dalla mancata espressa considerazione di siffatto documento (del tutto privo di decisività, in quanto, anche se considerato, non avrebbe colmato la lacuna riscontrata in sentenza).

4.1.- Inammissibile è altresì la censura formulata con riferimento alla consulenza tecnica di parte. Gli stralci di questa che sono riportati in ricorso non consentono affatto di comprendere la critica rivolta dal tecnico di parte alle elaborazioni del CTU, poichè nell'illustrare il motivo la ricorrente non riporta nè i conteggi di quest'ultimo nè le contestazioni del suo tecnico.
Per di più, è detto in sentenza che la consulenza tecnica d'ufficio non è stata fatta oggetto di specifica contestazione da parte della locatrice.
Allora, quest'ultima avrebbe dovuto chiarire in ricorso sia quali sarebbero gli aspetti della consulenza tecnica d'ufficio censurati (in riferimento alle previsioni della L. n. 392 del 1978, art. 13 e segg.) sia quando le relative censure sarebbero state fatte presenti al giudice dell'appello.

Al riguardo, va ribadito che, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l'acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l'operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l'apprezzamento dell'incidenza causale del difetto di motivazione (così, da ultimo, Cass. n. 16368/14).

Nè, quanto all'aggiornamento annuale del canone secondo gli indici Istat, sorreggono adeguatamente il ricorso i richiami giurisprudenziale alla possibilità di richieste orali, alle quali il conduttore si potrebbe adeguare spontaneamente. Infatti - avendo la Corte d'Appello reputato mancante la prova delle "rituali richieste" - non è detto in ricorso da quali elementi, invece, l'avrebbe dovuta desumere. In conclusione, i primi tre motivi di ricorso vanno rigettati.

5.- Col quarto motivo si deduce error in procedendo, domanda nuova, violazione degli artt. 345, 437 e 112 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza e del procedimento. Viene censurato l'accoglimento, da parte della Corte d'Appello, della domanda, avanzata dai conduttori, di restituzione dell'eccedenza (quantificata complessivamente in Euro 6.078,00) rispetto ai canoni pagati in corso di causa dal marzo 2003 fino al settembre 2005, epoca di rilascio dell'immobile.
La ricorrente evidenzia che gli appellanti avrebbero prodotto in appello ben 29 ulteriori ricevute, malgrado la sua opposizione e che, in violazione degli artt. 437 e 345 c.p.c., avrebbero proposto una domanda nuova, della quale l'appellata avrebbe tempestivamente eccepito l'inammissibilità.
Il motivo di ricorso è fondato sull'inammissibilità della produzione documentale in appello e sull'inammissibilità della domanda, da considerarsi nuova, della condanna del locatore alla restituzione dell'ulteriore indebito per le somme versate in corso di giudizio, come da giurisprudenza di legittimità richiamata in ricorso.

5.1.- Il collegio ritiene che il motivo sia inammissibile poichè non indica in ricorso le conclusioni svolte dai conduttori sia con l'atto introduttivo della lite (fatto salvo un generico riepilogo nella parte relativa allo svolgimento del processo: cfr. pag. 2) sia in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al Tribunale.
Il ricorso risulta privo di autosufficienza in punto di contenuto della domanda articolata in primo grado e di novità della domanda proposta con l'atto di appello, in quanto, in mancanza dell'indicazione della prima, nei sui esatti termini, non è consentita alla Corte la verifica della novità della seconda.
Nè soccorre la circostanza che la violazione di legge sia stata dedotta in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 4. Infatti, ove si deduca la violazione, nel giudizio d'appello, dell'art. 345 c.p.c. (o, nel rito locatizio, dell'art. 437 c.p.c.), riconducibile alla prospettazione di un'ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all'adempimento da parte del ricorrente - per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito- dell'onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi (cfr. Cass. n. 6361/07, n. 15367/14). In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore dei resistenti, in solido, nell'importo complessivo di Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2015


 

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