REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente -
Dott. FRANCO Amedeo - rel. Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.A.;
avverso la sentenza emessa il 29 gennaio 2013 dalla corte d'appello di Ancona;
udita nella pubblica udienza dell'8 aprile 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

A B.A. venne contestato il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, per non avere versato entro il termine del 27 dicembre 2006 l'IVA per il periodo di imposta 2005 pari ad Euro 216.167, come risultava da un controllo automatizzato D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54 bis.
Il giudice del tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza 22.9.2011, assolse l'imputato perchè il fatto non sussiste.
A seguito di appello del PG, la corte d'appello di Ancona osservò:
- che la condotta si era consumata il 27 dicembre 2006 e quindi era intervenuta nella vigenza della L. n. 248 del 2006, di conversione del D.L. n. 223 del 2006;
- che l'imputato non aveva dedotto elementi a proprio discarico e non poteva ignorare di non avere pagato il proprio debito IVA;
- che era irrilevante la circostanza che egli potesse trovarsi nella impossibilità di versare il dovuto per problemi economici, ancorchè gravi, della propria impresa.

L'imputato, a mezzo dell'avv. Lorenzo del Federico, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) erronea applicazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, e art. 42 c.p.. Osserva che il reato richiede il dolo e che nella specie (come risulta dalla documentazione prodotta: istanza di rateizzazione di cartelle di pagamento, dichiarazione dei redditi della società) è evidente che l'imputato non ha coscientemente e volontariamente omesso di versare le somme relative all'IVA, in quanto la difficoltà finanziaria della società non ha consentito i versamenti. La corte d'appello ha ammesso lo stato di difficoltà della società ma lo ha ritenuto irrilevante. Inoltre non ha considerato che l'imputato avrebbe dovuto reperire la liquidità necessaria in appena cinque mesi, poichè l'art. 10 ter è stato introdotto nel luglio 2006. Se si ritenesse integrato lo elemento psicologico anche in presenza di grave crisi aziendale vi sarebbe contrasto con l'art. 27 Cost., perchè sarebbe punito un soggetto per un fatto a lui non rimproverabile e quindi per una condotta inesigibile. Poichè il dolo penalmente rilevante è solo quello sussistente al momento della condotta tipica, il dolo omissivo richiesto nella specie deve necessariamente accompagnare il mancato adempimento alla scadenza del termine; circostanza che la corte d'appello ha omesso di valutare. Nella specie risulta provato che la società versava in grave crisi e l'imputato non disponeva della liquidità necessaria per versare le somme.
2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine allo elemento psicologico del reato. Lamenta che la corte d'appello ha acclarato lo stato di difficoltà della società, ma erroneamente non ha escluso il dolo nella condotta omissiva posta in essere.
3) incostituzionalità dell'art. 10 ter, in relazione all'anno di imposta 2005; irretroattività in malam partem; violazione dell'art. 2 c.p.. Osserva che se con l'art. 10 ter (introdotto nel maggio del 2006) il legislatore ha ricompreso nella condotta criminosa anche l'omesso versamento dell'IVA relativa all'anno 2005, si è dato corso ad una illegittima applicazione retroattiva. L'imprenditore nel 2005, in cui si provvedeva alla liquidazione periodica dell'IVA, riteneva non costituisse reato l'omesso versamento dell'IVA e non si è preoccupato di accantonare la liquidità necessaria, privilegiando altri pagamenti. Il comportamento dell'imputato non era previsto come reato nel 2005 e neanche durante la dichiarazione annuale IVA e HDD, ossia sino al maggio 2006. La norma è quindi palesemente incostituzionale per violazione dell'art. 3 Cost., e art. 25 Cost., comma 2.

Motivazione

L'eccezione di illegittimità costituzionale prospettata con il terzo motivo, in riferimento all'art. 25 Cost., comma 2, è manifestamente infondata, per le ragioni già indicate dalla Sezioni Unite con la sentenza 28.3.2013, n. 37424, Romano, m. 255758, massimata nel senso che "Il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter), entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato adempimento dell'obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all'anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale".
Inoltre, va ricordato che la Corte costituzionale, con le ordinanze n. 224 del 2011 e 25 del 2012 ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione all'art. 3 Cost., del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, limitatamente alle omissioni relative all'anno 2005, ritenendo non lesivo del parametro costituzionale evocato il fatto che il debitore IVA per l'anno 2005 disponesse di un termine minore, dall'introduzione della norma, a luglio 2006, al 27 dicembre 2006, di quello accordato ai contribuenti per gli anni successivi.

E' invece fondato il primo motivo, avendo la corte d'appello sostanzialmente omesso di motivare, se non in modo meramente apparente, sulle specifiche eccezioni proposte dalla difesa con l'appello relativamente alla mancanza dello elemento soggettivo del reato.
La difesa aveva invero ricordato che l'art. 10 ter cit. prevede la sussistenza del dolo, escludendo quindi ipotesi colpose. Aveva poi eccepito che nel concreto caso in esame, anche attraverso una produzione documentale (istanze di rateazione di cartelle di pagamento, dichiarazione dei redditi della società) emergeva la prova che il B. non aveva coscientemente e volontariamente omesso di versare le somme relative all'IVA, ma per la difficoltà finanziaria della società da lui rappresentata non si era trovato nella condizione di potere effettuare i versamenti degli importi risultanti dalle relative dichiarazioni. La condotta di versamento dell'IVA era dunque per lui inesigibile perchè lo stato di crisi aziendale aveva di fatto reso impossibile il versamento per il legale rappresentante. Aveva inoltre evidenziato che, relativamente all'IVA, l'imputato avrebbe dovuto reperire la liquidità necessaria in appena cinque mesi, perchè l'art. 10 ter, che aveva introdotto la nuova norma incriminatrice penale anche per il periodo di imposta del 2005, era entrato in vigore solo nel luglio del 2006. Pertanto, secondo la difesa, la condotta omissiva non era rimproverabile al B., perchè la stessa era da ritenere inesigibile, mentre per i reati omissivi propri il dolo è costituito dalla rappresentazione del presupposto del dover agire e dalla volontà di non compiere l'azione doverosa (idonea e possibile). Aveva inoltre osservato che il dolo penalmente rilevante è solo quello sussistente al momento della condotta tipica, e quindi il dolo omissivo in questione doveva necessariamente accompagnare il mancato adempimento del comportamento doveroso alla scadenza del termine prescritto. Pertanto, qualora il soggetto, a causa di una obiettiva mancanza di liquidità, non possa fare altro che omettere il tempestivo versamento delle imposte dovute, non risulta integrato il dolo tipico del reato, stante la effettiva mancanza di volontà dell'omissione, e dunque il soggetto non può essere ritenuto personalmente responsabile per il fatto reato. Nel caso di specie, secondo l'eccezione difensiva, risultava evidente, sulla base della documentazione prodotta, che la società versasse in una grave crisi economico finanziaria e che il B. si trovasse nella impossibilità di disporre della liquidità necessaria per poter versare le somme risultanti dalla dichiarazione IVA relativa al 2005, sicchè la situazione di illiquidità rendeva inevitabile la condotta omissiva.
Orbene, a fronte di questi specifici motivi di impugnazione, la corte d'appello di Ancona ha, da un lato, ammesso lo stato di difficoltà finanziaria della società, avendo accertato, in relazione alla determinazione della pena, che la causa dell'omesso versamento era "rapportabile allo stato di crisi della società di cui era legale rappresentante il B. che trova riscontro nelle copie delle dichiarazioni dei redditi della stessa che sono state acquisite al fascicolo processuale". Nonostante questo accertamento, però, la corte d'appello ha ritenuto sussistente il necessario elemento soggettivo del reato con una motivazione appunto apodittica e meramente apparente, essendosi limitata ad osservare che "irrilevante essendo, ai fini dell'integrazione dell'illecito, la circostanza che l'obbligato potesse trovarsi nell'impossibilità di versare il dovuto per problemi economici, anche gravi, della propria impresa". In altre parole, sembra che secondo la corte d'appello si tratti di un reato punibile a titolo di responsabilità oggettiva senza considerare che, trattandosi di delitto, è necessaria la prova della sussistenza dell'elemento psicologico costituito dal dolo, sia pure generico.
Questa totale mancanza di motivazione sull'esistenza dell'elemento psicologico del reato (e sui relativi specifici motivi di impugnazione) è sufficiente per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, senza che occorra in questa sede approfondire il tema - divenuto acuto negli ultimi anni - della incidenza della crisi dell'impresa sul reato in esame.

E' sufficiente qui ricordare che le sentenze delle Sezioni Unite n. 37424/2013, in tema di omesso versamento IVA, e n. 37425/2013, in tema di omesso versamento di ritenute, hanno affermato che non può essere invocata l'assenza di liquidità, qualora non si dimostri che essa non sia dipesa dalla scelta di non fare fronte all'adempimento.
La sentenza 21.1.2014, n. 2614, ha riconosciuto che indicazioni specifiche e concrete atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all'adempimento possono escludere il dolo e, dunque, il reato.
La sentenza 5.2.2014, n. 5467, ha affermato che, nei casi di mancato versamento, non si può escludere in astratto l'assenza di dolo o l'assoluta impossibilità di assolvere all'obbligazione tributaria per la crisi di liquidità, occorrendo, però, provare la non imputabilità al contribuente della crisi e che detta crisi non può essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, a idonee misure, sempre da valutarsi in concreto.
La sentenza 7.2.2014, n. 5905, ha affermato che può essere esclusa la colpevolezza dell'imprenditore che omette di versare le ritenute operate, se non dispone della provvista necessaria per aver utilizzato le sole risorse finanziarie disponibili per pagare gli stipendi ai dipendenti; e che in tale caso l'onere probatorio o meglio di allegazione della situazione di insolvenza incombe sull'imputato, aggiungendo che la forza maggiore può escludere la punibilità del reato di cui all'art. 10 bis, nel caso di una imprevista ed imprevedibile indisponibilità del denaro necessario, non correlata in alcun modo alla condotta gestionale dell'imprenditore.
La sentenza 25.2.2014, n. 13019, ha ritenuto che non è escluso che siano possibili casi nei quali possa invocarsi l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria, ma in tal caso occorre che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l'aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l'azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.

Va altresì sottolineato che, nel caso in esame, la corte d'appello ha poi totalmente omesso di esaminare l'aspetto evidenziato con i motivi di appello relativo al fatto che si trattava di una situazione particolare perchè il reato riguardava il mancato versamento degli importi IVA dovuti per il 2005, mentre la norma che puniva la condotta omissiva come reato è entrata in vigore solo nel luglio 2006, dando così solo pochi mesi di tempo al contribuente che eventualmente, a fronte di una crisi finanziaria dell'impresa, avesse voluto gestire le risorse economiche confidando sul fatto che il mancato versamento dell'IVA avrebbe comportato solo sanzioni pecuniarie e avesse perciò privilegiato il pagamento di debiti maggiormente indilazionabili. E difatti, la sentenza delle Sezioni Unite n. 37425/2013, ha affermato che "Piuttosto, in relazione alle singole fattispecie concrete, possono venire in rilievo elementi tali da condurre, anche per questioni collegate al divario temporale fra il momento di effettuazione delle ritenute e l'introduzione della norma penale, all'esclusione dell'elemento soggettivo del reato. Ciò in particolare potrebbe verificarsi nel caso in cui l'omissione del versamento nella misura prevista al momento della scadenza del termine annuale rinviene la sua ragione esclusiva e non più ovviabile in un comportamento colpevole interamente posto in essere prima dell'introduzione della norma penale, quando le conoscibili e prevedibili conseguenze di esso consistevano solo in una sanzione amministrativa".
La sentenza impugnata va dunque annullata per mancanza di motivazione con rinvio per nuovo esame alla corte d'appello di Perugia.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio alla corte d'appello di Perugia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 8 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2014


 

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