REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO' Antonio - Presidente -
Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere -
Dott. MOGINI Stefano - Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere -
Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.V.D.;
avverso la sentenza n. 2164/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del 14/02/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/10/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'Ambrosio Vito, che ha concluso per l'annullamento con rinvio per la pena e rigetto nel resto.
udito il difensore avv. Randazzo Roberto, in sostituzione dell'avv. Loizzi Angelo, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa in data 14 febbraio 2014 la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 27 settembre 2012, che dichiarava P.V.D. responsabile del reato di cui all'art. 81 cpv. e L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, in relazione all'art. 570 c.p., condannandolo alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 120,00 di multa per avere omesso di corrispondere all'ex coniuge l'assegno di divorzio nella misura stabilita dal Tribunale di Torino con sentenza del 29 giugno 2009, che decideva le questioni di contenuto economico sorte a seguito della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio del 5 giugno 2006.

2. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore del P., deducendo tre motivi il cui contenuto viene di seguito illustrato.
2.1. Inosservanza degli artt. 234 e 238 bis c.p.p., attesa l'inutilizzabilità della sentenza civile non irrevocabile pronunciata dalla Corte d'appello di Torino in data 20 febbraio 2013, depositata nel giudizio penale d'appello unitamente ad una memoria del difensore della persona offesa. Per dimostrare l'insussistenza dell'esimente dell'impossibilità economica dell'imputato, la Corte di merito ha utilizzato il contenuto di tale pronuncia civile, pervenendo alla dichiarazione di colpevolezza in violazione delle disposizioni processuali su menzionate.
2.2. Erronea applicazione dell'art. 43 c.p. e L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies e mancanza di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico, avendo l'imputato allegato elementi indicativi della concreta e totale impossibilità di far fronte ai propri obblighi economici di assistenza familiare (documenti comprovanti la sua reale capacità economica, fortemente ridotta a causa della crisi che ha investito il settore lavorativo di pertinenza, le spese sostenute in favore del figlio e gli atti relativi alla causa di divorzio pendente in appello). L'incapienza patrimoniale del ricorrente, che avrebbe dovuto privarsi di quasi 2/3 del proprio stipendio mensile, l'autonomia patrimoniale del figlio e la consapevolezza che la ex moglie aveva svolto, in epoca successiva al 2009, saltuarie attività lavorative, costituiscono tutti elementi incompatibili con la volontà di sottrarsi ai suoi obblighi economici.
2.3. Erronea applicazione della legge penale con riferimento al cit. art. 12 sexies e art. 570 c.p., atteso che il reato de quo è punibile con la pena alternativa della reclusione o della multa, e non con l'applicazione di entrambe le sanzioni, come effettuato nella sentenza impugnata.

Motivazione

3. Il ricorso è parzialmente fondato e va pertanto accolto nei limiti e per gli effetti di seguito esposti e precisati.

4. Infondate, sino a lambire i margini dell'inammissibilità, devono ritenersi le prime due censure difensive, in quanto sostanzialmente orientate a riprodurre una serie di argomentazioni già esposte in sede di appello - e finanche dinanzi al Giudice di primo grado - che risultano, tuttavia, ampiamente vagliate e correttamente disattese dai Giudici di merito, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, poichè imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la motivazione della decisione impugnata.
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza di primo grado, la cui motivazione viene a saldarsi perfettamente con quella d'appello, sì da costituire un compendio argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha esaminato e puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa, ponendo in evidenza, attraverso il richiamo ai passaggi motivazionali già esaustivamente delineati nella prima decisione: a) che l'imputato ha omesso di corrispondere l'assegno divorzile sin dal primo mese (agosto 2009) a partire dal quale egli vi era obbligato, secondo quanto statuito con la sentenza del 29 giugno 2009; b) che le circostanze che hanno negativamente inciso sulla sua situazione patrimoniale, determinando un forte decremento del reddito percepito, non risultano affatto sopravvenute alla pronuncia della sentenza di divorzio, ma sono state ampiamente vagliate dal Giudice civile ancor prima di pronunciare quella decisione, tenendo conto della entità del suo reddito ed avvalendosi anche delle risultanze al riguardo offerte dalla disposta C.T.U.; c) che il fatto di evocare l'assenza dello stato di bisogno dell'avente diritto all'assegno non è pertinente ai fini della configurabilità del reato in esame, poichè la fattispecie di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies è diversa da quella di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p., diversa essendo la materialità del primo illecito rispetto a quella che connota il secondo, in quanto, nel primo, la condotta è rappresentata dal solo inadempimento dell'obbligazione civile costituita dalla corresponsione della somma fissata dal giudice in sede di divorzio.
L'impugnata sentenza, dunque, ha fatto buon governo dei principii più volte stabiliti da questa Suprema Corte, secondo la cui linea interpretativa, in caso di mancato pagamento di quell'assegno, la tutela penale prescinde dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto (Sez. 6, n. 3426 del 05/11/2008, dep. 26/01/2009, Rv. 242680).

Nella medesima prospettiva, inoltre, deve ribadirsi che l'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti fissati in sede civile, deve essere assoluta e deve integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti, mentre nel caso in esame, come concordemente osservato dai Giudici di merito, l'imputato non ha offerto alcuna dimostrazione di versare in una situazione di assoluta ed incolpevole indigenza, tale da rendere materialmente impossibile l'ottemperanza alle relative statuizioni civili.

Sulla base delle su esposte considerazioni, dunque, irrilevante deve ritenersi il riferimento, pur non correttamente operato ex art. 238 bis c.p.p., alla motivazione della sentenza civile non irrevocabile pronunciata dalla Corte d'appello di Torino in data 20 febbraio 2013, poichè la decisione impugnata, nel richiamare e far proprie le risultanze offerte dallo stesso compendio probatorio già vagliato dal primo Giudice, ed in particolare l'esito della C.T.U. disposta nella causa di divorzio, non ha fondato sul contenuto di quella pronuncia, menzionata solo ad abundantiam, la dimostrazione dell'insussistenza dell'ipotizzata situazione di impossibilità economica dell'imputato.

5. Fondato, invece deve ritenersi l'ultimo motivo di ricorso, poichè la Corte territoriale ha confermato la condanna alla pena congiunta della reclusione di mesi due e della multa, di Euro 120,00, senza considerare che, secondo quanto ritenuto in questa Sede (v. Sez. Un., n. 23866 del 31/01/2013, dep. 31/05/2013, Rv. 255269), nel reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile previsto dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 21, il generico rinvio, "quoad poenam", all'art. 570 c.p. deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma primo di quest'ultima disposizione.

6. S'impone, conclusivamente, l'annullamento della pronuncia impugnata limitatamente al profilo da ultimo evidenziato, con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale interessata, che dovrà eliminare il vizio sopra indicato, uniformandosi ai principi stabiliti da questa Suprema Corte. Il ricorso dell'imputato va rigettato nel resto.

PQM

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2014


 

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