Motivazione

che con ricorso ex articolo 95 DPR 396/2000 XXXX … e YYYY, già sposati in data …
2012 in Brasile e successivamente coniugati con matrimonio civile in Portogallo il …v 2013,
hanno chiesto al Tribunale di Milano di dichiarare l’illegittimità del rifiuto di trascrizione
dell’atto di matrimonio e di ordinare all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Milano di
effettuarne la trascrizione negli appositi registri;

che il Tribunale di Milano, a seguito di udienza svoltasi dinanzi al giudice delegato, nella
quale depositavano atto di intervento l’associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI- Rete
Lenford e i signori ZZZZ e KKKK e venivano sentiti questi ultimi, come pure i ricorrenti, con
decreto del 17/23 luglio 2014, respingeva il ricorso;

che il Tribunale, richiamando integralmente un proprio decreto emesso in analoga fattispecie
in data 2 luglio 2014, perveniva alla indicata conclusione ritenendo che l'atto di matrimonio tra
persone dello stesso sesso non potesse essere trascritto nei registri dello stato civile perché non
idoneo a spiegare effetti giuridici nel nostro ordinamento sulla base dell'attuale vigente
normativa; considerando che, anche alla luce della evoluzione giurisprudenziale, nazionale e
sovranazionale, in materia, non poteva comunque affermarsi l'esistenza del diritto di persone
dello stesso sesso a contrarre matrimonio “..come diritto riconosciuto dalla nostra costituzione e
dallo stesso ordinamento sovranazionale..”;

che il primo giudice, a sostegno di tale affermazione, richiamava
-la sentenza 138/2010 nella quale la Corte Costituzionale affermava che il riconoscimento
giuridico di una unione omosessuale non comportava di necessità un’equiparazione della unione
omosessuale al matrimonio, così come emergeva anche dalle legislazioni di altri Stati che
avevano regolamentato con diverse modalità il diritto di persone dello stesso sesso a vivere una
condizione di coppia riconosciuta; sicché, secondo la Consulta spettava al Parlamento,
“..nell'esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di
riconoscimento per le unioni suddette…";
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-le indicazioni della Corte Europea dei diritti dell'Uomo, secondo cui la “garanzia” del diritto al
matrimonio tra persone dello stesso sesso è totalmente riservata al potere legislativo degli Stati
contraenti della Convenzione e/o membri dell'Unione Europea;
-i più recenti approdi della Corte di Cassazione che, pur indicando come superata la pregressa
tesi della "inesistenza giuridica" dell'atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso
(Cass.4184/2012), ha individuato la ragione della sua non trascrivibilità nella inidoneità a
produrre, quale atto di matrimonio, effetto giuridico nell'ordinamento italiano, in ragione della
mancanza di una normativa ad hoc;

che avverso tale decreto hanno proposto reclamo i ricorrenti e gli intervenienti, chiedendo i
ricorrenti, in riforma della decisione del Tribunale, di dichiarare l'illegittimità del rifiuto di
trascrizione dell'atto di matrimonio da loro contratto e, per l'effetto, di ordinare all'Ufficiale di
Stato Civile del Comune di Milano di provvedere alla trascrizione richiesta; chiedendo gli
intervenienti, in via preliminare di rito, di dichiarare la nullità dell'impugnato decreto e di
dichiarare l'ammissibilità degli interventi; nel merito, di accogliere la domanda dei ricorrenti;
rilevato
preliminarmente, in ordine agli intervenienti, che il Tribunale non si è espressamente
pronunciato riguardo alla loro posizione. In particolare, posta dal giudice delegato la questione
dell'ammissibilità dell'intervento, la cui decisione era ovviamente riservata al collegio, questi, in
sede decisoria, non dando conto del deposito dell'atto di intervento e delle sue ragioni, vi ha
fatto implicito riferimento affermando che il rigetto nel merito rendeva superfluo l’esame delle
ulteriori questioni in rito;

che, prima di ogni altra considerazione, occorre quindi valutare la legittimazione degli
intervenienti alla impugnazione, legittimazione che pacificamente compete a chi abbia assunto
qualità di parte nel giudizio concluso con la decisione impugnata;

che, nella descritta situazione processuale e alla stregua della decisione del Tribunale, traendo
argomento dall'orientamento della Cassazione (Cass.1671/2015) che afferma la legittimazione
degli intervenienti volontari a proporre appello anche quando sia stata negata l'ammissibilità
dell'intervento stesso, deve ritenersi sussistere in capo agli intervenienti la legittimazione ad
impugnare il decreto;
che, essendo sottoposto il procedimento camerale alle regole, laddove compatibili, dettate dal
codice per il rito ordinario, può ritenersi in generale applicabile, ferme restando possibili
specificità, la disciplina codicistica dettata per l’intervento in giudizio e che, facendo ad essa
riferimento gli interventi di specie vanno inquadrati nella cornice dell’articolo 105, c.p.c.;
che proprio in ragione di tale inquadramento, non è ammissibile l’intervento dei signori ZZZZ
e KKKK, i quali, nella premessa di trovarsi nella medesima situazione dei ricorrenti, avendo
contratto matrimonio all’estero ed essendo stata rifiutata dall’Ufficiale di Stato Civile del
Comune di Milano la richiesta di trascrizione, intendono sostenere ex articolo 105, 2° comma,
c.p.c., le ragioni dei ricorrenti sul rilievo del personale interesse a un provvedimento che potrà
diversamente orientare l’operato dell’Ufficiale di Stato Civile, cui potrebbero nuovamente
rivolgersi per la trascrizione;
che la posizione dei predetti non si declina con le caratteristiche che deve avere l'interesse
richiesto per la legittimazione all'intervento adesivo dipendente, interesse che deve essere non di
mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato sussista un rapporto giuridico
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sostanziale tale che la posizione soggettiva del primo possa essere pregiudicata dal
disconoscimento delle ragioni del secondo;
che diversa prospettiva va adottata nei confronti della associazione Avvocatura per i Diritti
LGBTI –Rete Lenford, preliminarmente osservando che il relativo intervento non può
“atecnicamente” essere riguardato come contributo informativo al giudice. Devono, infatti,
nettamente differenziarsi, proprio in ragione della ritenuta applicabilità al procedimento camerale
delle compatibili regole del procedimento ordinario, le informazioni che il giudice, in autonomia
o sollecitato dalle parti, decide di raccogliere da terzi, da lui stesso individuati, dalla autonoma
costituzione in giudizio di un soggetto terzo che si affermi, come nel caso, rappresentativo per
statuto degli interessi dei cittadini LGBTI;
che, inquadrato il proposto intervento sub articolo 105, comma 2, c.p.c, considerato che la
categoria di interessi dei cittadini LGBTI può essere latamente ricondotta a quella di interessi
diffusi e che la Avvocatura per i Diritti LGBTI –Rete Lenford è un ente “spontaneo”, frutto di
autonomia associativa, in assenza di riconoscimento di legittimazione processuale da parte del
legislatore, occorre verificare la effettiva rappresentatività dell’associazione rispetto
all’interesse di cui si fa portatrice;
che, sotto tale profilo, acquistano rilievo a favore della legittimazione processuale della
interveniente e della ammissibilità dell’intervento stesso, per un verso, le previsioni statutarie
che individuano lo scopo dell’associazione nello sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto
dei diritti delle persone LGBTI (ossia, omosessuali, bisessuali, transessuali e intersessuali), che
prevedono, al fine della promozione, affermazione e tutela dei diritti e degli interessi delle
persone LGBTI, numerose attività dell’associazione che, tra l'altro, favorisce e promuove la
tutela giudiziaria, nonché l'utilizzazione degli strumenti di tutela collettiva, presso le corti
nazionali e internazionali; partecipa a procedimenti di consultazione di autorità pubbliche,
nazionali ed internazionali; promuove iniziative in collaborazione con gli ordini professionali e
le associazioni rappresentative; organizza incontri per favorire il dibattito, la discussione, la
divulgazione sui temi dei diritti delle persone LGBTI; per altro verso, acquista rilievo la
stabilità della struttura associativa che svolge in modo continuativo attività a tutela di diritti di
rango costituzionale delle persone LGBTI;
che può perciò ritenersi che l’associazione, con riferimento al “pregiudizio” alle persone
LGBTI derivante dal rifiuto di trascrizione, vanti un interesse che la legittima ad intervenire in
giudizio;
considerato
che, a sostegno della chiesta modifica del decreto, la difesa dei ricorrenti ha argomentato
l’erroneità della decisione del Tribunale sotto plurimi profili. In particolare, rilevando che:
-nell’ordinamento italiano, la diversità di sesso tra i coniugi non è richiesta da alcuna norma: né
da quelle codicistiche che disciplinano i requisiti di stato e capacità dei nubendi (art.84, 85, 86
c.c.), né dalle disposizioni del regolamento di Stato Civile DPR 396/2000; né infine dalle norme
applicabili al matrimonio celebrato all’estero (art. 115, c. 1, c.c.; art.27 legge 218/1995). Sicchè,
non costituendo la diversità di sesso elemento essenziale della fattispecie "matrimonio", il
matrimonio de quo “..validamente celebrato, è valido in relazione all'art. 115 c.c. e ha prodotto
effetti nel nostro ordinamento…”;
-la Corte di legittimità, decidendo con sentenza 4184/2012 fattispecie analoga a quella oggetto
del presente giudizio, superando l’interpretazione “originalista” dell’articolo 29 della
Costituzione proposta dalla Consulta con decisione 138/2010, e prendendo atto della evoluzione
della giurisprudenza della CEDU, aveva escluso che il matrimonio tra persone dello stesso sesso
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dovesse ritenersi giuridicamente “inesistente”; sicché, rimosso ogni ostacolo al riconoscimento
dell’unione omosessuale, “.. l'intero ordinamento giuridico deve essere reinterpretato alla luce
di questa presa di posizione..”;
-nell’assenza nel nostro ordinamento di qualsiasi forma di riconoscimento delle unioni
omosessuali, il rifiuto di trascrizione del matrimonio contratto all'estero violerebbe il "diritto alla
vita familiare" dei ricorrenti, comportando anche possibile lesione del diritto del YYYY alla
libera circolazione nell'Unione Europea;
-la trascrizione ha il solo scopo di pubblicità di un atto di per sé già valido sulla base del
principio locus regit actum, sicché il rifiuto contrasta con la costante giurisprudenza che afferma
la piena efficacia dei matrimoni contratti all'estero da italiani o stranieri, secondo le forme ivi
stabilite;
-alla stregua dell'evoluzione normativa giurisprudenziale, l'eterosessualità dei coniugi non
costituisce canone di ordine pubblico, né interno, né internazionale;
che gli intervenienti, preliminarmente dedotta la nullità del decreto impugnato per carenza di
motivazione, hanno censurato la decisione del Tribunale che non aveva considerato l’ idoneità,
secondo la normativa europea, del matrimonio contratto all’estero a produrre effetti
nell’ordinamento italiano; la non contrarietà di tale matrimonio all’ordine pubblico; la
sussistenza delle condizioni richieste per la trascrizione del matrimonio contratto all’estero tra
persone dello stesso sesso; la rilevanza della trascrizione nella Convenzione Europea sui Diritti
dell’Uomo;
rilevato
che è priva di fondamento, oltre che di pratico rilievo, la questione della nullità del decreto per
mancanza di motivazione, avendo il Tribunale ampiamente motivato, sia pur riportando l’intera
argomentazione adottata in altro procedimento per analoga fattispecie: trattandosi di questione
da decidere in punto di solo diritto, prescindendo da qualsiasi specificità dei casi, la modalità
motivazionale è adeguata e sufficiente;
che i motivi di impugnazione, pur diversamente argomentati dalle parti, sono sovrapponibili,
sicché saranno unitariamente esaminati, e che risultano declinati sia nel senso di proporre la
possibilità della trascrizione perché conseguente alla asserita validità ed efficacia del
matrimonio tra persone dello stesso sesso, sia nel senso di affermare comunque la trascrivibilità
del matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso, con riferimento
all’efficacia parziale che dal matrimonio deriverebbe, o a limitati effetti della trascrizione stessa;
ritenuto
quanto al rilievo per cui la diversità di sesso non è espressamente enunciata fra i requisiti
richiesti per la celebrazione del matrimonio, che non può condividersi l’approccio atomistico ai
singoli articoli, richiedendo la materia una lettura sistematica del quadro giuridico di riferimento,
peraltro nella irrinunciabile consapevolezza che per il legislatore del 1942 l’introduzione della
diversità di sesso tra i requisiti elencati all’articolo 84 c.c. sarebbe stata quasi un fuor d’opera,
essendo quella diversità, nella realtà sociale, culturale e giuridica dell’epoca, un presupposto
implicito dell’istituto matrimoniale;
che, infatti, la diversità di sesso, seppur non indicata espressamente agli articoli 84 e seguenti
del codice civile tra le condizioni necessarie per contrarre matrimonio, trova riferimento in
numerose altre norme la cui struttura richiama lessicalmente i due contraenti del matrimonio,
indicati per l’appunto come “marito” e “moglie”, in una prospettiva di senso delle norme stesse
(cfr. artt. 107, 108,143,143 bis e 156 bis c.c., e corrispondenti disposizioni relative ai casi di
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scioglimento del matrimonio). Si tratta di plurimi riferimenti normativi che escludono che quelle
norme siano inclusive del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Peraltro, la connotazione eterosessuale del matrimonio, nella vigente disciplina legislativa, trova
riscontro proprio nei plurimi pregressi ricorsi alla Consulta con i quali è stata dedotta
l’illegittimità costituzionale delle norme in questione (in ordine agli articoli 2, 3, 29 e 117 della
Costituzione; 12 e 14 CEDU; 9 Carta di Nizza). Si richiamano il ricorso deciso con sentenza
138/2010, con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità della questione sollevata in riferimento
all’articolo 2, perché diretta ad ottenere una pronunzia additiva non costituzionalmente obbligata,
ed è stata dichiarata l’infondatezza della questione sollevata in riferimento ai parametri
individuati negli artt. 3 e 29; nonché i successivi ricorsi con i quali sono state proposte analoghe
eccezioni di incostituzionalità dichiarate infondate con le ordinanze 276/2010 e 4/2011, anche
sul rilievo che non risultavano allegati profili diversi o ulteriori, idonei a superare gli argomenti
addotti nella precedente pronuncia.
La connotazione eterosessuale del matrimonio non è smentita nemmeno dalla più recente
decisione 170/2014 -con la quale la Consulta ha dichiarato, in riferimento all’art. 2 della
Costituzione l’illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n.
164, nella parte in cui tali norme non prevedevano che la sentenza di rettificazione
dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi consentisse, comunque, ove entrambi lo
richiedessero, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra
forma di convivenza registrata- risultando da tale decisione che la regolamentazione dell’unione
omosessuale resta comunque demandata alle scelte discrezionali del legislatore;

che non può, pertanto, ragionevolmente negarsi che il matrimonio disciplinato dal legislatore
del 1942, e non rivisitato sotto il profilo in esame da successive riforme del diritto di famiglia,
sia quello tra persone dello stesso sesso e che solo a queste il vigente istituto sia attualmente
riservato;
considerato
che non potrebbe pervenirsi a diversa conclusione nemmeno sulla base delle argomentazioni
dei commentatori che, sviluppando alcuni passaggi della sentenza della Consulta 138/2010 –
laddove la Corte esclude la cristallizzazione dei concetti di famiglia e di matrimonio, concetti
dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e quindi da interpretarsi “..tenendo conto
non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei
costumi..”- e richiamandone la lettura operata dalla Cassazione nella sentenza 4184/2012,
sottolineano che il paradigma eterosessuale del matrimonio non risulti costituzionalizzato
nell’articolo 29. La qualificazione della famiglia come società naturale starebbe proprio ad
indicare positivamente la sua naturale attitudine ad essere formazione sociale in continua
evoluzione e che, per realizzare tale finalità, la stessa nozione di famiglia data dalla norma deve
essere adeguata all’evoluzione delle regole sociali;
che, pur valorizzando il contenuto di norma “aperta” attribuibile all’articolo 29, la cui
regolazione normativa non è inesorabilmente legata alla definizione di matrimonio accolta dal
legislatore del 1942, e riconducendo il paradigma eterosessuale sul piano della legislazione
primaria, permane comunque l’effetto preclusivo costituito dall’attuale disciplina legislativa,
costituzionalmente compatibile;
rilevato
che le ragioni dei reclamanti non possono condurre alla modifica del decreto impugnato sulla
base di vincoli comunitari e della proposta lettura convenzionalmente orientata delle norme di
riferimento, che comporterebbero l’affermazione del riconoscimento del diritto al matrimonio
alle coppie dello stesso sesso;
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che, infatti, la regola gender-neutral ( “..Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una
famiglia..”) posta dall’articolo 9 della Carta di Nizza che è provvista di effetto diretto,
godendo la Carta dello stesso valore giuridico dei Trattati, riserva comunque agli Stati la
disciplina di quei diritti, che sono “..garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano
l’esercizio..”, così evidenziando la carenza del principio di attribuzione nella materia
matrimoniale, non disciplinata dal diritto europeo, ma dalle sole norme di diritto interno, e la
conseguente impossibilità di configurare obblighi a livello statale discendenti dai diritti stabiliti
all’articolo 9 della Carta;
che al riconoscimento alle coppie dello stesso sesso del diritto al matrimonio non può
pervenirsi alla stregua di una interpretazione convenzionalmente orientata delle norme CEDU
che, nel significato attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, come norme interposte
integranti il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, c.1, entrano a far parte del materiale
normativo cui deve conformarsi la nostra legislazione;

che i reclamanti richiamano la sentenza “Schalk e Kopf / Austria” del 24 giugno 2010 con
la quale la Corte EDU, pervenendo ad un’innovativa lettura dell’articolo 12 della Convenzione,
in combinato disposto con l’articolo 9 della Carta, ha ritenuto che il diritto al matrimonio di cui
all’articolo 12 CEDU non debba intendersi limitato al matrimonio tra persone di sesso opposto.
Con la stessa sentenza, la Corte, modificando una propria precedente valutazione dei diritti delle
unioni omosessuali, ha anche affermato che la relazione di una coppia dello stesso sesso,
convivente in una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione, oltre che di “vita privata”,
anche di “vita familiare” nell’accezione dell’articolo 8 della Convenzione, e che le coppie
omosessuali, avendo la stessa capacità di quelle eterosessuali di costituire relazioni impegnative,
si trovano in una situazione simile “..quanto alla loro esigenza di riconoscimento e protezione giuridici della situazione..”;

ritenuto
tuttavia, che gli approdi della Corte di Strasburgo, di rilevante impatto evolutivo anche ai fini della valutazione dell’esistenza e validità nel nostro ordinamento di un matrimonio omosessuale, non consentono nella loro argomentata complessità, l’estensione, per via di interpretazione adeguatrice, del diritto di contrarre matrimonio a persone dello stesso sesso che, infatti, la Corte EDU ha considerato che, pur in presenza di un emergente consenso
generale europeo nei confronti del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, non vi era su tale questione, riguardante “..diritti in evoluzione..”, un accordo consolidato degli Stati membri, specie con riferimento al matrimonio, istituto radicato in contesti sociali e culturali che possono differire molto da una società all'altra; che perciò diversi erano i tempi di intervento degli Stati; che non vi era uniformità nelle discipline apprestate, come concretamente dimostrato dal fatto che, alla data della decisione europea, il riconoscimento delle coppie omosessuali era avvenuto in 7 Stati mediante l'accesso al matrimonio e in 13 Stati a mezzo di cosiddette unioni registrate, con effetti e contenuto di diversa ampiezza. Andava perciò riconosciuto un certo margine di discrezionalità “..nella scelta del momento dell'introduzione delle modifiche legislative..” (par.105) e "…per quanto riguarda il preciso status conferito dal mezzo di riconoscimento alternativo…"(par.108); e, con particolare riferimento al matrimonio, affermava la Corte che “..per come stanno le cose, si lascia decidere alla legislazione nazionale dello stato contraente se permettere o meno il matrimonio omosessuale…" (par.62);

che, in definitiva, dalla decisione della Corte EDU si desume che sussiste obbligo per gli
Stati membri di fornire strumenti giuridici di riconoscimento e tutela per le unioni omosessuali, dovendo essere garantita alle stesse, alla stregua dell’articolo 8 della Convenzione, una protezione della vita privata e familiare; ma non sussiste obbligo di consentire l'accesso al matrimonio per le coppie dello stesso sesso: “..gli stati sono tuttora liberi, a norma dell’articolo 12 della Convenzione, nonché dell’articolo 14 in relazione all’articolo 8, di limitare l’accesso al matrimonio alle coppie omosessuali..” (par.108);

che tale approccio al problema (cd teoria del margine d’apprezzamento) è confermato anche in successive decisioni della Corte: nella decisione del 15 marzo 2012 (ricorso “Gas e Dubois / Francia”), si afferma che l’articolo 12 della Convenzione non impone agli stati l’obbligo di aprire il matrimonio alle coppie omosessuali; che il diritto al matrimonio non può neanche essere ricavato dall’articolo 14 congiuntamente all’articolo 8; e che anche quando gli Stati decidono di offrire alle coppie omosessuali un’altra forma di riconoscimento giuridico, essi beneficiano di un certo margine di apprezzamento per decidere la natura esatta dello status conferito; nella decisione del 16 luglio 2014 (ricorso “Hämäläinen / Finlandia”) ancora si ribadisce che, pur in presenza di ulteriori estensioni da parte di Stati contraenti del matrimonio a partner omosessuali, l’articolo 12 non può essere interpretato come se esso ponga in capo agli Stati l’obbligo di concedere l’accesso al matrimonio alle coppie omosessuali;

che, di contro, nessun argomento può trarsi a sostegno del reclamo dalle decisioni adottate nel giugno 2014 dalla Corte EDU nelle cause “Labassee / France” e “Mennesson / France”, avendo assunto in quei casi decisivo rilievo il preminente interesse del minore;

che la “..riserva assoluta di legislazione nazionale..” (così, la Corte di Cassazione 4184/12), contenuta nella giurisprudenza di Strasburgo comporta quindi una lettura delle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non compatibile con l’interpretazione richiesta dai reclamanti;

rilevato
che i reclamanti assumono la trascrivibilità del matrimonio contratto all’estero svolgendo
argomentati rilievi in ordine all’ordine pubblico, profilo che è rimasto nello sfondo della decisione del Tribunale -nella stessa prospettiva svolta dalla Corte di legittimità nella sentenza 4184/12, la questione è stata ritenuta “assorbita” dalle altre argomentazioni- e che è, invece, richiamato a sostegno del rifiuto di trascrizione, con riferimento al contenuto di Circolari del Ministero dell’interno e del Massimario per l’Ufficiale dello Stato Civile dello stesso Ministero, che affermano la contrarietà all’ordine pubblico del matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso, facendo peraltro la circolare 55/2007 esplicito riferimento all’ordine pubblico interno;

che, in accordo con quanto sottolineato dai reclamanti, la Corte ritiene che nella materia in esame il riferimento andrebbe fatto alla nozione di ordine pubblico internazionale, come insieme di principi a carattere universale, comuni a molte nazioni di civiltà affine, intesi alla tutela di diritti fondamentali dell’uomo, spesso sanciti in dichiarazioni o convenzioni internazionali, e quindi cornice “aperta” nella quale acquistano preminente rilievo i principi che assicurano la tutela e l’implementazione di fondamentali diritti della persona;

che la previsione del matrimonio tra persone dello stesso sesso concretizza il riconoscimento di principi di uguaglianza e di non discriminazione e che tale rilievo, unitamente alle indicazioni normative e all’evoluzione giurisprudenziale più sopra richiamate, nonché al fatto che l’accesso delle coppie omosessuali al matrimonio è consentito da numerosi paesi dell’Unione Europea, e anche da Stati europei oltre i confini dell’Unione, inducono a ritenere che gli effetti del matrimonio omosessuale non contrastino con l’ordine pubblico internazionale, come sopra inteso;

considerato
che, tuttavia, l’impedimento alla trascrizione nasce dall’attuale contesto normativo nazionale che non riconosce come matrimonio quello contratto tra persone dello stesso sesso, secondo le articolate argomentazioni della Cassazione (Cass. 4184/12, poi richiamata in Cass. 2400/2015).
La Corte di legittimità, compiuto un revirement consentito dalla affermata inclusione del
diritto al matrimonio omosessuale nell’articolo 12 CEDU, e ritenuta non più adeguata alla realtà giuridica la concezione secondo cui la diversità di sesso è presupposto quasi naturalistico della stessa esistenza e della validità del matrimonio, considera il matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso esistente e valido, ma non idoneo a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento, e, perciò, nemmeno trascrivibile.
Osserva, infatti, la Cassazione –e questa Corte è dello stesso avviso- che la questione della trascrivibilità o meno del matrimonio tra persone dello stesso sesso, contratto all’estero da cittadini italiani, “..dipende dalla soluzione della più generale questione..se la Repubblica Italiana riconosca e garantisca a persone dello stesso sesso..il diritto fondamentale di contrarre matrimonio..”

che l’inidoneità -più in esteso: inidoneità dell’atto alla produzione degli effetti giuridici che
gli sono propri- categoria non ignota al diritto, si caratterizza nella prospettiva della Corte
come una inefficacia in senso stretto, non conseguenza di altro vizio, e si propone come
reazione dell’ordinamento nei confronti di un negozio di cui si riconosce, in relazione al quadro normativo e giurisprudenziale europeo del quale l’ordinamento stesso fa parte, la intrinseca validità, oltre che la consistenza sociale, ma i cui effetti vitali sono però preclusi nel nostro paese dalla mancata previsione legislativa;

che, richiamato anche il principio di tipicità delle attività dell’ufficiale dello stato civile e
degli atti oggetto di trascrizione, deve essere condivisa, in base ai rilievi svolti, la decisione del Tribunale, in quanto, nell’attuale quadro normativo, il matrimonio tra coppie dello stesso sesso non corrisponde alla tipologia del matrimonio delineato nel nostro ordinamento e non è perciò trascrivibile;

che il rilievo non è superabile nell’ottica con la quale i reclamanti insistono nella trascrizione facendo riferimento a possibile produzione di effetti del matrimonio in Italia “.in base alle norme europee e di diritto internazionale privato che richiamino ordinamenti in cui è possibile il matrimonio tra persone dello stesso sesso..”, anche considerando che, all’indubbio valore simbolico della trascrizione, si accompagnerebbe, tuttavia, in un ordinamento che non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso come atto da trascrivere, un quadro di incertezza non compatibile con l’assetto e la funzione della trascrizione;
che prospettano ipotetiche questioni di mero fatto, peraltro non connesse di necessità alla
trascrizione, i rilievi con i quali i reclamanti sottolineano che la mancanza della trascrizione
renderebbe più gravoso l’ esercizio dei diritti assicurati dalla normativa europea che presuppone uno status coniugale in Italia; rilevando, peraltro, questa Corte che la questione della libera circolazione negli stati europei non è direttamente influenzata dalla trascrizione del matrimonio, trovando soluzione nelle disposizioni del D.Lgs 30/2007, a norma del quale lo stato di coniugio non deve essere valutato secondo il diritto del nostro paese, quale stato ospitante, ma secondo l’ordinamento straniero in cui il vincolo è stato contratto (indicazione peraltro contenuta nella Circolare del Ministero dell’interno 8996 del 26/10/2012);

ritenuto
che il decreto impugnato debba essere nel merito confermato, non potendo evidentemente condurre a diversa conclusione l’argomento con cui si sottolinea l’assenza nel nostro paese di tutela giuridica per le coppie dello stesso sesso, che non possono accedere al matrimonio e alle quali non sono riconosciuti diritti nell’ambito di alcuna forma di partenariato;
che non può essere colmato per via giudiziaria il vuoto normativo conseguente alla inerzia del legislatore che ancora non si è adeguato alle plurime indicazioni dei giudici nazionali, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e anche del Parlamento Europeo, le cui risoluzioni hanno incoraggiato gli Stati membri dell’Unione a contribuire alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso,in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili.

PQM

La Corte d’Appello di Milano, sezione persone, minori e famiglia, in parziale modifica del decreto reclamato,
*dichiara ammissibile l’intervento di Avvocatura per i Diritti LGBTI –Rete Lenford
*dichiara inammissibile l’intervento di ZZZZ e di KKKK;
*respinge nel merito il reclamo, confermando nel resto il decreto impugnato.
Milano, 13 marzo 2015 Il presidente estensore
Bianca La Monica


 

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