REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SECONDA SEZIONE CIVILE
in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Eugenio Curatola, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella cause civile di I grado, iscritta al n.63827 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2009, posta in decisione all'udienza di precisazione delle conclusioni del 18.1.2013, vertente
TRA
G. G. + altri -attori-
e
“Università degli studi di Roma Tor Vergata, in persona del rettore pro tempore
“Presidenza del Consiglio Dei Ministri”, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore
“Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca”, in persona del Ministro pro tempore
“Ministero della Salute”, in persona del Ministro pro tempore
dom.ti in Roma, Via dei Portoghesi n.12 , presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che Ii rappresenta e difende ex lege - convenuti -
“Regione Lazio", in persona del Presidente pro tempore - convenuta - contumace -

Svolgimento del processo

OGGETTO: corso di specializzazione mancato recepimento direttiva comunitaria
All'udienza del 18.1.2013 le parti precisavano le rispettive conclusioni come da verbale.

Motivazione

In applicazione dell'art. 58, comma 2, legge n. 69/09 e quindi delle novellate disposizioni di cui agli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., si omette di dar conto dello svolgimento delle fasi processuali della lite.
1 - Con atto introduttivo ritualmente notificato G.G. + altri esponevano che:
A) erano tutti medici specialisti ed avevano frequentato nel periodo 1998-2007 le scuole di specializzazione presso l'Università degli Studi di Roma Tor Sapienza, svolgendo le mansioni di "medici in formazione specialistica", così come previsto dal D.Lgs. n.368/1999;
B) alla luce del dettato normativo, erano stati tenuti a svolgere un'attività a tempo pieno ed esclusiva, partecipando a tutte le attività di ordine pratico della struttura sanitaria in cui avevano prestato il loro servizio;
C) durante gli anni di specializzazione, avevano percepito con cadenza bimestrale la borsa di studio prevista dal D.Lgs. n.257/91, f issata dal 1992 in lire 22.467.500 lorde annue;
D) l'ammontare della borsa di studio avrebbe dovuto essere annualmente incrementato sulla base del tasso programmato d‘inflazione e rideterminato, ogni triennio, con decreto del Ministro della Sanità;
E) di tutte le previsioni contenute nel D. Lgs. n.368/99 avevano trovato piena attuazione solo quelle norme relative ai doveri e agli impegni dei medici specializzandi mentre le norme che avevano riconosciuto agli stessi i diritti e le posizioni giuridiche erano rimaste del tutto inapplicate, in forza dell'art. 8, comma 3 del D.Lgs. n.517/99;
F) gli interventi legislativi avevano dato piena applicazione al D.Lgs. n.368/99 nei confronti dei medici specializzandi solo a partire dall'anno accademico 2006/2007.
Ciò premesso, le parti attrici convenivano in giudizio l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, il Ministero della Salute e la Regione Lazio affinchè venissero condannati in solido a regolarizzare il trattamento economico dall'inizio della utilizzazione nella posizione di specializzandi fino alla data della cessazione, eventualmente stabilendo un importo in via equitativa
ai sensi e per gli effetti dell'art. 36 Cost.

Costituitesi in giudizio, le parti convenute (ad eccezione della "Regione Lazio" che rimaneva contumace) contestavano in fatto e in diritto le argomentazioni formulate dagli attori.
2 - La domanda proposta dalle parti attrici non può essere accolta, dovendo riproporsi anche in questa sede le osservazioni già esposte da questo Tribunale in analoghe controversie (v., tra le altre Trib. Roma n.3857/12, n.11720/12, n.13121/12).
In particolare, va rilevato quanto segue.
A) Promuovendo il presente giudizio, gli attori hanno lamentato di aver subito un danno a seguito della tardiva attuazione, da parte dello Stato Italiano, della Direttiva comunitaria n.16 del 1993.
Come è noto la direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, 75/362/CEE, conosciuta come "direttiva riconoscimento", ha introdotto la possibilità del riconoscimento reciproco fra i Paesi membri, fra cui l'Italia, dei diplomi, certificati e altri titoli di medico e ha introdotto misure destinate ad agevolare l‘esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.
Dello stesso giorno è la successiva direttiva 75/363/CEE, indicata come "direttiva coordinamento", avente appunto come scopo il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative attinenti alle attività di medico.
Entrambe le direttive sono state in seguito modificate, in particolare, dalla direttiva 82/76 e dalla direttiva 93/16; l'allegato alla direttiva "coordinamento", aggiunto dall'art. 13 della direttiva 82/76 ha appunto previsto che l'attività di formazione debba essere oggetto di una adeguata remunerazione indicando nel 31 dicembre 1982 il termine entro il quale gli Stati membri avrebbero dovuto adeguare le rispettive normative interne; successivamente le direttive "riconoscimento", "coordinamento" e 82/76 sono state abrogate e sostituite dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/16/CEE che funge, per così dire da "testo unico".
A seguito della sentenza del 7 luglio 1987, cause 49/86, Commissione/Italia con la quale la Corte di Giustizia europea ha dichiarato che la Repubblica italiana, non avendo adottato nel termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva 82/76, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE, è stato emanato il decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257.
L'art. 4 di tale ha determinato i diritti e i doveri dei medici specializzandi e il suo art. 6 ha istituito una borsa di studio in loro favore ("agli ammessi alle scuole di specializzazione nei limiti definiti dalla programmazione di cui all'art.2, comma 2 in relazione all'attuazione dell'impegno a tempo pieno la loro formazione, è corrisposta, per tutta la durata del corso, ad esclusione dei periodi di sospensione della formazione specialistica, una borsa di studio determinata per l'anno 1991 in lire 21.500.000. Tale importo viene annualmente, a partire dal 1° gennaio 1992, incrementato del tasso programmato d'inflazione ed è rideterminato, ogni triennio, con decreto del Ministro della Sanità, di concerto con i Ministri dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica e del Tesoro, in funzione del miglioramento stipendiale tabellare minimo previsto dalla contrattazione relativa al personale medico dipendente del servizio sanitario nazionale. La borsa di studio viene corrisposta, in sei rate bimestrali posticipate, dalle Università presso cui operano le scuole di specializzazione riconosciute ai sensi dell'art.7. La corresponsione della borsa cessa nei confronti di coloro che non abbiano sostenuto, con esito positivo, la prova di esame annuale entro la sessione autunnale, con effetto dall'inizio del mese successivo a quello del definitivo mancato superamento della prova").
L'importo della borsa di studio, di originari € 12.103,82 è stato aumentato solo una volta a € 11.598,33 ed è poi rimasto invariato in quanto è intervenuto il quinto comma dell'art.7 del D.L. 19 settembre 1992 n.384 che ha sancito che "tutte le indennità, compensi gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere...per disposizioni di legge o atto amministrativo previsto dalla legge... o che siano comunque rivalutabili in relazione alla variazione del costo della vita, sono corrisposti per l'anno 1993 nella stessa misura dell'anno 1992" il cui disposto è stato via via prorogato nel tempo.
Un considerevole aumento della remunerazione degli specializzandi è stato poi previsto dal D.Lgs. 17 agosto 1999 n.368 anche se le sue disposizioni sono rimaste per lungo tempo lettera morta in quanto non è stato emanato il previsto decreto di attuazione del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Di conseguenza ai medici specializzandi ha continuato ad essere corrisposta la borsa di studio prevista dall'art.6 del decreto legislativo n.257/91, senza rivalutazione in quanto il secondo comma dell'art. 46 del D.Lgs. 17 agosto 1999 n. 368 ha previsto che: "le disposizioni di cui agli articoli dal 37 al 42 si applicano dall'entrata in vigore del provvedimento di cui al comma 1; fino alla data di entrata in vigore del predetto provvedimento si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo 8 agosto 1991 n.257".
Solo con il comma 300 dell'art.1 legge 23 dicembre 2005 n.266 è stata data definitiva sistemazione al trattamento economico degli specializzandi, a decorrere, però, dall‘anno accademico 2006/07.
Infine, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 marzo 2007 si è stabilito che, a decorrere dall‘anno accademico 2006-2007, il trattamento economico relativo al contratto di formazione specialistica dei medici è costituito da una parte fissa lorda eguale per tutte le specializzazioni e per tutta la durata del corso e da una parte variabile lorda. La parte fissa annua lorda è determinata in € 22.700,00 per ciascun anno di formazione specialistica. La parte variabile annua lorda, calcolata in modo che non ecceda il 15% di quella fissa, è determinata in € 2.300,00 per ciascuno dei primi due anni di formazione specialistica, mentre per ciascuno dei successivi anni di formazione specialistica la stessa è determinata in € 3.300,00 annui lordi; oggi, dunque, è previsto un compenso da € 25.000,00 a € 26.000,00 annui contro la precedente "borsa" rimasta fissa negli anni ad € 11.598,33 cui vanno aggiunti anche gli oneri previdenziali a carico delle Aziende sanitarie ed i premi per la polizza per la responsabilità civile prima pagati direttamente dagli specializzandi ad ulteriore decurtazione della borsa di studio.
B) Dopo tale rapido excursus normativo, appare altresì opportuno ricordare che le direttive, ai sensi dell'art. 249 del Trattato CE, vincolano lo Stato membro cui sono rivolte, per quanto riguarda il risultato da raggiungere, senza incidere sulla competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi necessari a raggiungere detto risultato.
L'adempimento degli obblighi conseguenti alla emanazione di direttive che vincolano la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione (art.1 comma 1 lett. a legge 9.3.1989 n.86) è rimesso in via generale alla adozione di uno strumento legislativo (d.d.l. di iniziativa governativa, che reca in allegato l'elenco delle direttive da attuare in via amministrativa), cd. "legge comunitaria", con il quale vengono individuate le direttive da attuare mediante conferimento al Governo di apposita delega legislativa.
Le misure nazionali di attuazione delle direttive comunitarie devono essere adottate entro il termine fissato dalla stessa direttiva; in caso di inosservanza, gli Stati membri commettono una violazione che può dar luogo non solo ad un'azione per infrazione in ambito comunitario ai sensi dell'art.226 del Trattato ma anche ad azioni risarcitorie da parte dei singoli individui danneggiati.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha precisato che, affinchè possa configurarsi un diritto al risarcimento del danno, devono verificarsi tre condizioni: 1) il risultato prescritto dalla direttiva deve implicare l'attribuzione di diritti a favore dei singoli; 2) il contenuto di tali diritti deve essere chiaramente individuabile sulla base delle disposizioni della direttiva; 3) deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dello Stato ed il danno subito dal soggetto leso.
Il compito di accertare l'esistenza delle condizioni citate, nonché di quantificare il danno spetta al giudice nazionale (sent. C-6/90 e C-9/90, Francovich, Bonifici e a. c. Italia); sicchè, spetta al giudice nazionale far conseguire il risultato previsto dalla direttiva rimasta priva di attuazione nell'ordinamento interno, accertando se questa possa essere direttamente applicata ai singoli, in quanto sufficientemente dettagliata (direttiva self-executing) ovvero - quando ciò non sia possibile - riconoscendo ai singoli la facoltà di agire per il risarcimento dei danni (v. Cass. Sez. Un. n.9147/09).
Al riguardo, le Sezioni Unite hanno ritenuto che la direttiva del Consiglio 26 gennaio 1982 n.76, relative alla formazione del medico specialista, non sia autoesecutiva e che, quindi, non possa essere direttamente applicata dal giudice nazionale nei confronti dei singoli.
La natura non autoesecutiva della direttiva in esame è stata ribadita anche da successive e recenti pronunce della Suprema Corte. In particolare, con la sentenza n.5842 del 10.3.2010, la Cassazione ha evidenziato che le direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE sono da ritenersi non autoesecutive in quanto, pur prevedendo lo specifico obbligo di retribuire adeguatamente la formazione del medico specializzando, non consentono l'identificazione del debitore e la quantificazione del compenso dovuto. Di conseguenza, la mancata trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto fa sorgere esclusivamente il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, tra i quali devono comprendersi non solo quelli conseguenti all'inidoneità del diploma di specializzazione (conseguito secondo la previgente normativa) al riconoscimento negli altri Stati membri e al suo minor valore sul piano interno ai fini dei concorsi per l'accesso ai profili professionali, ma anche quelli connessi alla mancata percezione della remunerazione adeguata da parte del medico specializzando.
Inoltre, con la sentenza n.22440 del 22.10.09, la Corte di Cassazione ha, altresì, precisato che "la mancata trasposizione” nell'ordinamento interno delle direttive CE n. 75/362 del 16 giugno 1975 e n.82/76 del 26 gennaio 1982 non consente di riconoscere agli specializzandi per il periodo anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. 8 agosto 1991 n.257, un diritto soggettivo nei confronti delle medesime Università, tenute esclusivamente all'erogazione del servizio di formazione e degli assegni di studio previsti dall'art. 10 dei D.P.R. 10 febbraio 1982 n.262: in assenza di un rapporto di lavoro anche di tipo parasubordinato con lo specializzando e di qualsiasi indicazione sia in ordine all'istituzione alla quale incombe l'obbligo di pagamento che in ordine al metodo di determinazione della remunerazione, non è infatti configurabile né un'efficacia orizzontale né un'efficacia verticale della normativa comunitaria, mentre il diritto alla reintegrazione per equivalente di quanto non fruito per il tardivo adempimento dell'obbligo di dare attuazione non può essere fatto valere nei rapporti con organismi diversi dall'Amministrazione centrale dello Stato, ai quali non è imputabile nessun comportamento inerte".
Sulla base delle medesime considerazioni, non può riconoscersi natura autoesecutiva alla direttiva n.93/16 (invocata da parte attrice), che ha introdotto delle modifiche alle direttive suindicate.
Di conseguenza, l'azione esperibile dai medici specializzandi asseritamente lesi dalla tardiva attuazione delle direttive in questione non è quella contrattuale (non essendo le direttive autoesecutive) ma esclusivamente quella risarcitoria del danno derivante dall'inadempimento dello Stato all'obbligo di attuare la normativa comunitaria.

C) - Promuovendo il presente giudizio, gli attori hanno chiesto il riconoscimento del proprio diritto ad un adeguato trattamento economico per il periodo svolto quali medici specializzandi (periodo compreso tra il 1998 e il 2007).
Ebbene, la domanda proposta non può essere accolta, atteso il carattere non autoesecutivo delle direttive comunitarie in questione ed avendo gli attori iniziato il corso di specializzazione prima del limite cronologico espressamente stabilito dalla legge n.266/05 per l'applicazione del contratto di formazione specialistica (limitato agli specializzandi dei corsi svolti successivamente all'anno accademico 2006/07).

D) - Quanto, invece, alla domanda risarcitoria proposta in via subordinata, va rilevato il difetto di legittimazione dei Ministeri convenuti nonché dell'Università e della "Regione Lazio".
Nel caso in esame, infatti, le parti attrici hanno lamentato di aver subito un danno a seguito della tardiva attuazione, da parte dello Stato Italiano, della Direttiva comunitaria n.82/76.
Orbene, ai sensi dell'art.3 del D.Lgs. n.303/99, spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare l'azione del Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dell'Italia all'unione europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea. In particolare, poi, al secondo comma è stabilito che compete al Presidente del Consiglio la responsabilità per l'attuazione degli impegni assunti nell'ambito dell'unione europea.
Ne consegue che, sulla base della prospettazione attorea ed in relazione alla discipline prevista per il rapporto controverso, l'unico soggetto legittimato a contraddire alla domanda risarcitoria attorea è la Presidenza del Consiglio dei Ministri, organo al quale la legge rimette il compito di recepire la normativa comunitaria e che, conseguentemente, ha la responsabilità in caso di mancata o tardiva attuazione nell'ordinamento interno.
Non appaiono, invece, passivamente legittimate le restanti amministrazioni convenute.
E) L'eccezione di prescrizione sollevata dalle parti convenute non appare fondata.
In effetti, nel caso di specie, l'Amministrazione convenuta ha eccepito la prescrizione quinquennale, sia ex art. 2947 c.c. (qualora si intenda qualificare le domande attoree come volte al risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale), sia ex art. 2948 n.4 c.c. (qualora si intenda qualificare le domande attoree come azioni contrattuali, volte ad ottenere la corresponsione dell'adeguata remunerazione prevista direttamente dalla direttiva comunitaria).
Orbene, in tema di prescrizione, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno escluso che "il danno derivante dalla mancata attuazione nei termini prescritti di una direttiva CEE in violazione degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità ... costituisca la conseguenza di un fatto imputabile come illecito civile (art.2043 e ss. C.c.) allo Stato inadempiente", affermando che "i profili sostanziali della tutela apprestata dal diritto comunitario inducono a reperire gli strumenti utilizzabili nel diritto interno fuori dallo schema della responsabilità civile extracontrattuale", ricercandoli invece "in quello dell'obbligazione ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria per attività non antigiuridica" con la conseguenza che "la pretesa risarcitoria è assoggettata al termine di prescrizione ordinaria (decennale) perchè diretta all'adempimento di un'obbligazione ex lege (di natura indennitaria) riconducibile come tale all'area della responsabilità contrattuale" (Cass. Sez. Un. 17 aprile 2009 n.9147).
Con riferimento all'individuazione del dies a quo, poi, le Sezioni Unite hanno ritenuto che: a) la data di attuazione della direttiva comunitaria nell'ordinamento interno è irrilevante, giacchè il fondamento della risarcibilità del danno postula solo che quest'ultimo si sia verificato dopo la scadenza del termine ultimo prescritto dalla norma comunitaria per il recepimento della direttiva nell'ordinamento interno; b) il termine di decorrenza della prescrizione deve essere individuato nella data di conseguimento del diploma di specializzazione (successivamente alla scadenza del termine ultimo per il recepimento della direttiva comunitaria nel diritto interno), atteso che è in tale momento che si verifica concretamente il danno conseguente al tardivo e parziale recepimento.
La prescrizione dell'azione di responsabilità, quindi, inizia a decorrere nel momento in cui si verifica il danno di cui si chiede il risarcimento.
Ed infatti, secondo il costante orientamento della Suprema Corte, "ai sensi dell'art. 2935 cod. civ., il termine di prescrizione, in relazione al risarcimento di ogni danno da inadempimento, inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, indipendentemente dalla data della pronuncia risolutiva" (cfr. Cass. Sez. 3 n.5100 del 9/3/2006; Cass. Sez. L. n .18995 del 12/12/2003) e, di conseguenza, dal momento del verificarsi del danno.
Ciò posto, tenuto conto della data di conseguimento del diploma di specializzazione e della data di instaurazione del presente giudizio, non può considerarsi maturata né la prescrizione decennale né quella quinquennale.

F) Nel merito, tuttavia, la domanda attorea non può trovare accoglimento.
Ed invero, lo scopo della direttiva 75/363 e dei successivi interventi comunitari sopra indicati è indubbiamente quello di introdurre in ambito comunitario disposizioni volte ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi di medico, prevedendo, altresì, il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli.
Per quanto attiene, in particolare, all'attività di specializzazione è da evidenziare che la richiamata normativa – al fine di porre tutti i professionisti cittadini degli Stati membri su una certa base di parità all'interno della Comunità - ha introdotto disposizioni di coordinamento delle condizioni di
formazione del medico specialisti fissando alcuni criteri minimi concernenti l'accesso alla formazione specializzata, la sua durata minima, il modo e il luogo in cui quest'ultima deve essere effettuata.
Detta normativa - pur avendo ribadito che per l'attività di formazione deve essere corrisposta un'adeguata remunerazione (che è già stata riconosciuta alle parti istanti) - nulla ha imposto agli Stati membri con specifico riferimento alla necessità di garantire agli specializzandi: 1) la stipula, all'atto dell'iscrizione, di un contratto annuale di formazione rinnovabile di anno in anno per l'intera durata del corso; 2) un trattamento economico di migliore favore rispetto alla remunerazione corrisposta agli istanti; 3) i versamenti contributivi; 4) la copertura assicurativa.
Né a tal fine rileva che il D.Lgs. n. 368 /1999 abbia introdotto una tale disciplina. La stessa, infatti, è il risultato di una scelta discrezionale esclusivamente riservata al legislatore nazionale
ed in nessun modo vincolata o condizionata da obblighi d'adeguamento alla normativa comunitaria.
E', del resto, da ricordare che la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale dell'art.1, comma 33 della legge 28 dicembre 1995 n.549 - nella parte in cui stabilisce che le disposizioni di cui all'art.7, commi 5 e 6, del decreto legge 19 settembre 1992 n.384, convertito nella legge 14 novembre 1992 n.438, "vanno interpretate nel senso che tra le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, da corrispondere nella misura prevista per il 1992, sono comprese le borse di studio di cui all'art.6 del decreto legislativo 8 agosto 1991 n.257" - ha osservato che "la norma impugnata, non persegue affatto l'intento di discriminare irragionevolmente i medici ammessi alle scuole di specializzazione ma, in una logica di bilanciamento con le fondamentali scelte di politica economica (sentenza n.245 del 1997) e, inserendosi in un più ampio complesso di norme ispirate alla stessa ratio, adegua la loro situazione ad un diverso principio, generalizzatosi tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico. Si tratta del principio secondo il quale la difesa dall'aumento del costo della vita è da affidarsi precipuamente alle dinamiche contrattuali, in particolar modo alla contrattazione collettiva, piuttosto che a strumenti legislativi di adeguamento automatico.
Sotto questo profilo, va rilevato che la legislazione vigente prevede per i medici specializzandi, pur nella peculiarità della loro posizione, un meccanismo di collegamento dell'importo delle borse di studio ai miglioramenti stipendiali del personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale (art.6 del D.P.R. 8 agosto 1991 n.257). Pertanto la disposizione censurata, escludendo per le predette borse di studio, in via eccezionale e per un ristretto arco temporale, l'incremento automatico del tasso di inflazione, non appare affatto irragionevole o discriminatoria ma invece si inserisce in un ampio complesso di norme che perseguono, anche nel settore della sanità, il fine di impedire, per lo stesso periodo di tempo, tutti gli incrementi retributivi consequenziali ad automatismi stipendiali"
.
Peraltro, con riferimento alla problematica in esame, è intervenuta recentemente anche la Corte di Cassazione, che nella sentenza n.11565 del 26/5/2011 - ha statuito che: "In tema di trattamento economico dei medici specializzandi e con riferimento alla domanda risarcitoria per non adeguata remunerazione, l'importo della borsa di studio prevista dall'art.6 del D.Lgs. 8 agosto 1991 n.257 non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per l'anno 1992 in applicazione di quanto disposto dall'art.1, comma 33, della legge 2 dicembre 1995 n.549, trattandosi di misura, (v. sentenza Corte Cost. n.432 del 1997) non irragionevole né discriminatoria,
perché riferita ad un arco temporale limitato e coerente rispetto al corpus normativo, in cui è stata inserita, volto ad impedire, anche nel settore della sanità, gli incrementi retributivi consequenziali ad automatismi stipendiali; la predetta sospensione, inoltre, non contrasta con la Direttiva 82/76/CEE del Consiglio del 26 gennaio 1982 (recepita con il predetto D.Lgs. n.257 del 1991, in attuazione della legge 29 dicembre 1990 n.428) in quanto in detta disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata né sono posti i criteri per la determinazione della stessa"
.
Precisata la questione in tali termini, nessuna violazione degli obblighi comunitari da parte dello Stato può ritenersi consumata con specifico riferimento alle doglianze espresse da parte attrice.

G) Né potrebbe essere riconosciuto in capo agli attori il diritto agli arretrati spettanti a titolo di incremento e rideterminazione della borsa di studio dai medesimi ricevuta, oltre interessi, ex art. 6 D.Lgs. n. 257/91.
Come è noto, l'art. 6 del D.Lgs. 8 agosto 1991 n.257, in attuazione delta direttiva CEE n.82/76 del 26 gennaio 1982, ha stabilito la corresponsione di una borsa di studio, per un importo annualmente incrementato, a far data dal 1992, nella misura corrispondente al tasso programmato d'inflazione.
L'art.7, comma 5, D.L. 19 settembre 1992 n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992 n.438, ha poi previsto che tutte "le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, comprensivi per disposizioni di legge...di una quota di indennità integrativa speciale...o dell'indennità di contingenza prevista per il settore privato, o che siano, comunque, rivalutabili in relazione alla variazione del costo della vita" siano corrisposti per l'anno 1993, nella stessa misura dell'anno 1992 .
L'art.3, comma 36, della legge 24 dicembre 1993 n.537, ha quindi previsto l'applicazione di detta norma al triennio 1994-1996.
Con il successivo art.1, comma 33, della legge 28 dicembre 1995 n.549, si è poi disposto che le norme dell'art.7, commi 5 e 6 e del decreto legge n.384 del 1992 devono essere interpretate nel senso che tra le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, da corrispondere nella misura prevista per il 1992, sono comprese le borse di studio di cui all'art.6 del decreto legislativo 8 agosto 1991 n.257, ossia quelle erogate ai medici specializzandi.
L'applicazione dell'art.7, comma 5, del decreto-legge n. 384 del 1992 è stata quindi ulteriormente estesa al triennio 1997-1999 (art.1, comma 66, L. 662/1996), al triennio 2000-2002 (art. 22 l. n.488/1999) ed al triennio 2003-2005 (art.36, comma 1, L. n.289/2002).
Il giudice delle leggi, con la sentenza 23 dicembre 1997 n.432, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.1, comma 33, della legge 28 dicembre 1995 n.549 - (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui aveva stabilito che "le disposizioni di cui all'art.7, commi 5 e 6, del decreto-legge 19 settembre 1992 n.384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992 n.438, prorogate per il triennio 1994-1996 dall'art.3, comma 36, della legge 24 dicembre 1993 n.537 vanno interpretate nel senso che tra le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, da corrispondere nella misura prevista per il 1992, sono comprese le borse di studio di cui all'art.6 del decreto legislativo 8 agosto 1991 n.257".
I giudici della Corte Costituzionale, infatti, hanno rilevato come la norma impugnata non aveva perseguito l'intento di operare una irragionevole discriminazione dei "medici ammessi alle scuole di specializzazione, ma, in una logica di bilanciamento con le fondamentali scelte di politica economica (sentenza n.245 del 1997) e, inserendosi in un più ampio complesso di norme ispirate alla stessa ratio, (aveva adeguato) la loro situazione ad un diverso principio, generalizzatosi tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico".
In particolare, la Corte ha precisato che, in forza di tale principio, "la difesa dall'aumento del costo della vita è da affidarsi precipuamente alle dinamiche contrattuali, in particolar modo alla contrattazione collettiva, piuttosto che a strumenti legislativi di adeguamento automatico. Sotto questo profilo... la legislazione vigente prevede per i medici specializzandi, pur nella peculiarità della loro posizione, un meccanismo di collegamento dell'importo delle borse di studio ai miglioramenti stipendiali del personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale (art.6 del D.P.R. 8 agosto 1991 n.257)".
Escludendo, quindi, la disposizione esaminata dai giudici, per le indicate borse di studio, "in via eccezionale e per un ristretto arco temporale", "l'incremento automatico del tasso di inflazione", la stessa non appariva "sostenuta da un intento irragionevole o discriminatorio, ma invece si [inseriva] in un ampio complesso di norme che perseguono, anche nel settore della sanità, il fine di impedire, per lo stesso periodo di tempo, tutti gli incrementi retributivi conseguenziali ad automatismi stipendiali".
Come ancora rilevato sul punto dai giudici di legittimità, l'indicata misura era "coerente rispetto al corpus normativo, in cui è stata inserita, volto ad impedire, anche nel settore della sanità gli incrementi retributivi conseguenziali ad automatismi stipendiali "non contrastando peraltro - e torna nella valutazione della corte il profilo della violazione della normativa comunitaria - "la predetta sospensione...con la Direttiva 82/76/CEE del Consiglio del 26 gennaio 1982 (recepita con il predetto d.Lgs. n.257 del 1991, in attuazione della legge 29 dicembre 1990 n.428) in quanto in detta discipline comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa (Cass. Sez. Lav. n.11565 del 26/05/2011).
La particolare natura della controversia e la complessità delle questioni trattate giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite.

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da G. G. + altri, nei confronti dell'"UNIVERSITA` DEGLI STUDI DI ROM A TOR VERGATA", della "PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI", del "MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA", del "MINISTERO DELLA SALUTE" e della "REGIONE LAZIO", ogni altra istanza ed eccezione disattese, cosi provvede:
1) rigetta le domande;
2) dichiara interamente compensate le spese di lite tra le parti.
Roma 15 luglio 2013
Depositato in cancelleria il 17.07.2013


 

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