REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristina - Presidente -
Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere -
Dott. CASSANO Margherit - rel. Consigliere -
Dott. LA POSTA Lucia - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.E.;
avverso l'ordinanza n. 88/2013 GIP TRIBUNALE di LECCO, del 06/06/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO;
lette le conclusioni del PG Dott. P. Canevelli, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il 6 giugno 2013 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco, in funzione di giudice dell'esecuzione, dichiarava inammissibile l'istanza di restituzione nel termine per proporre opposizione al decreto penale di condanna n. 723/11, avanzata da T.E.
Osservava che tutte le notificazioni degli atti del processo erano state regolarmente effettuate presso il domicilio eletto (lo studio dell'avv. Marco Possenti, difensore d'ufficio).
2. Avverso il citato provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, T.E., la quale lamenta violazione ed erronea applicazione della legge processuale, attesa l'assenza di effettiva conoscenza del decreto penale di condanna che ha determinato l'impossibilità di proporre tempestivamente opposizione.

Motivazione

Il ricorso è fondato.
1. La nuova disciplina introdotta dalla L. 22 aprile 2005, n. 60, di conversione del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, che ha modificato, tra l'altro, l'art. 175 c.p.p., riconosce al contumace il diritto alla restituzione nel termine per impugnare, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione o opposizione (art. 175 c.p.p., comma 2). Esso è preordinato a porre riparo alla mancata effettiva conoscenza del provvedimento da parte dell'imputato, qualora essa non sia il risultato di un comportamento doloso e volontario, la cui eventuale sussistenza deve essere congruamente motivata dal giudice (Sez. 2, n. 9105 del 21 febbraio 2006).
Nel caso in cui, attraverso gli accertamenti compiuti, il giudice verifichi l'esistenza di entrambi i presupposti indicati dal novellato art. 175 c.p.p., comma 2 (effettiva conoscenza e rinuncia) deve respingere la domanda, mentre, in caso contrario - ossia quando faccia difetto anche uno solo dei presupposti suindicati, come si desume dall'uso della congiuntiva e - deve restituire il richiedente nel termine per proporre impugnazione (Sez. 1, n. 15543 dell'11 aprile 2006.

2. Il concetto di "effettiva conoscenza" del procedimento o del provvedimento deve essere inteso quale sicura consapevolezza della pendenza del processo e precisa cognizione degli estremi del provvedimento (autorità, data, oggetto), collegata alla comunicazione di un atto formale, che consenta di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si sia verificata (Sez. 1, n. 20036 del 9 maggio 2006; Sez. 1, n. 14272 del 9 febbraio 2006; Sez. 2, n. 15903 del 14 febbraio 2006).
Nella prospettiva dell'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, la "conoscenza effettiva" del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l'accusato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di difendersi nel "merito". Secondo la costante giurisprudenza della Corte Europea, "avvisare qualcuno delle azioni penali rivoltegli costituisce un atto giuridico di tale importanza da dover corrispondere a condizioni di forma e di sostanza idonee a garantire l'esercizio effettivo dei diritti dell'accusato", non essendo sufficiente "una conoscenza vaga e non ufficiale" (sent. Corte eur. dir. uomo, 12 ottobre 1992, T. c. Italia; sent. Corte eur. dir. uomo 18 maggio 2004, Somogyi; sent. Corte eur. dir. uomo 9 giugno 2005, R.R. c. Italia).
Trasponendo questi principi nel nostro ordinamento è di intuitiva evidenza che, qualora, come nel caso in esame, si attribuisse valore alle comunicazioni fornite in sede di indagini preliminari (Cass. Sez. 1, 21 febbraio 2006, n. 10297, ric. Halilovic, rv. 233515; Cass. Sez. 2, 25 gennaio 2006, n. 8414, ric. Perrella, rv. 233694) si rischierebbe di assimilare e sovrapporre situazioni completamente diverse e di vanificare la ratio sottesa alle decisioni della Corte Europea. Infatti, sotto il profilo dell'effettività del diritto all'autodifesa, "farsi sentire" da un soggetto diverso da quello chiamato a decidere la causa e difendersi in un momento (nel caso di specie in sede di udienza di convalida dell'arresto) in cui l'addebito è ancora fluido e provvisorio non equivalgono al "diritto all'ascolto" di fronte a chi è chiamato a pronunciarsi sul merito di un'accusa tendenzialmente stabile.

3. Se l'orizzonte dell'art. 175 c.p.p., comma 2, è il decreto penale di condanna alle cui spalle si nasconda una conoscenza non effettiva del provvedimento, appare subito sintomatico che la L. n. 60 del 2005, abbia sostituito la prova negativa circa il deliberato sottrarsi dell'imputato alla sequenza di "atti" verso il "provvedimento" finale con la dimostrazione positiva della volontaria rinuncia a proporre opposizione: anzichè volgersi all'indietro, sino alla prima notificazione rifuggita, la dizione normativa porta a circoscrivere la rilevanza della condotta elusiva a quel determinato atto della serie immediatamente idoneo a provocare la facoltà di opposizione.
A favore di tale conclusione milita anche una più attenta analisi della differenza corrente tra l'avere notizia di un (qualsiasi) atto e il prendere davvero "conoscenza del procedimento". Nell'ottica della rinuncia inequivoca a proporre impugnazione si tratta di una differenza sostanziale, che induce a privilegiare il significato del termine "procedimento" legato al concetto di regiudicanda come "materia" dell'intera fattispecie giudiziaria: oggetto di formale contestazione, l'accusa funge da presupposto alla possibilità di esplicazione di ogni autodifesa. Se una simile consapevolezza dell'indagato va, quindi, esclusa nel primo contatto con gli organi investigativi, quando, come nel caso in esame, manchi la preventiva comunicazione dell'addebito, lascerebbe ugualmente insoddisfatti la conoscenza limitata ad un'accusa ancora fluida, non definita nei suoi connotati oggettivi e soggettivi, propria della fase delle indagini preliminari.
Nonostante l'espressione apparentemente impropria di "procedimento" contenuta nell'art. 175 c.p.p., comma 2, è da ritenere che esso si riferisca alla fase del "processo" tecnicamente inteso, unica sede in cui trova applicazione l'istituto della contumacia e si colloca un intervento difensivo qualificato dalla presenza dell'imputato.
Esiste, pertanto, una stretta e inscindibile correlazione tra "cristallizzazione" dell'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium - effettiva informazione in ordine ai fatti per cui si procede e al relativo materiale probatorio in esso contenuta - e la specifica scelta di proporre o meno opposizione. In tanto la rinuncia potrà dirsi consapevolmente effettuata e, quindi, volontaria anche se tacita, in quanto il titolare del diritto sia informato in ordine a una regiudicanda ormai identica all'imputazione che accompagna la vocatio in iudicium.

4. Sulla base di quanto sinora esposto, l'esigenza di non sovrapporre la conoscenza delle comunicazioni fornite nella fase delle indagini preliminari con l'informazione dell'esercizio dell'azione penale può essere ulteriormente colta proprio con riferimento al secondo requisito richiesto dall'art. 175 c.p.p., comma 2: la volontaria rinuncia a proporre opposizione.
La rinuncia di cui all'art. 175 c.p.p., comma 2, può consistere in un comportamento concludente, purchè inequivoco e rigorosamente accertato dal giudice con ogni necessaria diligenza (sent. Corte eur. dir. uomo 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia; sent. Corte eur. dir. uomo, 16 ottobre 2002, Einhorn c. Francia; Cass., Sez. 1, n. 14272 del 9 marzo 2006; Sez. 3, n. 13215 dell'1 febbraio 2006; Sez. 5, n. 6381 del 18 gennaio 2006; Sez. 5, n. 19363 del 13 aprile 2005), come del resto desumibile anche dalla circostanza che l'accertamento dei presupposti per la restituzione nel termine non è più effettuata sulla base di ciò che "risulta dagli atti" (secondo l'originaria previsione contenuta nel D.L. 21 febbraio 2005, n. 17), ma è affidato al giudice che, a tal fine, compie ogni "necessaria verifica".
La giurisprudenza di legittimità, rifuggendo da astratte generalizzazioni e valorizzando, piuttosto, un "metodo casistico", ha individuato, quali elementi concorrenti, univocamente indicativi della conoscenza effettiva del procedimento e/o del provvedimento e della volontà di non proporre opposizione la nomina di un difensore di fiducia, l'elezione di domicilio presso lo stesso, l'effettività della difesa fiduciaria nel corso del processo (Sez. 1, n. 29482 del 20 giugno 2006; Sez. 5, n. 25618 del 23 maggio 2006; Sez. 3, n. 33935 del 2 maggio 2006).
Ritenere che la rinuncia possa essere espressa mediante comportamenti concludenti non significa, però, ammettere presunzioni fondate su una conoscenza indiretta dell'apertura di un procedimento per poi inferire da esse una "volontaria" assenza dal processo: la rinuncia tacita deve consistere in un comportamento incompatibile con l'esercizio del diritto di proporre opposizione a decreto penale di condanna, preceduta, almeno, da una comunicazione all'imputato, che, secondo la Corte Europea, può essere fornita anche al difensore, qualora l'imputato abbia eletto domicilio presso quest'ultimo In tale prospettiva, l'avviso deve contenere le imputazioni contestate, la data del processo e l'indicazione delle conseguenze cui il soggetto va incontro in caso di mancata proposizione dell'opposizione, così da metterlo in condizione di scegliere "consapevolmente" come esercitare il proprio diritto di difesa (Sez. 4, n. 29977 del 19 giugno 2006; Sez. 2, n. 250141 del 23 giugno 2005). Poichè il rimedio di cui all'art. 175 c.p.p., comma 2, è riservato all'imputato contumace, per tale dovendosi intendere solo colui che non si è presentato senza avere addotto un legittimo impedimento, la condotta elusiva, per assumere rilievo, deve essere correlata al provvedimento idoneo a provocare la proposizione dell'opposizione.

5. Nel caso in esame il provvedimento impugnato non ha fatto corretta applicazione dei principi sinora illustrati.
Innanzitutto ha erroneamente ritenuto che, ai fini del diniego della istanza di restituzione nel termine, l'elezione di domicilio presso un difensore d'ufficio effettuata nella fase delle indagini preliminari sia equivalente alla conoscenza del "processo", introdotto da una formale vocatio in iudicium - contenente l'imputazione contestata, la data del processo e l'indicazione delle conseguenze derivanti dalla mancata proposizione dell'opposizione.
Inoltre, nella prospettiva della volontaria rinuncia a proporre opposizione (art. 175 c.p.p., comma 2), ha erroneamente attribuito rilievo ad una condotta elusiva non correlata ad un provvedimento idoneo a provocare la proposizione dell'opposizione.

6. Il provvedimento impugnato è viziato anche sotto un ulteriore profilo, quello concernente il valore delle notificazioni del processo effettuate al difensore d'ufficio dell'imputato.
L'occasio legis ed i considerata costituenti la premessa del D.L. n. 17 del 2005, poi convertito nella L. n. 60 del 2005, costituiscono elementi fondamentali per l'interpretazione della nuova disciplina, che è stata emanata a causa dell'urgenza di armonizzare la legislazione italiana al nuovo sistema di consegna del condannato tra gli Stati dell'Unione Europea, che consente alle autorità giudiziarie degli Stati membri di rifiutare l'esecuzione del mandato di arresto Europeo in base ad una sentenza di condanna in contumacia, ove non sia garantita - sempre che ne ricorrano i presupposti - la possibilità di un nuovo processo. Da qui la necessità, per il nostro ordinamento, di meglio adeguare il nuovo regime di impugnazione tardiva dei provvedimenti contumaciali ai principi di cui all'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e, conseguentemente, di introdurre anche nuove disposizioni in materia di notificazione all'imputato e di elezione di domicilio da parte della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato, i quali abbiano nominato un difensore di fiducia (art. 157 c.p.p., comma 8 bis, onde corrispondere più adeguatamente al principio di ragionevole durata del processo.
In tale ambito il legislatore ha introdotto una sorta di presunzione iuris tantum di non conoscenza, ponendo a carico del giudice l'onere di reperire negli atti l'eventuale prova in contrario e, più in generale, l'onere di effettuare tutte le verifiche occorrenti al fine di accertare se il condannato abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento e abbia volontariamente rinunciato a proporre opposizione (Sez. 1, n. 16002 del 6 aprile 2006). La nuova disciplina ha, quindi, introdotto una vera e propria inversione dell'onere probatorio, nel senso che non spetta più all'imputato dimostrare di avere ignorato l'esistenza del procedimento o del provvedimento senza sua colpa, ma è il giudice dell'esecuzione che deve provare, sulla base degli atti di causa, che l'imputato abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e che abbia volontariamente rinunciato a proporre opposizione.
Il novellato art. 175 c.p.p., non ha, però, inficiato la presunzione di conoscenza derivante dalla rituale notificazione dell'atto, limitandosi, infatti, ad escluderne la valenza assoluta e imponendo al giudice di verificare l'effettività della conoscenza dell'atto stesso e la consapevole rinuncia a comparire/impugnare (Sez. 1, n. 14265 dell'1 marzo 2006).
Ne consegue che, fermo restando il valore legale delle notificazioni ritualmente effettuate in conformità con le disposizioni vigenti, è necessario, alla luce delle modifiche apportate all'art. 175 c.p.p., che il giudice espliciti le ragioni per le quali una notificazione validamente eseguita alla stregua del vigente sistema codificato debba ritenersi dimostrativa della effettiva conoscenza da parte dell'interessato. Il giudice, quindi, è chiamato a fornire compiuta, puntuale e logica motivazione in ordine alle circostanze dedotte dall'interessato, il quale alleghi di non avere avuto conoscenza dell'atto, e, qualora ritenga di disattenderle, ai motivi per i quali esse non meritano accoglimento. Una conclusione del genere non confligge con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, la quale ha avuto modo di chiarire che tutti i sistemi conoscono presunzioni di fatto e presunzioni di diritto e che nella Convenzione non sussistono, in proposito, ostacoli di principio, ma è soltanto contemplato l'obbligo degli Stati contraenti di "non oltrepassare al riguardo una soglia ragionevole" (Sez. 1, n. 14265 dell'1 marzo 2006). In tale contesto il legislatore ha finito con il riconoscere implicitamente l'intrinseca debolezza delle cosiddette "presunzioni di conoscenza" legate alle notificazioni effettuate a norma dell'art. 161 c.p.p., comma 4, e art. 165 c.p.p., a mani di un difensore nominato d'ufficio all'imputato processato in contumacia, in quanto irreperibile o latitante.

Si deve, pertanto affermare il seguente principio di diritto: "le notificazioni al difensore d'ufficio siano, di per sè, inidonee a dimostrare l'effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento in capo all'imputato, salvo che la conoscenza non emerga aliunde ovvero non si dimostri che il difensore d'ufficio è riuscito a mettersi in contatto con l'assistito e ad instaurare con lo stesso un effettivo rapporto professionale (in senso conforme Sez. 1, n. 16002 del 6 aprile 2006; Sez. 1, n. 3998 del 18 gennaio 2006; Sez. 1, n. 32678 del 12 luglio 2006).
Pertanto, ai fini della decisione sull'istanza di restituzione nei termini per proporre opposizione al decreto penale di condanna, la notifica eseguita al difensore d'ufficio domiciliatario non è presuntivamente equiparabile a quella effettuata all'imputato personalmente.
7. Per tutte queste ragioni s'impone l'annullamento dell'ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco.

PQM

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2014


 

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