REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRANCO Amedeo - Presidente -
Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
Dott. MENGONI Enrico - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI CROTONE;
nei confronti di:
A.R.;
avverso la sentenza n. 41/2013 TRIBUNALE di CROTONE, del 19/11/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/05/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli, che ha concluso per l'annullamento con rinvio.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza 19.11.2014 il Tribunale di Crotone ha assolto A.R., perchè il fatto non sussiste, dal reato di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti nel quarto trimestre 2006, nel secondo terzo e quarto trimestre 2007 per un importo complessivo di Euro 2.708,76 e terzo trimestre 2009 per un ammontare di Euro 511,04.

Per giungere a tale conclusione, il giudice di merito ha rilevato che, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 224/1990, la legge delega non è meramente formale e non si limita a disciplinare i rapporti interni tra Parlamento e Governo, ma rappresenta una vera e propria fonte di norme giuridiche, con efficacia erga omnes e con tutte le valenze tipiche delle norme legislative (tra cui quella di poter essere utilizzate a fin interpretativi da qualsiasi organo chiamato a dare applicazione alle leggi).
Se dunque la legge delega n. 67/2014 non ha provveduto ad una formale depenalizzazione dell'illecito di cui all'art. 2 della legge del D.L. n. 463 del 1983, essa possiede tuttavia - ad avviso del giudice di merito - l'attitudine ad orientarne l'interpretazione e, più in particolare, ad integrarne il contenuto precettivo dal punto di vista dell'elemento costitutivo del reato e in particolare della necessaria offensività al bene giuridico protetto (o, anche, della soglia di punibilità della condotta), dovendosi ritenere, secondo una valutazione legale tipica, la non punibilità delle condotte al di sotto del parametro dei 10.000 Euro annui evasi.
Ad avviso del Tribunale una siffatta interpretazione non si pone in contrasto col principio della riserva assoluta di legge, che ha una funzione di garanzia del cittadino rispetto ad incriminazioni di fatti non sancite dal potere legislativo e quindi da ampliamenti della sfera di illiceità penale, mentre invece non vige nel caso di ampliamento della sfera di liceità penale in ossequio al generale principio del favor libertatis. Ha infine ritenuto non ostativo a tale interpretazione l'eventuale mancato esercizio della delega da parte del Governo nei diciotto mesi previsti dalla legge, trattandosi di un fenomeno analogo a quello dei decreti legge non convertiti o delle leggi ordinarie dichiarate incostituzionali.
Sulla base di tali argomentazioni, poichè nel caso di specie la condotta dell'imputata non aveva integrato la soglia di necessaria offensività stabilita dalla legge delega n. 67 del 2014, art. 2, andava pronunciata l'assoluzione perchè il fatto non sussiste.

2. Ricorre per saltum in cassazione il Pubblico Ministero denunziando la violazione della L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 2, comma 2, lett. c), (Delega al Governo per la Riforma della disciplina sanzionatoria): il giudice di merito ha attribuito alla norma giuridica contenuta nella legge delega - nelle more dell'emanazione del relativo decreto - effetti immediatamente precettivi nell'ambito della fattispecie incriminatrice sulla scorta di una formulazione dettagliata dei principi e dei criteri direttivi in essa contenuti.
Dopo avere riportato il contenuto della norma in questione e analizzato il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale 224/1990 richiamata dal Tribunale e, a suo avviso, inconferente nel caso di specie, il ricorrente critica la natura self executive attribuita dalla sentenza impugnata alla novella del 2014, evidenziando addirittura un'ipotesi di eccesso di potere censurabile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), in quanto si realizzerebbe di fatto l'esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge all'organo esecutivo. Il Tribunale, secondo la tesi del ricorrente Pubblico Ministero, ha dedotto in sostanza l'immediata efficacia di una legge delega che, viceversa, per espressa volontà del legislatore, necessita dei successivi decreti legislativi attuativi, e una tale interpretazione porrebbe evidenti profili di illegittimità costituzionale della legge delega per violazione dell'art. 76 della Costituzione nella parte della formulazione in cui porti già scritto il futuro decreto legislativo: in tal caso il delegato si ridurrebbe ad una mera "longa manus" del potere legislativo.

Altro errore addebitato dal ricorrente al giudice calabrese sta nell'aver trascurato che il legislatore delegato, per le violazioni "sotto soglia" dei 10.000 Euro, ha comunque previsto una sanzione amministrativa, e dunque non ha inteso ritenere completamente inoffensiva la condotta omissiva: l'assoluzione dell'imputata senza neppure disporre la trasmissione degli atti all'amministrazione competente ad irrogare la sanzione amministrativa crea evidenti disparità di trattamento nei confronti delle stesse condotte che saranno oggetto di giudizio dopo l'adozione dei decreti di attuazione che contempleranno, al contrario, sempre una sanzione amministrativa: sussiste dunque la violazione della riserva assoluta di legge.
Richiama infine la giurisprudenza di legittimità sulla attuale vigenza della fattispecie di reato di cui si discute.

Motivazione

1. Innanzitutto, va rilevata, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., la prescrizione del reato in relazione alle omissioni contributive fino a giugno 2007.

Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali ha natura di reato omissivo istantaneo per il quale il momento consumativo coincide con la scadenza del termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento ed attualmente fissato, dal D.Lgs. n. 422 del 1998, art. 2, comma 1, lett. b), al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi (v., tra le varie, Sez. 3^ n. 20251, 14 maggio 2009). Va poi considerato il periodo di sospensione legale di tre mesi (ai sensi del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1 quater, convertito nella L. 11 novembre 1983, n. 638).

Ebbene, nel caso di specie, prendendo in esame la mensilità giugno 2007, il momento consumativo va fatto risalire al 16 luglio 2007 (giorno 16 del mese successivo) e, tenuto contro del trimestre di sospensione legale, il termine prescrizionale ha iniziato a decorrere il 16 ottobre 2007 sicchè, non ravvisandosi periodi di sospensione del procedimento (cfr. atti) il termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi (cfr. art. 157 cp) è venuto a scadere il 16 aprile 2015.
A maggior ragione la prescrizione è maturata anche per le violazioni relative alle mensilità precedenti.

Devono trovare applicazione i principi di recente ribaditi dalle Sezioni unite (cfr. Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Ud. dep. 15/09/2009 Rv. 244274), secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.
Nel caso di specie, non ricorrendo le anzidette condizioni va senz'altro applicata la causa estintiva limitatamente alle violazioni dei mesi di aprile e maggio 2007 e la sentenza impugnata, entro tali limiti, va pertanto annullata senza rinvio.

2. Per le violazioni relative alle mensilità successive, non coperte da prescrizione, ritiene il Collegio che il ricorso del Pubblico Ministero sia fondato.
La L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 2, ha conferito al Governo la delega per la riforma del sistema sanzionatorio. Per quel che qui più interessa, l'art. 2, lett. c), del predetto provvedimento ha sancito la trasformazione in illecito amministrativo del delitto di cui al D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1 bis; purchè, stabilisce la legge delega, il mancato versamento delle ritenute previdenziali non superi la soglia di 10.000 Euro annui.

Questa Corte, già con la sentenza Napoli (Sez. F, Sentenza n. 38080 del 31.7-17.9.2014, non massimata) ha affermato che la fattispecie in esame è tuttora prevista come reato, limitandosi la legge. 28 aprile 2014, n. 67 a stabilire una delega al governo in materia di pene detentive non carcerarie, perciò non apportando in nessun modo modifiche alla figura di reato in oggetto, essendo tale funzione affidata alla futura decretazione delegata.
Analogo principio si trova espresso nella sentenza Sez. 1, n. 44977 del 19/09/2014 - dep. 29/10/2014, P.G. in proc. Ndiaye e altri, Rv. 261124, riguardante però un'altra ipotesi di reato, e poi, ancora con riferimento nuovamente all'omissione contributiva, nella sentenza Carnazza (Sez. 3, Sentenza n. 20547 del 14.4 - 19.5.2015). Il principio va senz'altro ribadito.

La questione di diritto che il Collegio è ora chiamato ad affrontare sta nello stabilire se sia giuridicamente corretta una pronuncia di assoluzione ex art. 129 cpp dal reato di omesso versamento di contributi previdenziali motivata con l'assenza di idoneità offensiva dei beni giuridici tutelati in considerazione dell'importo dell'omissione (alla luce della previsione dell'art. 2, della legge delega citata).

La risposta da dare al quesito è negativa.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 139 del 2014 (con cui è stata dichiarata l'infondatezza della questione di legittimità dell'art. 2 d.l. 463/1983) ha affermato che "resta precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare - alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della condotta concreta - se essa, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati".

Come già rilevato da questo Collegio con la citata sentenza Carnazza, muovendo da tale "monito", alcune delle decisioni che hanno optato per l'esito assolutorio, hanno ritenuto che la disobbedienza dell'imprenditore all'obbligo di versare i contributi previdenziali non aveva pregiudicato in concreto il bene giuridico oggetto di tutela del D.L. n. 463 del 1983, art. 2, (ossia la tutela previdenziale del lavoro e dei lavoratori). La mancanza di offensività nell'illecito penale contestato assumerebbe, peraltro, contorni ancora più netti in forza dei principi enunciati nella legge delega n. 67 del 2014, ove si prospetta la depenalizzazione del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali.

Seguendo tale indirizzo, dunque, il Tribunale di Crotone, anche se premette di condividere il principio di diritto sopra richiamato (e cioè che la legge delega non ha provveduto ad una formale depenalizzazione del reato di omesso versamento di contributi previdenziali), finisce però di fatto inevitabilmente per attribuire capacità normativa immediata ai criteri direttivi impressi nella legge delega in materia di depenalizzazione, ma - a ben vedere - si spinge addirittura oltre laddove, partendo dal mero dato quantitativo della soglia dei 10.000 Euro, ravvisa, per le violazioni al di sotto di essa (come quella di cui oggi si discute), una assenza assoluta di inoffensività nei confronti dei beni giuridici tutelati, che per la verità neppure il legislatore delegante ha voluto, tant'è che ha previsto la trasformazione del reato in illecito amministrativo con conseguente applicazione di una sanzione pecuniaria.

Il ragionamento mostra proprio qui il suo punto debole: un'eventuale soluzione in senso assolutorio perchè il fatto non sussiste, in relazione alla L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1 bis, pare, nel momento odierno ai assenza di una precisa norma depenalizzatoria che volga ad amministrativo un illecito oggi ritenuto penale, del tutto irragionevole.
Se si dovesse pronunciare proscioglimento (o annullare senza rinvio) per tutti coloro i quali ad oggi, al ai sotto della quota ritenuta di Euro 10.000,00, non hanno versato i contributi previdenziali previsti ex lege, si aprirebbe il campo ad una impunibilità generale per chi comunque violi un obbligo degno di interesse di tutela (cfr. sentenza n. 20547/2015 cit.).
L'intenzione del Parlamento, infatti, non è quella di dismettere totalmente la punibilità per i fatti di omesso versamento delle ritenute previdenziali al di sotto dei 10.000,00 Euro, bensì di assoggettarli unicamente ad una sanzione amministrativa. La stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di rilevare come "il mancato adempiente dell'obbligo di versamento dei contributi previdenziali determina un rischio di pregiudizio del lavoro e dei lavoratori, la cui tutela è assicurata da un complesso di disposizioni, costituzionali contenute nei principi fondamentali e nella parte della Costituzione (artt. 1, 4, 35 e 38 Cost.)" (sentenza n. 139 del 2014, citata).

Ed allora appare del tutto evidente come la disapplicazione del dettato normativo L. n. 638 del 1983, ex art. 2, comma 1 bis, che prevede la sanzione penale della reclusione fino a tre anni la multa sino ad Euro 1.032,00 - lungi dal rispettare il criterio di inoffensività a cui l'impugnata sentenza si ispira - si prospetta, al contrario come del tutto lesiva dell'interesse giuridico tutelato.
Tale pena è, infatti, l'unica ad oggi prevista dall'ordinamento giuridico italiano per la violazione degli obblighi previdenziali di versamento di ritenute, dunque occorre ritenerla tuttora applicabile.
Infine - come pure ben ha sottolineato il Pubblico Ministero ricorrente - con l'assoluzione sic et simpliciter il Tribunale incorre in una evidente disparità di trattamento rispetto ad analoghe fattispecie che in caso di intervento de, decreti attuativi verranno invece sanzionate in via amministrativa. E, aggiunge il Collegio, anche con danno per l'Erario che, in tal modo si verrebbe privato del diritto di incamerare qualsiasi tipo di sanzione (cosa che la legge delega esclude decisamente perche - lo si ripete ancora una volta - ha previsto in futuro la punizione con sanzione amministrativa).
La sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro (ex art. 569 c.p.p., comma 4) che si uniformerà agli esposti principi.

PQM

annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente agli omessi versamenti fino al mese di giugno 2007 perchè i relativi reati sono estinti per prescrizione e con rinvio alla Corte d'Appello di Catanzaro in ordine alle restanti omissioni.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2015


 

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