LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARMENINI Secondo Liber - Presidente -
Dott. IANNELLI Enzo - Consigliere -
Dott. GENTILE Domenico - Consigliere -
Dott. TADDEI Margherita - Consigliere -
Dott. VERGA Giovanna - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) S.E. N.;
2) B.F. N.;
avverso la sentenza n. 1543/2010 Corte Appello di Torino, del 25/03/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in Pubblica Udienza del 28/03/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Enzo Iannelli;
Letti gli atti, la sentenza impugnata, il ricorso;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udito il Sostituto Procuratore Generale, Giovanni D'Angelo, che chiede il rigetto dei ricorsi.

Motivazione

1 - Con sentenza in data 25.3/23.6.2011 la corte di appello di Torino, in parziale riforma della pregressa sentenza, in abbreviato, del gup del tribunale di Ivrea datata 1.10.2009, condannava, tra gli altri, S.E. e B.F. alle pene, il primo, di anni nove e mesi due di reclusione, il secondo di anni nove e mesi quattro di reclusione per i delitti, in continuazione, di tentato omicidio, rapina, lesioni personali aggravate, così riqualificati i fatti da tentato omicidio plurimo ritenuti in primo grado, e furto.
2 - In breve i fatti come ricostruiti dai giudici di merito: i due imputati, insieme ad altri due correi, V.V.I., alias P.I. e B.G. il ______ si introducevano, travisati, nel convento dei frati minori francescani di Nostra Signora di Belmonte, in _____, si munivano di pesanti bastoni reperiti in un deposito - attrezzi del convento e, dividendosi i compiti, aggredivano, ognuno per frate, i quattro religiosi, M.G. di anni 86, Ba.Gi. di anni 81, G.B. di anni 76 e Ba.Se. di anni 49, colpendoli al capo ed al torace, specie il V. accanendosi contro quest'ultimo tanto da cagionargli gravi danni cerebrali che imponevano un immediato intervento chirurgico che valse a salvargli la vita. Quindi si impossessavano di due carte di credito e di una somma imprecisata, allontanandosi dalla scena del delitto dopo aver legato ed imbavagliato i frati tranne Ba.Se.. lasciato agonizzante a testa in giù in una pozza di sangue. Tutti gli imputati, tranne il V., si erano resi responsabili nei mesi precedenti di furti ai danni del convento: precisamente di quattro il, B.F., di tre lo S., di due il B. G..
Nel corso del giudizio S. ed i due fratelli B. rendevano ampia confessione al P.M. In esito alle indagini, le imputazioni come poco sopra indicate, modificata solo quella di tentato omicidio inizialmente contestato a tutti gli imputati ai danni di tutte le persone lese, in lesioni aggravate ai danni di M., Ba. e G. e confermando il delitto di tentato omicidio per tutti ma solo ai danni di B.S..
Con riferimento a quest' ultimo delitto, per la cui configurazione si rivolgono le critiche più diffuse dei due ricorrenti, i giudici dell'appello, premesso che l'azione dell'autore materiale, il V. V.I., doveva ritenersi sorretta dal dolo intenzionale, per le caratteristiche della condotta lesiva, reiterata, sorretta da violenza inaudita, mirata a zone corporee vitali, attuata con uno strumento micidiale per peso e solidità, hanno ritenuto, in base ad un duplice criterio di ragione, di attribuirne la responsabilità anche agli altri correi in forza dell'accettazione,da parte loro, del rischio che l'azione potessi trasmodare in evento letale. E,su questo versante hanno ritenuto di attribuire il tentativo di omicidio ai concorrenti morali del fatto a titolo di dolo eventuale: perchè l'azione omicidiaria era collegata da un rapporto di regolarità causale con quella preordinata e realizzata al fine di cagionare le lesioni, immobilizzare i frati per impossessarsi dei valori rinvenuti nel convento e perchè con riferimento al solo padre B. vi erano motivi di rancore e di risentimento da parte dello S. che proprio B. aveva allontanato dal convento, dove aveva in precedenza lavorato, per via delle sue pretese economiche e per via di presunti pregressi rapporti intimi intessuti tra lo S., B. ed altri due frati.

3 - Le ragioni di doglianza dei due ricorrenti, pur contenuti in due rispettivi atti di impugnazione, sono peraltro comuni: la prima contesta, in prima battuta, in radice ed in diritto che sia possibile attribuire il tentativo di omicidio ai concorrenti morali che agiscono con dolo eventuale, rappresentandosi cioè in positivo la possibilità che l'azione diretta a ledere tracimi nella volontà di uccidere. In seconda battuta i ricorrenti deducono che al più si potrebbe solo ritenere che a caratterizzare la loro azione in relazione all'evento morte fosse solo la rappresentazione, ma in negativo, della possibile causazione dell'evento più grave con la conseguente applicazione dell'attenuante di cui all'art. 116 cpv.
c.p.
La seconda ragione sorregge il comune tentativo di indurre questa Corte a riconoscere la manifesta illogicità della motivazione in merito alla determinazione della pena, la cui riduzione dovrebbe collegarsi al riconoscimento della ingiustificata equivalenza,e non della prevalenza, delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, ingiustificata per via della confessione tempestiva dei due imputati e per la contraddittorietà del medesimo trattamento a loro riservato, in punto di giudizio di equivalenza dell'attenuante, con quello riconosciuto all'autore materiale del tentato omicidio che si era indotto alla confessione solo nel corso dello svolgimento del giudizio abbreviato.

4 - I due ricorsi non sono fondati e pertanto vanno respinti.
Deve subito rimarcarsi una incongruenza, anche se non influente sul dispositivo di condanna nel discorso giustificativo giudiziale in ordine alla ritenuta responsabilità dei due imputati per il delitto di tentato omicidio ai danni i B.S.. Invero costituisce regola iuris ormai consolidata l'incompatibilità del tentativo con il dolo eventuale, elemento soggettivo del reato, quest'ultimo, che ricorre allorquando l'agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenti la concreta possibilità del verificarsi di una diversa conseguenza della propria condotta ciononostante, agisca accettando il rischio di cagionarla (v., per tutte, Sez. 1, 31.3/2.7.2010, Vismarq, Rv. 247707). Ne consegue che il dolo eventuale non è configurabile nel caso di delitto tentato, in quanto è ontologicamente incompatibile con la direzione univoca degli atti compiuti nel tentativo, che presuppone il dolo diretto.
Ora una tale conclusione non può registrare eccezioni una volta che l'attribuibilità del delitto tentato venga collegata al concorrente morale, dal momento che anch'egli deve rappresentarsi l'idoneità e l'inequivocità degli atti propri della autore materiale del delitto.
Ne consegue che è erronea l'affermazione di diritto contenuta nella sentenza che ripete una risalente massima, anch'essa erronea, che recita testualmente: "perche il concorrente morale risponda del delitto di tentato omicidio, non è necessario, come per l'esecutore materiale, che l'evento-morte sia stato da lui voluto con dolo diretto, ma è sufficiente che sia stato voluto con dolo eventuale: il che significa che il concorrente morale deve aver concorso all'azione dell'esecutore materiale non soltanto prevedendo in concreto l'evento-morte come possibile conseguenza dell'azione concordata, ma addirittura accettandone il rischio di accadimento, pur di realizzare l'azione concordata (Sez. 1, 12.6/8.7.10991 Ventura Rv. 187758).
Senonchè dalla lettura della sentenza impugnata si trae con particolare chiarezza che l'effettiva situazione psicologica dei concorrenti doveva correttamente inquadrarsi nel dolo diretto o alternativo che sia. In tema di delitti omicidiari, deve qualificarsi come dolo diretto, e non meramente eventuale, quella particolare manifestazione di volontà dolosa definita dolo alternativo, che sussiste quando il soggetto attivo prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro degli eventi (nella specie, morte o grave ferimento della vittima) causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, con la conseguenza che esso ha natura di dolo diretto ed è compatibile con il tentativo. I giudici dell'appello hanno richiamato in proposito, quale referente per la decisione de qua, la massima giurisprudenziale alla cui stregua il 1° omicidio ad opera di uno dei concorrenti in seguito alla rapina a mano armata deve ritenersi legato alla rapina da "un rapporto di regolarità causale e può considerarsi un evento che rientra secondo l'id quod plerumque accidit nell' ordinario sviluppo della condotta di rapina". Hanno aggiunto poi che la morte del religioso non poteva non essere contemplata ed accettata nella particolare situazione di fatto come possibilità non remota o straordinaria, ma come possibilità costituente prevedibile sviluppo della azione concordata. Ed hanno infine concluso che tutti i concorrenti, accettandone la possibilità di accadimento - morte - "ne hanno preventivamente approvato la verificazione". Il che costituisce l'esplicitazione chiara di una rappresentazione in positivo della figura del dolo alternativo che in tanto sussiste in quanto l'agente si rappresenta, accettandoli, e vuole indifferentemente l'uno o l'altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, sicchè già al momento della realizzazione del fatto di reato egli deve prevederli entrambi. Vi è allora piena compatibilità tra tentativo penalmente punibile e dolo alternativo, poichè la sostanziale equivalenza dell'uno e dell'altro evento, che l'agente si rappresenta indifferentemente, entrambi come eziologicamente collegabili alla sua condotta o a quella altrui, alla quale concorre, comporta che questa forma di dolo è diretta, atteso che ciascuno degli eventi è ugualmente voluto dal reo.
5- Inammissibile invece la seconda ragione di doglianza: i giudici di merito hanno valutato, per ritenere solo equivalenti le attenuanti generiche, pur concesse, la gravità dei fatti, le modalità cruente delle rispettive condotte, pervenendo ad una valutazione, che ha tenuto conto del numero dei reati satelliti di furto attribuiti, in maggior e o minore misura, ai singoli imputati, e che si sottrae come tale al sindacato che tende a soppesare, sul piano squisitamente di merito, la maggior correttezza o meno del discorso giustificativo.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati in solido al pagamento delle spese del procedimento.

PQM

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2012


 

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