REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI PALERMO SEZ. STAC. DI CATANIA – SEZIONE 18
riunita con l’intervento dei Signori:
AREZZO DOMENICO – Presidente
FAILLA CARMELO - Relatore
SCHININà GIAMBATTISTA - Giudice
ha emesso la seguente
SENTENZA
- sull'appello n.926/11
depositato il 17/02/2011
- avverso la sentenza n.200/4/10
emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di RAGUSA
proposto dall'ufficio: AGENTE DI RISCOSSIONE RAGUSA RISCOSSIONE SICILIA SPA
difeso da:
___________
controparte:
________
difeso da:
_____________
Atti impugnati:
CARTELLA DI PAGAMENTO N.16

Svolgimento del processo

Ricorre il Sig. _____ avverso la comunicazione di avvenuta iscrizione ipotecaria notificato da Serit Sicilia S.p.a. in data 30.01.2005, con il quale si chiede il pagamento della somma di €. 77.559,09 portata da n.28 cartelle di pagamento non tutte carichi di natura tributaria.
Eccepisce la nullità dell'atto sotto diversi profili: per la mancata notifica delle cartelle presupposte; per la mancata indicazione degli immobili ipotecati e della data di iscrizione ipotecaria; per la mancata indicazione del responsabile del procedimento; per difetto e/o inesistenza delle notifiche; per la mancata notifica di intimazione ad adempiere.
Rimane contumace Serit Sicilia S.p.a.

La Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa, con sentenza n.200 del 26.03- 13.04.2010, ha accolto il ricorso limitatamente ai ruoli di natura tributaria, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione per i ruoli di natura non tributaria, e ha compensato le spese.
Propone appello Serit Sicilia S.p.a., in persona del legale rappresentante, deducendo che le cartelle erano state regolarmente notificate, e producendo copia di estratti di ruolo e relate di notifica.
Si costituisce in giudizio il Sig. ______, eccependo l'inammissibilità dell'appello per violazione dell'art.57 del D.Lgs n.546/1992, in quanto le deduzioni dell'appellante costituiscono domanda nuova, sia per la violazione dell'art.5 del medesimo decreto, per violazione del divieto di nuove prove in appello.

Motivazione

Osserva questo Collegio che l'appello è infondato, e va conseguentemente rigettato.
Serit Sicilia S.p.a. è rimasta contumace nel giudizio di primo grado, e conseguentemente il Giudice di prime cure ha accolto il ricorso rilevando il difetto di prova della notificazione degli atti presupposti. Appellando la detta sentenza, Serit Sicilia S.p.a. produce solo in grado di appello la documentazione probatoria: sulla base di una consolidata giurisprudenza di questo Collegio, la produzione è inammissible.
Le relate dovevano essere prodotte in originale, o in copia conforme all'originale, già nel giudizio di primo grado, ma Serit Sicilia S.p.a. non si è addirittura costituita in giudizio. L'appellante, inoltre, non ha neanche dedotto (nè tantomeno dimostrato) di non aver potuto fornire in I grado, per causa ad essa non imputabile, le prove offerte in questo grado di giudizio.
L'art.58 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, da un lato vieta prove nuove in appello, salvo la loro necessità o la loro inammissibilità in primo grado per causa non imputabile (comma 1); dall'altro lato, ammette la produzione di documenti nuovi (comma 2). Ne consegue -pena interpretatio abrogans- l'esigenza di distinguere rigorosamente fra le due ipotesi, nel senso che il documento di cui sia consentita la produzione non deve avere valenza probatoria. In altre parole, il ricorso è fondato o meno secondo che non sussista o sussista l'adempimento de quo.
Ne deriva la violazione dell'art.58, comma 1, citato.
La significativa recente modifica legislativa che ha disciplinato con rigore la produzione di documenti in appello nel processo ordinario (art.345 c.p.c.), rende plausibile l'interpretazione restrittiva dell'art.58 comma 2 cit., nel senso che la novità del documento non sussiste se lo stesso era disponibile già nel primo grado (con la preclusione sancita dall'art.32 D.Lgs. 546/1992). Questa illazione è confortata dal rilievo che la produzione de qua viola non solo il principio di lealtà processuale ma soprattutto il diritto di difesa sotto il profilo della facoltà di deduzione di motivi aggiunti (art.32 cit.), ammessa soltanto in primo grado: con la conseguenza che l'appellato, potendo contestare il documento (qui decisivo), perderebbe un grado di giudizio per la negligenza della controparte.

In altre parole ai sensi dell'art.58, da un lato è sancito il divieto di nuove prove in appello, e dall'altro tale rigore è temperato dalla possibilità di produrre nuovi documenti. Ma tale possibilità non deve vanificare il divieto di cui al primo comma, tenuto conto che le prove, nel processo tributario, sono solo documentali, non potendosi considerare prove gli accertamenti (tecnici e/o contabili). Ed allora si deve ritenere che il fine del legislatore va inteso nel senso che le nuove prove restano vietate in appello, mentre sono ammessi i documenti che non costituiscono una nuova prova ma solo quelli che intendano costituire aggiunta o chiarimento delle prove già offerte, nei modi e nei termini di cui all'art.32. E ciò al pari di quanto disposto per le nuove domande e per le nuove eccezioni ex art.57 del D.Lgs. n.546/1992.
La ratio del divieto di cui al citato I comma va, d'altra parte, ricercata in incontestabili esigenze di ordine costituzionale; ed in particolare nell'applicazione del principio della ragionevole durata del processo (art.111 Cost.) e della garanzia del pieno diritto alla difesa (art.24, comma II, Cost.), che, a causa del comportamento omissivo di una parte, ad es. contumace per sua scelta in primo grado, sarebbe precluso, o ampiamente ridotto all'altra parte, la quale inoltre perderebbe il doppio grado del giudizio di merito.
Si deve infine rilevare che una interpretazione diversa del combinato disposto dei due commi del cit. art.58, comporterebbe una violazione delle richiamate vincolanti disposizioni costituzionali, laddove invece la data interpretazione appare, decisamente più costituzionalmenta orientata.
Si deve dunque ritenere (seguendo peraltro un consolidato indirizzo di questa Commissione Tributaria Regionale) inammissibile la produzione documentale dell'appellante, coerentemente omesse le notifiche delle cartelle, e nulle le iscrizioni a ruolo, con consequenziale conferma della sentenza appellata.
Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano a carico di Serit Sicilia S.p.a. in misura di € 1.500,00 per il giudizio di appello, mentre appare giusta la compensazione delle spese di primo grado.

PQM

Rigetta l'appello e conferma la sentenza impugnata. Condanna Serit Sicilia S.p.a. al pagamento delle spese processuali, in favore del sig. _______ che si liquidano in misura di € 1.500,00 come da dispositivo, oltre accessori di legge.
Così deciso in Catania, il 9 gennaio 2014
Depositata in segreteria il 22.01.2015


 

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