REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido - Presidente -
Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere -
Dott. BERRINO Umberto - Consigliere -
Dott. ARIENZO Rosa rel. Consiglie -
Dott. MAROTTA Caterina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25443/2010 proposto da:
B.P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONCA D'ORO 184/190 PAL D., presso lo studio dell'avvocato DISCEPOLO Maurizio, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti; - ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA; - intimato -
avverso la sentenza n. 575/2010 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 29/06/2010 R.G.N. 285/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2013 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;
udito l'Avvocato PERUCCA DIEGO per delega DISCEPOLO MAURIZIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l'inammissibilità o in subordine rigetto.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 29.6.2010, la Corte di appello di Bologna accoglieva parzialmente il gravame proposto da B.P.L. e, in parziale riforma della decisione di primo grado, determinava complessivamente il danno, ulteriore rispetto a quello già liquidato in Euro 10.000,00, oltre accessori. La controversia, decisa in senso in parte favorevole al ricorrente, aveva ad oggetto il diritto del predetto ad ottenere, dal Ministero della Giustizia, il risarcimento del danno derivante da perdita di chance (assegnazione di posizione di dirigente della Cancelleria della Corte d'appello di Ancona), pregiudizio quantificato dal Tribunale in Euro 3551,27.
La Corte territoriale, premesso che già il giudice anconetano anche in sede di gravame aveva vagliato la vicenda rilevando che il dicastero avrebbe dovuto diversamente prendere in considerazione i titoli del B., osservava che il thema decidendum era relativo alla lamentata non corretta valutazione della percentuale di possibilità di prevalere, da parte del predetto, rispetto al collega G. più giovane e portatore di titoli inferiori, sia numericamente che quanto alla loro valenza intrinseca. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che la perdita di chance fosse da commisurare ad una percentuale del 50% e tale decisione era da condividere, in quanto i concorrenti erano due, entrambi aventi titolo a vincere il concorso, onde la ripartizione delle chances era l'effetto di un agevole computo numerico, corrispondente ad un'esatta bipartizione tra i due aspiranti. Non poteva trovare ingresso un computo percentuale più favorevole in quanto si sarebbe derogato a principio vincolante secondo il quale la materia inerente i concorsi banditi dalla P. A. era di pertinenza del giudice amministrativo.
Osservava il giudice del gravame che la disamina di competenza del G.O. era la mera valutazione della entità della perdita di chances, conseguente ad accertata non congrua valutazione da parte della P.A. (accertata nel contesto giurisdizionale ordinario di Ancona e fatta propria dalla stessa Amministrazione che aveva corretto la sua valutazione originaria in favore del G. sovrapponendone un'altra, in ossequio appunto ai criteri informatori della sentenza del Giudice anconetano) e rilevava che la bipartizione nella misura del 50% di chances era l'effetto, unico consentito, di accedere, valutativamente, nella attività tipica della P.A., individuando quale fosse l'aspettativa del singolo candidato - al solo fine di determinare la correlata entità degli effetti risarcitori - essendo demandata, per contro, al soggetto esaminatore in sede amministrativa e, quindi, all'eventuale successivo organo giurisdizionale competente, la effettiva quantificazione dei titoli di un candidato rispetto all'altro e, quindi, la determinazione della definitiva percentuale di vittoria.
Quanto all'entità dei danni rilevava che non poteva trovare accoglimento l'eccezione del dicastero, che aveva ritenuto l'insussistenza di qualsivoglia danno per essere la sede distrettuale di Bologna, cui era stato destinato il B., di maggiore prestigio di quella di Ancona, ed osservava che quest'ultimo, che aveva ottenuto la sede di Bologna in fase successiva e surrogatoria, aveva subito effetti pregiudizievoli correlati ad una valutazione non congrua e come tale doverosamente rinnovata da parte della P.A.
Rilevava che di tanto aveva dato atto la sentenza impugnata che, sul punto, non era stata censurata. Determinava, infine, i danni conseguenti ad un pendolarismo cui era stato costretto il B. e procedeva alla relativa liquidazione in conformità alle conclusioni dell'espletata c.t.u. ed in base a criterio equitativo, per un importo di Euro 10.000,00, oltre alle spese vive documentate. Negava, invece, il risarcimento del danno esistenziale, ritenendo che lo stesso rappresentasse una voce non autonoma del danno biologico.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il B., affidando l'impugnazione a due motivi.
Il Ministero è rimasto intimato.

Motivazione

Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione dei principi generali in materia di valutazione e determinazione del danno da perdita di chance (art. 1223 c.c.), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, assumendo che la conclusione cui è pervenuta la Corte del merito è fondata su di un inconferente criterio matematico, basato sul rapporto percentuale tra i due concorrenti, entrambi ipoteticamente ed astrattamente aventi titolo a conseguire il posto messo a concorso, e lamentando che la Corte di Bologna non ha operato alcuna valutazione comparativa dei titoli dedotti dal ricorrente rispetto a quelli posseduti dal vincitore, avendo affermato aprioristicamente che la ripartizione delle chances era l'effetto di un computo metrico corrispondente ad un'esatta bipartizione tra gli aspiranti. Non può, secondo il ricorrente, non considerarsi che il potere discrezionale del datore di lavoro trova il limite nella necessità che lo stesso fornisca adeguata ed effettiva motivazione delle operazioni valutative e comparative connesse alla selezione e tale petizione di principio è irrilevante in relazione alla diversa questione della determinazione delle percentuali di chances che il giudice è chiamato a valutare in relazione alla possibilità che il ricorrente aveva di conseguire l'assegnazione del posto messo a concorso ove non fossero stati adottati gli atti riconosciuti illegittimi con i quali il posto è stato assegnato ad altro candidato. Osserva il B. che la sua pretesa di riconoscimento di un danno almeno del 75% è stata respinta senza che fosse operata alcuna valutazione comparativa in merito a tutti i concreti elementi, concernenti i titoli ed, in generale, la durata e la qualità della vita professionale, offerti da esso ricorrente. Doveva, a suo dire, la Corte valutare gli elementi allegati per giudicare se era stata fornita la prova, sia pure in via presuntiva e probabilistica, e considerare la concreta possibilità di essere selezionato, nonchè la sussistenza del nesso causale fra inadempimento ed evento dannoso, vagliando gli elementi di fatto (di cui alla lex specialis della procedura, quali risultati conseguiti nello svolgimento di precedenti funzioni dirigenziali ed incarichi ispettivi di consulenza, contributi ed esperienze professionali utilizzati dalla P.A., formazione professionale, titoli culturali, anzianità di servizio, etc.) idonei a far ritenere che il regolare svolgimento della procedura selettiva avrebbe comportato una concreta, e non ipotetica, probabilità di vittoria.

Con il secondo motivo di ricorso, il B. si duole della omessa pronunzia su un capo della domanda, rilevando cha la Corte di Bologna non ha motivato in merito alla pretesa di restituzione di tutte le spese sostenute dal ricorrente in conseguenza della mancata assegnazione dell'incarico di dirigente della Cancelleria della Corte d'appello di Ancona, spese quantificate in Euro 2805,91 fino al maggio 2004, oltre le successive fino al 30.3.2007, ammontanti ad Euro 5540,41, come documentate in atti, per un totale di Euro 8.346,72, importo non contestato dall'amministrazione resistente.
Evidenzia che non rileva che il trasferimento sia stato disposto a domanda, posto che esso è avvenuto all'esito di interpello per l'attribuzione di incarico dirigenziale di fascia superiore per consentire lo sviluppo di carriera ingiustamente preclusa con gli atti annullati in sede giurisdizionale e sostiene che la valutazione riduttiva cui è pervenuta la Corte non sia giustificata.
Quanto alla mancata quantificazione del danno esistenziale, richiama un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., anche quando non sussista un fatto reato ed evidenzia la significativa variazione peggiorativa della vita in conseguenza dei viaggi da sostenere per raggiungere la sede più lontana, valutabile in termini di danno esistenziale anche quale voce non autonoma compresa nel danno biologico.

Il ricorso è inammissibile per la mancanza di specificità dei motivi.
E' principio pacifico quello per il quale il lavoratore che lamenti la violazione, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di osservare, nell'espletamento di una procedura concorsuale per la promozione ad una qualifica superiore, criteri di correttezza e buona fede in ordine allo svolgimento delle procedure e al rispetto della "par condicio" fra gli aspiranti (e, in particolare, il principio di obiettività e trasparenza, da cui deriva la necessità di motivare la scelta di un candidato piuttosto che un altro), chiedendo il risarcimento dei danni derivantigli dalla perdita della possibilità di conseguire la promozione (perdita di "chance"), ha l'onere di provare anche gli elementi atti a dimostrare, pur se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo delle probabilità, la possibilità che egli avrebbe avuto di conseguire la promozione, non avendo diversamente nessun interesse processuale ad una dichiarazione di illegittimità di una procedura concorsuale alla quale sia indifferente (cfr. sullo specifico tema, Cass. 3 marzo 2010, n. 5119, Cass. 2 febbraio 2009, n. 2581). Nel caso in esame la declaratoria di illegittimità consegue alla mancata indicazione degli elementi atti alla valutazione richiesta, elementi che il ricorrente avrebbe dovuto richiamare come già dedotti ed allegati nelle fasi del merito.
Peraltro, non si indicano neanche i criteri di valutazione stabiliti dal bando di concorso, nè quest'ultimo risulta depositato o indicato come prodotto tra i documenti allegati alla produzione di parte del giudizio di merito, pur costituendo la lex specialis sulla cui base dovevano essere vagliati i titoli che avrebbero giustificato, ove messi in relazione con quelli del collega G., una maggiore probabilità di conseguire la promozione di quella ritenuta dal giudice del merito. Ciò si traduce in una mancanza di autosufficienza del ricorso nei termini in cui risulta articolata ciascuna delle doglianze, rilevandosi che non risulta depositata neanche la sentenza del Tribunale di Ancona dalla quale sarebbe potuto emergere che la declaratoria di illegittimità del precedente provvedimento sfavorevole era connessa alla valutazione degli stessi elementi che si assumono pretermessi anche nella successiva determinazione del Ministero.
Deve, pertanto, ritenersi inconferente il motivo articolato, dal momento che lo stesso si limita a porre degli interrogativi sulla correttezza dell'operato della P.A., senza fornire dei dati concreti per pervenire al riconoscimento della fondatezza della pretesa sia pure in base a valutazione in termini probabilistici della prevalenza dei titoli vantati dal B., richiesti nella specifica selezione, rispetto a quelli in possesso del candidato concorrente. A fronte dell'assunto, il ricorrente, in dispregio del principi della autosufficienza del ricorso per cassazione (v., da ultimo, Cass. 9 aprile 2013 n. 8569, Cass. 16 marzo 2012 n. 4220, Cass. 23 marzo 2010 n. 6937) fa riferimento ad un complesso di documenti ed allega circostanze fattuali che non prova essere stati rispettivamente acquisiti ritualmente e dedotte tempestivamente nei giudizi di merito e tendenti tutti ad una rivisitazione globale delle acquisizioni processuali, non consentita in questa sede.
Al riguardo deve essere richiamato il principio reiteratamente espresso da questa Corte in forza del quale il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di vantazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5); risolvendosi, in caso contrario, questo motivo di ricorso, in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 20 aprile 2006 n. 9233, Cass. 2 febbraio 2007 n. 2272, Cass. 6 luglio 2007 n. 15264).
Peraltro, deve rilevarsi che la sentenza impugnata, per essere motivata congruamente, priva di salti logici e per essere rispettosa dei principi enunciati da Cass., sez. un., 8 agosto 2011 n. 17076, Cass. 9803/2012 e Cass. 9153/2012, si sottrae a tutte le censure che contro di essa sono state mosse.

Infine, anche in relazione alla censura proposta nel secondo motivo valgono analoghe considerazioni, essendo mancata ogni precisazione di quanto specificamente dedotto nel corrispondente motivo di gravame, non mancando di rilevare che la quantificazione del danno cui è pervenuta la Corte del merito non può ritenersi genericamente riduttiva, ove si consideri che il ricorrente scorpora dall'importo di 1000,00 Euro riconosciuto in sentenza, quello di Euro 4173,36, equivalente al 50% delle spese asseritamente sostenute, pur non essendo questo il senso della decisione che aveva determinato l'importo corrispondente all'ammontare del danno subito in aggiunta a quello riconosciuto in primo grado ed oltre quanto spettante per le spese vive documentate, sostenute dal B.
Anche con riguardo al dedotto danno esistenziale la sentenza è in linea con quanto reiteratamente sancito dalla Corte di legittimità che ritiene conglobata tale voce di danno nell'omnicomprensivo danno biologico, pena la duplicazione illegittima di poste di danno sostanzialmente corrispondenti. Ed invero, il danno biologico ha natura non patrimoniale, e dal momento che il danno non patrimoniale ha natura unitaria, è corretto l'operato del giudice di merito che liquidi il risarcimento del danno biologico in una somma omnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, e sempre che il danneggiato abbia allegato e dimostrato che il danno biologico o morale presenti aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici (cfr. Cass. 9 dicembre 2010 n. 24864, Cass. 28 marzo 2011 n. 7064, nonchè Cass. 30 novembre 2009 n. 25236, richiamata nella sentenza della Corte di Bologna). Non risulta in quali termini nel caso considerato il ricorrente abbia dedotto specificamente le caratteristiche la durata e la gravita del dedotto ulteriore pregiudizio ed il nesso causale con il comportamento illegittimo della P.A. anche nella prospettiva di una mera maggiorazione dell'entità delle conseguenze dannose pure riconosciute, sicchè deve pervenirsi a conclusioni conformi a quelle indicate nella pronunzia oggetto di impugnazione.
Alla soccombenza del ricorrente non consegue alcuna condanna alle spese del presente giudizio, essendo il Ministero rimasto intimato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per spese.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2014


 

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