REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi - Presidente -
Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere -
Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - rel. Consigliere -
Dott. GHINOY Paola - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 24085/2011 proposto da:
G.L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. ZANARDELLI 36, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE GIULIO ROMEO, rappresentato e difeso dall'avvocato FIRRIOLO FRANCESCO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
SANGUINETI CHIAVARI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326 (STUDIO AVV.TI RENATO E CLAUDIO SCOGNAMIGLIO), presso lo studio dell'avvocato STEFANO GUADAGNO, rappresentata e difesa dall'avvocato VINCENZO MARINO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 479/2011 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 26/05/2011 R.G.N. 536/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO
udito l'Avvocato MASTRANGELO MARIA TERESA per delega MARINO VINCENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l'improcedibilità, l'inammissibilità, in subordine rigetto.

Motivazione

1. Con sentenza depositata il 26 maggio 2011 la Corte d'appello di Genova rigettava l'appello proposto da G.L.C. contro la sentenza resa dal Tribunale di Chiavari che aveva rigettato la domanda dell'appellante diretta ad ottenere la declaratoria di inefficacia della revoca del licenziamento effettuata in data 25/5/2009 dalla Sanguineti Chiavari s.r.l., nonchè di illegittimità del licenziamento intimatogli in data 30/4/2009 dalla stessa Sanguineti, con la condanna della datrice di lavoro alla sua reintegrazione nel posto di lavoro nonchè al risarcimento dei danni.
2. La Corte territoriale riassumeva i fatti di causa nei seguenti termini: a) il lavoratore, in aspettativa per malattia fino al 1/5/2009, aveva ricevuto una lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto datata 30/4/2009; in data 25/5/2009 la società gli aveva inviato altra lettera con cui precisava che licenziamento del 30 aprile precedente doveva ritenersi efficace solo dal momento in cui il lavoratore ne aveva avuto comunicazione (6/5/2009); c) in ogni caso, lo revocava e, contestualmente, ne intimava un altro, fondato sul superamento del periodo di comporto per effetto della comunicazione scritta, inviatagli dal lavoratore, di prolungamento del suo stato di malattia sino al 4/6/2009.

3. La Corte territoriale riteneva che: il primo licenziamento era nullo perchè intimato durante il periodo di malattia, e prima della scadenza del periodo di comporto; la revoca del licenziamento disposta con la missiva del 25/5/2009 doveva ritenersi improduttiva di effetti, in quanto non accettata dal lavoratore; in conseguenza della nullità del primo licenziamento, era legittimo l'esercizio da parte della datrice di lavoro del nuovo potere di recesso, fondato sul definitivo superamento del periodo di comporto.

4. Contro la sentenza il G. propone ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo di ricorso. La società resiste con controricorso.

5. Con l'unico motivo il ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2110, 2119 e 1423 c.c.
Assume che, poichè la Corte aveva ritenuto inefficace la revoca in quanto non accettata dal lavoratore, ogni ulteriore indagine doveva ritenersi superflua essendosi il rapporto ormai esaurito ed essendosi così consumatosi il potere risolutorio del datore di lavoro. Tutti gli atti successivi al (primo) licenziamento erano pertanto privi di rilievo, compresa la missiva del ricorrente con la quale comunicava la prosecuzione del periodo di aspettativa, avendo il datore di lavoro già consumato il potere risolutorio con riferimento al superamento del periodo di comporto. Aggiunge che l'ipotesi in esame non configura un caso di nullità del licenziamento ma di illegittimità, con la conseguenza che sussiste il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro.

6. Il ricorso è infondato alla luce dei principi più volte espressi da questa Corte e che sono stati pienamente osservati dalla Corte di merito.

7. Ed invero, in caso di licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, ma anteriormente alla scadenza di questo, l'atto di recesso è nullo per violazione di norma imperativa, di cui all'art. 2110 c.c. - che vieta il licenziamento stesso in costanza della malattia del lavoratore -, e non già temporaneamente inefficace, con differimento dei relativi effetti al momento della scadenza: il superamento del comporto costituisce, infatti, ai sensi del citato art. 2110 c.c., una situazione autonomamente giustificatrice del recesso, che deve, perciò, esistere già anteriormente alla comunicazione dello stesso, per legittimare il datore di lavoro al compimento di quest'atto, ove di esso costituisca il solo motivo (Cass. 21 settembre 1991 n. 9869; Cass., 26 ottobre 1999, n. 12031).

8. Dalla nullità del licenziamento discende, secondo un orientamento cui questo Collegio intende dare continuità, la possibilità di rinnovazione dell'atto. Essa, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema dell'art. 1423 c.c. (che è norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetto ex tunc e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale). In tal senso, Cass. 6 novembre 2006, n. 23641, e Cass., 19 marzo 2013, n. 6773. In particolare, quest'ultima sentenza conferma la giurisprudenza secondo cui è consentita la rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma (purchè siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente intimazione) in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso, anche se la questione della validità del primo licenziamento sia ancora sub iudice.

9. Deve aggiungersi che, secondo quanto emerge dagli atti e non è oggetto di contestazione tra le parti, il secondo licenziamento è stato intimato sulla base di una situazione diversa e nuova rispetto alla precedente, costituita dalla comunicazione di un ulteriore periodo di malattia del lavoratore, che ha determinato il definitivo superamento del periodo di comporto.
10. Ne consegue che la continuità e la permanenza del rapporto, non interrotto dall'atto di recesso nullo, per un verso rendono privo di effetto l'atto di revoca del primo licenziamento intimato dalla società e, per altro verso, giustificano l'irrogazione di un secondo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, siccome basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dalla quale solamente, in mancanza di tempestiva impugnazione, deriverà l'effetto estintivo del rapporto (v. Cass., 6 marzo 2008, n. 6055; Cass., 9 agosto 2013, n. 19104).
Il ricorso deve dunque essere rigettato. In applicazione del criterio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% e agli altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2014


 

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