REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente -
Dott. SAVINO Mariapia Gaetana - Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.M.M.;
avverso la sentenza del 13/03/2013 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita fa relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, e il rigetto nel resto;
uditi per l'imputato gli avv.ti Antimo Giaccio e Vittorio Lemmo, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 09/07/2012 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, all'esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato il sig. D.M.A. colpevole dei seguenti delitti commessi in ____: A) del delitto di cui all'art. 81 cpv. c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80, (cessione continuata di sostanza stupefacente del tipo cocaina in favore della minorenne D.N.V.); B) del delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 600 ter c.p., (realizzazione di esibizioni pornografiche filmando i rapporti sessuali intrattenuti con la minorenne D.N.V. ad insaputa della stessa); D) del delitto di cui all'art. 600 quater c.p., (detenzione di materiale pedopornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18); unificati tutti i reati dal vincolo della continuazione, ritenuto più grave quello di cui al capo A della rubrica, riconosciuta la circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, lo aveva condannato alla pena (già ridotta per il rito) di cinque anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, oltre statuizioni accessorie.

2. Con sentenza del 13/03/2013, la Corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza impugnata dall'imputato, ha concesso le attenuanti generiche ritenendole, unitamente alla già concessa circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, prevalenti sulla contestata aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, ed ha rideterminato la pena nella misura di tre anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa, rimodulando le statuizioni accessorie e confermando nel resto.

2.1. Per quanto qui di interesse, la vicenda riguarda i rapporti sessuali, completi e consenzienti, intrattenuti dall'imputato con la D.N., all'epoca quindicenne, e dal primo video-ripresi.
2.2.In cambio della disponibilità ai rapporti, l'uomo aveva procurato alla ragazzina quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina
che, secondo la rubrica, variavano nella misura di gr. 1, gr. 5, gr. 7, per volta.
2.3.In relazione a questi fatti all'imputato era stato contestato, tra gli altri, il reato di cui all'art. 600 ter c.p., "perchè, in più occasioni, realizzava esibizioni pornografiche filmando i rapporti sessuali intrattenuti con la minore, a insaputa della stessa".

2.4. Nel superare le censure mosse alla sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza del pericolo richiesto dalla norma per l'integrazione del reato di cui all'art. 600 ter c.p., (tema specificamente affrontato dal giudice di prime cure), la Corte territoriale, nel condividere la ricostruzione fattuale della vicenda come operata dal giudice di prime cure e non senza aver rimarcato la assenza di specificità dei motivi di gravame, ha così argomentato:
a) il reato di cui all'art. 600 ter c.p., è reato di pericolo concreto;
b) non sussiste alcun dubbio, "alla stregua delle concordi dichiarazioni delle parti" sul fatto che l'imputato abbia video- ripreso, con il proprio telefonino, le prestazioni sessuali della minorenne, sia in auto che a casa, ad insaputa di quest'ultima;
c) quando la ragazzina era venuta a sapere che l'imputato l'aveva ripresa, nonostante gli avesse chiesto la cancellazione dei video, l'uomo non lo aveva fatto;
d) tali video erano stati scaricati nella memoria del computer, "attraverso il quale estremamente agevole sarebbe stata la diffusione in rete";
e) la conservazione del video nella memoria del PC (e la sua mancata distruzione) in vista di un successivo uso, non escludeva la possibilità che tale uso potesse esulare da finalità esclusivamente personali ed estendersi alla sua diffusione in rete;
f) lo stesso D.M. aveva dimostrato una elevata capacità di servirsi dello strumento elettronico per scaricare, come dallo stesso ammesso, "materiale pedopornografico con bambini in età adolescenziale";
g) questa ammissione prova l'inserimento dell'imputato in un circuito "di soggetti pedofili nei quali è estremamente facile non solo ricevere, ma anche fornire materiale pedopornografico del tipo di quello in possesso dell'imputato";
h) il D.M., peraltro, non si era avvicinato al mondo della pedopornografia in modo occasionale, come dimostrato dal numero di video posseduti e dalla maniacalità con cui aveva provveduto a filmare i rapporti con la minorenne.
2.5. Nell'accogliere, invece, l'appello relativamente al profilo sanzionatorio, la Corte territoriale ha indicato la pena base nella misura di quattro anni e sei mesi di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, l'ha ridotta a quattro anni di reclusione ed Euro 15.000,00 di multa per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, l'ha aumentata, per la continuazione, a cinque anni di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, ulteriormente riducendola per il rito nei termini sopra indicati.

2.6. La Corte territoriale ha ritenuto di valorizzare, ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche (negate dal primo giudice) e del giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante di cui all'art. 80, d.P.R. 309/90, "la sicura presa di coscienza delle proprie problematiche personali, che hanno indotto l'imputato ad intraprendere un percorso terapeutico finalizzato al recupero personale e ad evitare il ripetersi di fenomeni analoghi sulla cui gravità non ha inteso soffermarsi, risultando la stessa in re ipsa".

3. Ricorre per Cassazione il D.M. articolando, per il tramite dei difensori di fiducia, i seguenti motivi di doglianza.
3.1. In primo luogo eccepisce, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 600 ter c.p.: a) violazione di legge; b) travisamento del fatto, anche sulla determinazione della pena in concreto; c) manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
a) Non v'è prova, sostiene il ricorrente, del pericolo concreto di diffusione delle immagini pedopornografiche ad una pluralità di destinatari;
b) le considerazioni effettuate dalla Corte territoriale per superare le specifiche doglianze mosse, con l'atto d'appello, alla sentenza di primo grado fondano su una realtà fattuale completamente distorta e travisata. L'accertamento tecnico effettuato in sede di indagini preliminari, infatti, aveva verificato l'inesistenza di strumenti tecnici idonei alla creazione, trasmissione o scambio di materiale pedopornografico. Inoltre v'era un solo video attinente ad un unico rapporto con la D.N. ripreso con il telefonino e travasato sul PC, dal quale non erano state estrapolate che poche immagini riflettenti ragazze (diverse dall'attuale vittima) talune neanche coinvolte in condotte sessualmente esplicite; le comunicazioni con la D.N. avvenivano esclusivamente via chat;
c) in questo contesto probatorio, la motivazione della sentenza è del tutto apparente, contraddittoria ed illogica.

3.2. Con il secondo motivo lamenta l'assenza di motivazione in ordine alla (rinnovata) quantificazione della pena, di gran lunga superiore al minimo e prossima al massimo edittale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Non può assolvere a tale onere il richiamo ad una gravità "in re ipsa", formula, quest'ultima, evanescente, generica, criptica ed adattabile ad ogni ipotesi di reato, del tutto avulsa ed astratta dalla singolarità della fattispecie, caratterizzata dalla assenza di dati salienti sulla quantità della sostanza ceduta, del numero delle cessioni, del principio attivo, dalla peculiarità del contesto in cui tali cessioni erano avvenute.
Tra l'altro, tale giudizio di gravità collide con la concessione delle circostanze attenuanti generiche e le ragioni che hanno ispirato tale decisione.

Motivazione

4. E' fondato il primo motivo di ricorso.
5. Questa Suprema Corte ha già affermato che poichè il delitto di pornografia minorile di cui all'art. 600 ter c.p., comma 1 - mediante il quale l'ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia - ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l'ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto (Sez. U, n. 13 del 31/05/2000, Rv. 216337).

5.1. E' compito del giudice accertare di volta in volta la configurabilità del predetto pericolo, facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta quali l'esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale atta a corrispondere alle esigenze di mercato dei pedofili, il collegamento dell'agente con soggetti pedofili potenziali destinatari del materiale pornografico, la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione, anche telematica idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari, l'utilizzo contemporaneo o differito nel tempo di più minori per la produzione del materiale pornografico - dovendosi considerare la pluralità di minori impiegati non elemento costitutivo del reato ma indice sintomatico della pericolosità concreta della condotta -, i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando siano connotati dalla diffusione commerciale di pornografia minorile nonchè gli altri indizi significativi suggeriti dall'esperienza (Sez. U, 13/2000, cit.).

5.2. Poichè le nozioni di "produzione" e di "esibizione" contemplate nell'art. 600 ter c.p., richiedono l'inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi, deve escludersi che un tale contesto organizzativo e di destinazione possa essere desunto esclusivamente dalla disponibilità di uno strumento oggi in possesso di chiunque, quale un computer solo perchè il computer costituisce (al pari di tanti altri) un mezzo con cui le immagini potrebbero in astratto essere diffuse o condivise, tanto più se il computer è privo di programmi di scambio, condivisione o divulgazione di file (così, in termini, Sez. 3, n, 17178 del 11/03/2010, Rv. 246982).

5.3. Alla luce dei principi testè esposti, gli argomenti utilizzati dai giudici distrettuali a fondamento della ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 600-ter, cod. pen., appaiono insufficienti ed in parte contraddittori sia con l'affermata premessa (la necessaria concretezza del pericolo di diffusione del materiale prodotto), sia con le acquisizioni probatorie di cui pure danno atto in sentenza e con il contesto in cui è maturata la condotta specificamente ascritta all'imputato.
5.4. La Corte territoriale, infatti, associa al rifiuto dell'imputato di cancellare i video dei rapporti sessuali con la minorenne l'intenzione di condividerli in rete piuttosto che per fini meramente personali, e trae questo convincimento dalla maniacalità con cui aveva provveduto ad effettuare le riprese e dal fatto che i relativi files erano stati scaricati sul PC nel quale il D.M. deteneva altro materiale pedopornografico reperito nel circuito dei pedofili nel quale egli era inserito.
5.5. Tuttavia, sono gli stessi giudici distrettuali a privare di consistenza la valenza indiziaria del possesso di materiale pedopornografico nella memoria del PC dell'imputato, dando atto della circostanza che questi non era in possesso degli strumenti tecnici e delle competenze necessarie a condividere in rete il materiale.
5.6. In ogni caso, sulla concreta inidoneità del PC dell'imputato, sottoposto ad accertamento tecnico nel corso della fase di merito, a condividere in rete il materiale pornografico in esso contenuto, la Corte adotta una motivazione insufficiente che non tiene conto del fatto che nemmeno la pubblica accusa aveva ritenuto di attribuire alla detenzione del materiale pedopornografico nella memoria del PC dell'imputato la valenza penale del più grave delitto di cui all'art. 600 ter c.p..
5.7. Il giudizio di concreta pericolosità di diffusione dei video effettuati dall'imputato si fonda, dunque, su considerazioni contraddittorie, che astraggono dallo specifico contesto in cui si inserisce la condotta del D.M. e che appaiono insufficienti alla luce delle indicazioni di principio fornite da questa Suprema Corte in materia.
5.8. La sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli perchè riesamini la vicenda alla luce dei principi sopra indicati.
5.9. La fondatezza del primo motivo di ricorso, rende superfluo l'esame del secondo, relativo al trattamento sanzionatorio.

PQM

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2014


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.