REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Consigliere -
Dott. RUBINO Lina - Consigliere -
Dott. PELLECCHIA Antonella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3102/2012 proposto da:
P.G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso lo studio dell'avvocato DE ANGELIS LUCIO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
B.E.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell'avvocato MANZI LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MARCELLO BERLOCCHI giusta procura speciale in calce al controricorso;
V.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 267, presso lo studio dell'avvocato DANIELA CIARDO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati V.F. difensore di sè medesimo, T.M. giusta procura speciale in calce al controricorso;
G.D. E., G.E. L. , T.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FASANA 21, presso lo studio dell'avvocato STEFANIA SIELO, rappresentati e difesi dall'avvocato T.M. difensore di sè medesimo e giusta procura speciale in calce al controricorso rilasciata in New York il 27/2012 n. 906956;
- controricorrenti -
e contro
A.G., B.M., G.E.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 2816/2011 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 17/10/2011, R.G.N. 1657/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/03/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;
udito l'Avvocato LUCIO DE ANGELIS;
udito l'Avvocato MARCO GUILIZZONI per delega dell'Avvocato T. M.;
udito l'Avvocato MARCO GUILIZZONI per delega dell'Avvocato V. F.;
udito l'Avvocato EMANUELE COGLITORE per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

1. Nel marzo del 2005 l'avvocato P.G.M. evocò in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, i colleghi V. F. ed B.E., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lui subiti in conseguenza della produzione, da parte dei convenuti, nel procedimento instaurato dalla s.p.a. Finmatica nei confronti del quotidiano _____ volto all'accertamento di condotte di diffamazione e di aggiotaggio attribuite alla società editrice, di un esposto presentato dal V. (difensore del quotidiano) al locale Consiglio dell'ordine degli avvocati.
1.1. L'attore convenne ancora altri colleghi italiani e due avvocati statunitensi, chiedendo fosse loro inibita la professione forense sotto la denominazione di avvocati associati, perchè contraria alla legge e ingannevole per i terzi.

2. Il giudice di primo grado respinse la domanda risarcitoria relativa al lamentato illecito diffamatorio, dichiarando nel contempo l'attore carente di legittimazione in ordine alle ulteriori domande.
3. La corte di appello di Milano rigettò il gravame proposto in via principale dal P. e quello incidentale degli avv. Bo. e A., accogliendo in parte quello incidentale, relativo alle liquidazione delle spese di lite del primo grado, di V. F., B.E., T.M., G.E. e D.
4. Per la cassazione della sentenza della Corte milanese P. G.M. ha proposto ricorso sulla base di 6 motivi di censura illustrati da memoria.
4.1. Resistono con controricorso B.E., V. F., T.M., G.D. ed E., il V. illustrando con memoria l'atto di resistenza.
L'avv. P. ha depositato note di udienza in replica alla requisitoria del P.G..

Motivazione

LE RAGIONI DELLA DECISIONE 5. Il ricorso è infondato.

5.1. Con il primo motivo, si denuncia mancanza di ogni motivazione ed omesso esame di risultanze decisive, ampiamente prospettate dalla parte appellante.
L'esame del motivo, che lamenta il rilievo offensivo e denigratorio dell'esposto di cui in narrativa, pur volendo prescindere dai suoi non marginali profili di inammissibilità - con esso si rappresenta, difatti, dinanzi a questa Corte, una doglianza oggettivamente modificativa della precedente impostazione difensiva (in aperto contrasto con quanto più volte affermato da questo giudice di legittimità: Cass. 1562/2010 ex aliis), poichè si chiede una valutazione in fatto dell'antigiuridicità del contenuto dell'atto de quo, volta che nel precedente grado di merito era stata dedotta l'antigiuridicità della sola produzione in giudizio dell'atto stesso (la Corte territoriale evidenzia puntualmente l'oggetto del giudizio instaurato dinanzi a se, volta che testualmente si legge, al folio 25 della sentenza impugnata, "la tesi prospettata dall'appellante... è quella per cui...una fattispecie diffamatoria sussisterebbe per il solo fatto del deposito dell'esposto disciplinare nel giudizio Finmatica - ____ - non può che condurre ad una declaratoria di manifesta infondatezza.
La stessa Corte di merito, pur avendo puntualmente rilevato come la causa petendi della domanda consistesse proprio e solo nel fatto storico del deposito dell'esposto disciplinare, esclude, nel merito, e con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede poichè logicamente e correttamente motivato con argomentazioni scevre da vizi denunziabili dinanzi al giudice di legittimità, la configurabilità di un illecito civilistico (f. 26 della sentenza impugnata), ritenendo che la narrazione dei fatti e il linguaggio adottati si attenessero rigorosamente ad un canone di correttezza scevra da gratuite offese personali, conforme e rispettoso dei criteri della pertinenza, rettamente intesa come giustificazione della diffusione della notizia della presentazione di un esposto disciplinare, e della continenza formale delle espressioni utilizzate, caratterizzate da un linguaggio corretto, scevro da gratuite offese personali e funzionale alla sola rappresentazione di circostanze rilevanti, ritenendo poi il contenuto dell'esposto collocato in una dimensione di verità dei fatti narrati, non affermandosi mai fatti o circostanze inveritieri: di qui, la corretta e condivisibile conclusione della indiscutibile predicabilità, nella specie, della scriminante del diritto di critica.

5.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 88 c.p.c., comma 1, art. 89 c.p.c., comma 1, art. 331 c.p.c., u.c., art. 589 c.p., comma 1, art. 599 c.p., commi 1 e 2; omesso esame di risultanze difensive, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi.

Il motivo - anch'esso vulnerato dai medesimi profili di inammissibilità poc'anzi evidenziati, poichè con esso si prospettano questioni fondate sul contenuto dell'esposto, e non sul fatto storico della sua produzione - è del tutto infondato nel merito, dovendosi in proposito osservare come la Corte territoriale abbia compiutamente motivato (ff. 22 e 23 della sentenza) la rilevanza e l'inerenza della produzione dell'esposto all'esercizio del diritto di difesa da parte degli odierni contro ricorrenti, ritenendolo rientrante a pieno titolo "nell'ambito complessivo della difesa della propria assistita, scevra da qualsiasi di finalità diffamatoria a carico dell'attore", e come tale "non avulsa dal contesto di causa quale si era venuto a determinare in seguito alle peculiari iniziative difensive del P.".
Di qui l'inconferenza dei richiami tanto agli artt. 88 e 89 del codice di rito civile, quanto alle norme penali, impropriamente evocate dal ricorrente, e la impredicabilità di qualsivoglia elemento di contraddittorietà insito nella motivazione della sentenza impugnata.
La duplice doglianza, nel suo complesso, pur formalmente abbigliata in veste di denuncia di una (insussistente) violazione di legge e di un (asseritamente decisivo) difetto di motivazione, si risolve, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all'impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie (nella specie, il fatto storico della presentazione dell'esposto e l'aspetto funzionale della vicenda, rappresentata dall'esame del suo contenuto), al pari della scelta di quelle - fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E' principio di diritto ormai consolidato quello per cui, in particolare, l'art. 360, n. 5, del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione.

Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) si come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa siano ancora utilmente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

5.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 88 disp. att. c.p.c., comma 1, art. 89 disp. att. c.p.c., comma 1, art. 76 disp. att. c.p.c., art. 21 Cost., L. n. 675 del 1996, art. 1 e ss.; mancanza o insufficienza e illogicità, nonchè contraddittorietà della motivazione su fatti decisivi e controversi.

Lamenta il ricorrente che, nella specie, la riconosciuta esimente del diritto di critica sarebbe del tutto inesistente e inconcepibile, anche astrattamente, con riferimento al caso di specie.
La censura è destituita di giuridico fondamento, avendo la Corte territoriale (come si è già avuto modo di esporre in sede di esame del primo motivo di ricorso) fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità formatasi in subiecta materia, all'esito di una puntuale disamina del contenuto degli esposti indirizzati alle autorità disciplinari contenenti espressioni in ipotesi offensive, proprio in considerazione dell'applicabilità della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. sub specie del diritto di critica, costituzionalmente tutelato dall'art. 21 Cost. (Cass. 17547/2007 e Cass. 38348/2009, ex multis).

5.4. Con il quarto motivo, si denuncia omesso esame della censura concernente la concorrente violazione, da parte dei difensori di Finmatica, dell'art. 29 del Codice deontologico forense e omissione totale di motivazione su tale punto, che era comunque decisivo - violazione, in ogni caso, del divieto sancito dall'art. 29 stesso codice deontologico, in relazione all'art. 2043 c.c., e art. 43 c.p..

Il motivo, che presenta a sua volta i medesimi, problematici profili di ammissibilità al pari di quelli che lo precedono, è del tutto infondato nel merito, alla luce della giurisprudenza invalsa presso il Consiglio nazionale Forense in subiecta materia (Decisione del 29.3.2003, n. 34, avente ad oggetto una non dissimile da quella in esame, come puntualmente evidenziato dalla contro ricorrente B. al folio 55 del proprio atto di resistenza al ricorso), che esclude qualsivoglia profilo di scorrettezza deontologica nel comportamento dell'avvocato che, al fine di difendersi da accuse gravi e infamanti (nella odierna vicenda, dal reato di calunnia, come la stessa Corte di merito non omette di rilevare ai ff. 23 e 24 della sentenza impugnata) invii al giudice della causa e al Procuratore della Repubblica copia dell'esposto presentato al Consiglio dell'ordine denunciante il comportamento scorretto del collega.

La liceità del contenuto dell'esposto è stata già valutata e predicata in sede di esame dei motivi che precedono.

5.6. Con il quinto motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2059 e 2679 c.c., art. 2 Cost., mancanza assoluta di motivazione in ordine al danno arrecato all'onorabilità e al prestigio dell'avv. P., con la conseguente lesione del più elevato aspetto del patrimonio morale di un professionista; omesso esame di emergenze decisive, specificamente controverse e sottolineate all'attenzione del giudice di appello.

La censura è manifestamente infondata sotto il duplice, concorrente profilo della impredicabilità di qualsivoglia voce danno in assenza di un fatto illecito che l'abbia cagionato, e della totale assenza di prova non soltanto del suo ammontare, ma della sua stessa esistenza, poichè l'intero impianto espositivo della doglianza in esame prende le mosse dalla (erronea) premessa che il danno morale possa ritenersi iscritto in re ipsa nell'orbita del (presunto) illecito contestato.

5.7. Con il sesto motivo, si denuncia violazione dell'art. 2056 c.c., art. 41 c.p., comma 1, art. 100 c.p.c., L. n. 1815 del 1929, art. 1; mancanza e/o contraddittorietà della motivazione, in ordine al rilievo causale secondario, attribuito all'aggravamento dell'illecito diffamatorio.

La censura è manifestamente infondata, poichè con essa il ricorrente si limita a riproporre le stesse doglianze rappresentate in sede di merito, e motivatamente rigettate dalla Corte di appello (ff. 30 e 31 della sentenza impugnata, ove si evidenziano compiutamente i motivi che hanno indotto ad escludere la legittimazione individuale ad agire del P. per la tutela di un interesse collettivo di cui il solo l'Ordine degli avvocati è portatore, legittimazione pertanto riferibile al solo legale rappresentate dell'ente) con dovizia di argomentazioni che appaiono del tutto scevre da vizi logico-giuridici e che questo collegio interamente condivide.

Il ricorso è pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.
Liquidazione come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 8200 in favore di ciascuno dei controricorrenti, di cui 200 per spese, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2015


 

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