REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente -
Dott. MANNA Antonio - rel. Consigliere -
Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere -
Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere -
Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 29577-2010 proposto da:
AZIENDA USL N___ MASSA CARRARA , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BRENTA 2-A, presso lo studio dell'avvocato STOPPANI ISABELLA MARIA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LIGUORI VINCENZINA RITA, PROSPERETTI GIULIO, delega in atti; - ricorrente -
contro
D.R. C.F. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 22, presso lo studio dell'avvocato PENZAVALLI GIANCARLO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti; - controricorrente -
avverso la sentenza n. 523/2010 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 26/07/2010 R.G.N. 716/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito l'Avvocato STOPPANI ISABELLA MARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 26.7.10 la Corte d'appello di Genova, in riforma della pronuncia n. 178/07 del Tribunale di Massa, ha condannato l'Azienda USL n. ____ di Massa Carrara a pagare al dr. D.R., psicologo, la somma di Euro 28.823,21 (oltre accessori e spese di lite) a titolo di differenze retributive maturate dal 5.7.02 al 2.6.03 per effetto d'un contratto di lavoro subordinato stipulato fra le parti, così sostanzialmente qualificato dai giudici del gravame quello che era stato concluso sotto forma di contratto per prestazione d'opera libero-professionale.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'Azienda USL n. ___ di Massa Carrara affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..
Il dr. D.R. resiste con controricorso.

Motivazione

1.1. - Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2299 c.c. e dell'art. 113 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, per avere l'impugnata sentenza trascurato l'assenza, nel caso di specie, di assoggettamento a potere disciplinare e, invece, erroneamente valorizzato il fatto che il dr. D. svolgesse attività lavorativa identica a quella espletata dagli altri psicologi di ruolo.
Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione nella parte in cui i giudici di merito hanno dato importanza, ai fini della subordinazione, alle specifiche direttive impartite al dr. D. dal Dipartimento di Salute Mentale, miranti - in realtà - ad un necessario ed imprescindibile inserimento funzionale della sua prestazione lavorativa nella struttura organizzativa del committente; del pari ininfluente è la circostanza che oggetto della prestazione pattuita in contratto fosse tutta la gamma delle prestazioni di pertinenza della struttura, dovendosi avere riguardo non al tipo di mansioni dedotte in contratto, ma a quelle poi effettivamente espletate; quanto all'assoggettamento del dr. D. ad ordini di servizio e ad un orario minimo di 36 ore settimanali, con retribuzione fissa, si tratta di circostanze non dettagliatamente allegate con esempi concreti e comunque non provate e non decisive, essendo compatibili anche con ipotesi di lavoro autonomo prestato in maniera coordinata.
Con il terzo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell'art. 2126 c.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 nella parte in cui l'impugnata sentenza ha ritenuto di poter accogliere la domanda di pagamento delle retribuzioni maturate in base ad un contratto nullo (come quello intercorso fra le parti) applicando d'ufficio l'art. 2126 c.c. e trascurando che D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36 al lavoratore illegittimamente assunto spetta soltanto il risarcimento dei danni e non già il regime di cui alla menzionata disciplina codicistica.
Con il quarto motivo ci si duole, ancora, di errata applicazione dell'art. 2126 c.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 per avere i giudici d'appello fatto applicazione automatica ed integrale del CCNL comparto sanità pubblica con riferimento ad un'attività svolta a tempo pieno, senza tenere conto del fatto che la prestazione del dr. D. non è stata prestata in via esclusiva, come evincibile dal rilievo che egli è stato tenuto ad un orario di sole 36 ore settimanali, che gli ha consentito di svolgere altrove, nel tempo residuo, la propria attività libero professionale.

2.1. - Il primo e il secondo motivo - da esaminarsi congiuntamente perchè connessi - sono infondati.
Quanto al fatto che il controricorrente svolgesse attività lavorativa identica a quella espletata dagli altri psicologi di ruolo, si tratta di circostanza che correttamente è stata valutata dalla gravata pronuncia come indice non sufficiente, ma comunque significativo insieme con gli altri che, secondo costante giurisprudenza di questa S.C., sono sintomatici della subordinazione, fra cui mette conto ricordare l'oggetto della prestazione, cioè la messa a disposizione di mere energie lavorative (obbligazione di mezzi) o il risultato d'una attività organizzata, con conseguente ripartizione del rischio; l'eterodirezione delle modalità, anche di tempo e di luogo, della prestazione; l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione produttiva e/o gerarchica dell'impresa; la sottoposizione al potere disciplinare dell'imprenditore o di suoi preposti; utilizzo di strumenti e materiali di lavoro propri o forniti dal datore di lavoro; l'obbligo di osservare un determinato orario di lavoro e/o un certo numero di presenze o di turni; la continuità della collaborazione; l'obbligo di giustificare le assenze; le modalità fisse del compenso; il luogo della prestazione.
Nel caso di specie l'impugnata sentenza ha in sostanza motivatamente ravvisato tutti gli indici sintomatici di cui sopra, fatta eccezione per l'assoggettamento all'altrui potere disciplinare.
Ma se è vero che l'assoggettamento all'altrui potere disciplinare implica di per sè subordinazione, non è però vera l'affermazione reciproca, vale a dire che in mancanza di tale assoggettamento si sia sempre in presenza di rapporto di lavoro autonomo.
Dei sopra descritti indici sintomatici la gravata pronuncia ha poi correttamente fornito una lettura d'insieme, nel rispetto del principio secondo cui, in tema di prova per presunzioni, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva.
Non è, invece, consentita l'operazione contraria, vale a dire quella d'un apprezzamento atomistico, parcellizzato, di un indizio per volta.
In altre parole, costituisce violazione di legge il negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche - in ipotesi - singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento (giurisprudenza costante: v. Cass. 6.6.12 n. 9108; Cass. S.U. 11.1.08 n. 584; Cass. 15.1.07 n. 722; Cass. 13.10.05 n. 19894; Cass. 18.9.03 n. 13819).
Nel caso di specie la sentenza impugnata si è correttamente attenuta a tale insegnamento, valutando gli indizi muniti di idoneità presuntiva sia singolarmente sia unitariamente nel loro complesso, pervenendo - infine - ad una soluzione immune da censure logico- giuridiche e conforme alla giurisprudenza di questa Corte Suprema.

2.2. - Il terzo motivo è infondato.
Invero, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 (il cui attuale comma 5 così recita: "In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.
Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell'art. 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, art. 5) mira unicamente ad impedire l'instaurarsi in forma surrettizia di rapporti di pubblico impiego a tempo indeterminato, ma non incide sul diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente, ex art. 36 Cost., in favore di chi sia stato assunto a tempo determinato da una pubblica amministrazione (come avvenuto nel caso di specie).
Ciò detto, per costante insegnamento di questa Corte Suprema - al quale va data continuità - un rapporto di lavoro subordinato sorto con un ente pubblico non economico per i fini istituzionali dello stesso, nullo perchè non assistito da un regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra pur sempre sotto la sfera di applicazione dell'art. 2126 c.c., con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo e alla contribuzione previdenziale per il tempo in cui abbia avuto materiale esecuzione (cfr. Cass. 3.2.12 n. 1639; Cass. 17.10.05 n. 20009; Cass. 20.5.08 n. 12749; Cass. 3.7.03 n. 10551; Cass. 14.6.99 n. 5895).
A tale consolidato principio si è attenuta l'impugnata sentenza, che - quindi - non merita censura, nemmeno per quanto concerne l'applicazione dell'art. 2126 c.c., che deve avvenire anche d'ufficio (in forza del noto principio iura novit curia) in base alle allegazioni di fatto operate dalle parti.
2.3. - Anche il quarto motivo è da disattendersi, considerato che sollecita un nuovo esame dei conteggi in base ad una asserita non esclusività della prestazione del controricorrente senza però chiarire dove e come tale esclusività sia stata contestata.
Nè l'asserita non esclusività può automaticamente desumersi dall'orario di 36 ore settimanali, giacchè l'orario previsto dal CCNL per il comparto sanità pubblica è stabilito in misura esattamente coincidente a quello pattuito nel contratto intercorso fra le odierne parti.
3.1. - In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2014


 

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