REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo - Presidente -
Dott. GRILLO Renato - rel. Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - Consigliere -
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
N.E.;
H.S.;
avverso la sentenza n. 453/2012 GIUDICE DI PACE di ASTI, del 18/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/04/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SPINACI Sante che ha concluso per rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Zunino Serse Federico di Asti.

Svolgimento del processo

1. Il Giudice di pace di Asti, con sentenza del 18 aprile 2013, dichiarava N.E. e H.S. colpevoli del reato di cui all'art. 726 cod. pen. per atti contrari alla pubblica decenza commessi il ____, in orario diurno (15,55 circa), lungo la strada ____ nel tratto compreso tra ____ condannandole, ciascuna, alla pena di Euro 258,00 di ammenda.

2. Per l'annullamento della sentenza hanno proposto ricorso entrambe le imputate, a mezzo del loro difensore di fiducia, il quale ha dedotto l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale, perchè la condotta incriminata, consistita nel permanere nella strada pubblica (verosimilmente per esercitare il meretricio) indossando un abbigliamento succinto sì da consentire ai passanti la visione dei glutei parzialmente scoperti, non integrerebbe il reato contestato e comunque rientrerebbe nel concetto di tollerabilità del comune sentire dell'uomo medio. Il difensore lamenta, altresì, manifesta illogicità della motivazione poichè il giudice avrebbe irrogato una pena identica per condotte sostanzialmente diverse, tenuto conto che diverso era l'abbigliamento rispettivamente indossato da ciascuna delle due donne.

Motivazione

3. Deve premettersi che la sentenza impugnata fonda l'affermazione di responsabilità delle imputate su una prova non ritualmente acquisita.
3.1 In sede dibattimentale, invero, il P.M. ha rinunciato all'escussione dei propri testi di accusa ed il giudice non ha disposto darsi lettura di alcun atto, in particolare del rapporto redatto dalla polizia giudiziaria, non risultando altresì che vi sia stato accordo delle parti nel senso dell'utilizzabilità di tale atto ai fini del decidere (D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 29).

4. Il ricorso, comunque, deve essere accolto nel merito e deve pervenirsi all'annullamento della sentenza, per insussistenza del fatto, per le ragioni che vengono esposte di seguito.
5. Non ignora il Collegio che un precedente orientamento di questa Sezione, espresso nelle decisioni n. 23083 del 3.5.2011, Rv. 250648 e n. 47868 del 10 dicembre 2012 (non massimata), ha ribadito la configurabilità del reato in esame in ipotesi di esibizione di parti intime, quali i glutei scoperti, affermando che tale condotta è contraria al sentimento di costumatezza così come inteso tuttora dalla comunità/collettività sociale.
6. Va rilevato, però, che entrambe le decisioni citate affermano il principio anzidetto in termini sostanzialmente assertivi, mancando una compiuta valutazione di tipo storico-sociologico riferita al momento in cui il giudizio è stato formulato: in altri termini il criterio cui entrambe le decisioni si ispirano sembra piuttosto limitato a parafrasare il precetto normativo, peraltro generico nella sua formulazione in quanto viene punito più che un fatto determinato, un atto o comportamento da considerarsi contrario alla pubblica decenza.

6.1 Il punto essenziale di riferimento, nel caso dell'art. 726 cod. pen., è dato proprio dalla "pubblica decenza", concetto che, con il passare degli anni, ha inevitabilmente subito modifiche con il mutare della mentalità e della cultura ed il cui contenuto semantico si è così andato man mano restringendo, inglobando una varietà sempre minore di comportamenti: col mutare dei costumi e degli usi, infatti, quello che per il comune sentire era indecoroso ed addirittura indecente 40-50 anni fa, non lo è più oggi. Si pensi, ad esempio, all'uso di taluni capi di abbigliamento (delle gonne più corte di altre o di camicette scollacciate) od anche al baciarsi in pubblico: questi, come altri comportamenti che erano ritenuti biasimevoli negli anni passati, non lo sono più oggi e pertanto, poichè ora socialmente accettati, non possono più definirsi tali da provocare disgusto o disapprovazione nei consociati e quindi non più contrari alla pubblica decenza.

6.2 Manca, invece, nei precedenti giurisprudenziali ai quali si è fatto riferimento dianzi, un approccio esegetico che abbia in considerazione il mutamento del costume e sentire sociale in continuo divenire, il che finisce con il rendere quelle decisioni non il risultato di una interpretazione contestualizzata in relazione al momento storico, quanto piuttosto una tralatizia ripetizione di concetti (il comune sentire; la pubblica decenza) ritenuti scontati e immutevoli, sicchè il giudizio che ne discende finisce con l'essere cristallizzato nel tempo.
6.3 Storicamente la nozione normativa di "pubblica decenza" è stata esaminata e costantemente rivisitata alla luce dell'evolversi dei costumi sociali e del comune senso del decoro e della decenza: ciò è tanto vero che in una decisione ormai datata - ma per certi versi attuale quanto alla regola di carattere generale che viene affermata - questa Corte aveva già affermato che il concetto di pubblica decenza è "a limite mobile" nel senso che ciò che è, o meno, considerato decente presso una determinata comunità di consociati cambia progressivamente nel tempo col mutare delle idee o dei sentimenti o anche delle abitudini della collettività (Sez. 6 30.4.1980 n. 10435, Rv. 147186).

6.4 Si tratta di un principio di civiltà ed elasticità giuridica che è valso, nel tempo, a ritenere scriminata la condotta di esposizione da parte della donna del seno nudo in spiaggia, per il rilievo che tale parte anatomica femminile scoperta non suscita, nell'uomo medio del tempo di oggi riferito al nostro Stato, alcun apprezzabile turbamento (in senso analogo v. anche Sez. 3 8.7.1982 n. 11015, Faini, Rv. 156227; idem 14.10.1980 n. 124, Benedetti, Rv. 147230).
6.5 Tale gruppo di decisioni, risalente ad oltre trent'anni, permette - alla luce dell'inevitabile intervenuto mutamento del modo di giudicare, da parte della comunità, la decenza o meno di un atto o comportamento umano - di distinguere tra condotte suscettibili nel tempo di una diversa valutazione rispetto ad altre che, per le loro intrinseche caratteristiche di offensività del comune sentimento della costumatezza, non hanno mai modificato il giudizio negativo di rilevanza penale da parte della collettività: l'esempio più eloquente di tale differenza lo si coglie con riferimento a quelle condotte di esibizione degli organi genitali, solitamente maschili, accompagnate dall'orinare in pubblico, posto che nel comune sentimento che caratterizza il senso di decoro, verecondia, costumatezza ed educazione, tale gesto fisiologico viene considerato come una gratuita manifestazione di sè naturalmente destinata alla riservatezza, ma tale da suscitare negli altri un senso di disapprovazione o disgusto o disagio (tra le tante, Sez. 3 25.10.2005 n. 45284, Arezzini, Rv. 233138; idem 25.3.2010 n. 15678, P.G. in proc. Tassinari e altri, Rv. 246972; Sez. 5 13.1.1986 n. 3254, Redaelli, Rv. 172533, secondo le quali vanno considerati atti contrari alla pubblica decenza quelli che, prescindendo dalla sessualità, vengono posti in essere in spregio ai criteri di convivenza e di decoro da osservarsi nei rapporti tra i consociati, determinando in costoro disgusto, disagio, disdegno e disapprovazione, come l'orinare in luogo pubblico, indipendentemente dalla concreta percezione del gesto da parte di terzi, essendo sufficiente il pericolo che ciò possa accadere).

6.6 Potrebbe, a prima vista, ritenersi che anche l'esibizione di parti anatomiche muliebri destinate alla riservatezza abbia formato oggetto di giudizi (negativi) di segno analogo da parte della collettività, come implicitamente dimostrato dalle due menzionate decisioni n. 23083/2011 e n. 47868/2012; ma non può negarsi che, in simili ipotesi, l'evolversi dei tempi può avere condizionato il comune modo di sentire, finendo con il relativizzare il giudizio in rapporto al contesto spazio-temporale in cui quelle condotte siano state poste in essere: ciò vale soprattutto per i casi di esibizione del seno nudo in spiaggia che, nel tempo ed in dipendenza di un mutato modo di sentire dell'uomo medio, hanno perso la loro rilevanza penale. E in aggiunta non può non rilevarsi come l'esibizione dei glutei femminili pressochè scoperti in spiaggia e nel periodo estivo, anche in luoghi solitamente frequentati da bambini, viene ormai accettata dalla maggioranza come manifestazione, magari non eticamente apprezzabile, forse anche diseducativa, ma non penalmente rilevante, in quanto non produttiva di quel senso di disgusto, disagio e disdegno integrativo della fattispecie codicistica.
6.7 Non si comprende, peraltro, quale differenza vi possa essere - ai fini della ricomprensione della condotta oggi in esame nella fattispecie contestata - tra esibizione di seni nudi ed esibizione di glutei, peraltro non in modo integrale e nemmeno totalmente scoperti, posto che nelle due fattispecie oggetto delle precedenti pronunce dianzi citate (allo stesso modo che nella fattispecie attualmente al vaglio di questa Corte) si trattava di glutei solo in parte scoperti, in quanto le donne coinvolte in tutte le occasioni suddette indossavano un abbigliamento (perizoma) succinto che lasciava comunque coperto l'organo genitale femminile.

6.8 Un criterio distintivo apprezzabile potrebbe essere, allora, in sintonia con la generica formula legislativa, quello della contestualizzazione spaziale del fatto nel senso che, laddove una esibizione avvenga in un ambito spaziale ben definito ed in cui la regola comune è quella dell'osservanza della pudicizia e del decoro, da interpretarsi in modo rigido (si pensi ad una scuola ovvero ad un luogo di culto), potrebbe profilarsi quell'offesa al comune senso di decenza tipico della norma penale, mentre laddove ciò avvenga in una zona frequentata da una comunità indifferenziata di persone, ma senza imposizione di limiti specifici, quanto meno il senso di decenza deve essere interpretato cum grano salis e comunque in termini più flessibili.
6.9 Del resto, data per scontata la variabilità del sentire comune adattata ai tempi, questa Suprema Corte ha avuto modo di precisare che, ai fini della determinazione - per quanto qui rileva - della categoria degli atti contrari alla pubblica decenza, "Il giudice deve adottare, quali parametri di salutazione del modificarsi dei costumi sull'intero territorio nazionale, mode (costumi generalizzati ed accettati) e mass-media (televisione, radio e giornali quali "fabbrica" e "specchio del comune sentire", del generale stato di accettazione del mutamento di costume, della tolleranza nel pluralismo); parametri non variabili nello spazio, ma, pur tuttavia, il giudice medesimo deve prendere approfonditamente in considerazione le diverse, concrete circostanze" (nel caso concreto si trattava di reato contestato a soggetto di sesso femminile - avvocato - che si era presentato nell'androne del carcere indossando una succinta minigonna).

7. La giurisprudenza, inoltre, ha riconosciuto in più occasioni che l'atto contrario alla pubblica decenza deve rappresentare una grave sconvenienza. Vengono, quindi, in rilievo aspetti che coinvolgono il comune sentire di una collettività indifferenziata di persone e che non attengono tanto all'aspetto sessuale, quanto a quello della costumatezza o della riservatezza nel linguaggio o nei comportamenti.
Tanto, però, si ricollega alla mutevolezza, nel tempo, di nozioni generali che, per lo stretto riferimento che assumono rispetto ad in determinato periodo storico, sono destinate a variare secondo il modo di sentire consolidato di una collettività in una determinata epoca.

8. Si è già rilevato che il concetto di buon costume così come quello di decenza e decoro, per la stessa loro elasticità, hanno subito nell'arco di un secolo (per essere vicini ai giorni nostri) mutamenti epocali, con il variare della mentalità e della cultura, sicchè comportamenti che erano ritenuti biasimevoli negli anni passati oggi non sono più tali e sono socialmente accettati.
8.1 Anche la giurisprudenza penalistica formatasi nella materia ha modificato nel tempo il proprio assetto, giungendo a ritenere leciti in un determinato periodo storico comportamenti che prima non lo erano. In tale percorso si è sovente assistito ad una osmosi tra giurisprudenza e sentire comune vicendevolmente influenzagli secondo le contingenze temporali, non potendosi negare che talvolta siano state le pronunce giurisprudenziali a dettare regole di comportamento poi accettate e condivise dalla collettività.
9. Non può negarsi, in ogni caso, la necessità che il giudice penale, chiamato a giudicare un determinato comportamento alla luce di una norma volutamente indeterminata, effettui una valutazione di tipo storico-sociologico riferita al momento in cui tale giudizio deve essere espresso, riempiendo di contenuto un concetto necessariamente generico e, come detto, mutevole nel tempo.
9.1 L'interpretazione del sentimento comune dell'uomo medio di oggi non può naturalmente prescindere dal riferimento all'uomo di media cultura e di medio spessore morale inserito in una comunità laica (quale è, appunto, quella nazionale), ispirata a principi di tolleranza e di democrazia, in cui gli orientamenti culturali e morali possono essere (ed in effetti lo sono) influenzati da altri fattori soprattutto di tipo mediatico tra i quali un ruolo sicuramente non marginale va riconosciuto alle innumerevoli trasmissioni televisive (oggetto di visione anche da parte di bambini) in cui sempre più spesso compaiono donne (ma anche uomini) in abbigliamento talvolta più che succinto, senza che vengano imposti limiti a dette trasmissioni.

10. Per concludere, allora, la nozione di pubblica decenza rappresenta un concetto relativo e non assoluto che, riferito al significato penale, esige che venga offeso quel senso morale comune sì da suscitare disgusto e disapprovazione nell'uomo medio rapportato al nostro tempo: ma questa relatività concettuale impone che, al di là delle visioni di parti anatomiche di un corpo, vi siano, da parte di chi mette in mostra il proprio corpo, comportamenti spropositati e non giustificati in un determinato contesto spazio temporale.

10.1 In questo senso va ricordato l'orientamento recentemente espresso da questa Sezione con la decisione, non massimata, n. 3127 del 28 novembre 2013 nella quale si è affermato che le sole caratteristiche dell'abbigliamento non sono sufficienti alla integrazione della fattispecie contravvenzionale in assenza di altri elementi rilevanti idonei a far ritenere che quell'abbigliamento fosse tale da arrecare una offesa concreta al bene protetto dalla norma, pervenendosi, poi, alla conclusione dell'annullamento con rinvio della sentenza del Giudice di pace per nuovo esame alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte Suprema.

11. Lo stesso legislatore del resto - in una acquisita consapevolezza del mutare dei tempi e della inattualità di alcune ipotesi criminose - con la L. 28 aprile 2014, n. 67 (pubblicata nelle more della redazione della presente sentenza), contenente la delega al Governo anche per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati, all'art. 2, comma 2, lett. b), ha incluso proprio l'art. 726 cod. pen. tra le fattispecie contravvenzionali punite dal codice penale da trasformare in illeciti amministrativi, esprimendo così, ad evidenza, una valutazione di irrilevanza penale dei comportamenti a tale norma riconducibili.

12. Volendo allora trarre alcune conclusioni generali sull'argomento in esame, può dirsi che - allo stato attuale della legislazione - ai fini della integrazione della fattispecie contemplata dall'art. 726 cod. pen. non è sufficiente il mero abbigliamento trasgressivo e spinto per poter ritenere compiuta l'offesa alla pubblica decenza, occorrendo invece che forme siffatte di abbigliamento vengano accompagnate da comportamenti concretamente offensivi da parte dell'agente tali da suscitare quel senso di riprovazione o disgusto o disagio nell'uomo medio tipico della fattispecie medesima.
13. Alla stregua delle considerazioni dianzi svolte e con riferimento al caso sottoposto al vaglio di questo Collegio, deve rilevarsi che nella sentenza impugnata il giudice si è limitato sostanzialmente a prendere atto del tipo di abbigliamento indossato dalle due donne, insufficiente per le oggettive caratteristiche a far ritenere concretizzata l'offesa alla pubblica decenza, in una situazione in cui non risulta che le imputate siano state denunciate all'autorità amministrativa per condotte di adescamento e non emerge comunque che le stesse abbiano tenuto atteggiamenti ulteriori di richiamo, di invito o di saluto allusivo verso potenziali "clienti".
14. Si impone, quindi, l'annullamento della sentenza senza rinvio perchè il fatto non sussiste.

PQM

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2014


 

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