REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano - Presidente -
Dott. FUMO Maurizio - Consigliere -
Dott. ZAZA Carlo - Consigliere -
Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere -
Dott. LIGNOLA Ferdinando - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.E.,;
e da P.F,;
avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Milano il 7.11.2011;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Alfredo Guardiano;
udito il Pubblico Ministero nella persona del sostituto procuratore generale Dott. D'Angelo Giovanni, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi per i ricorrenti i rispettivi difensori di fiducia che hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi; avv.ti Diodà Nerio Giuseppe e Chiarconi Guido.

Motivazione

1. Con sentenza pronunciata il 7.11.2011 la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 14.7.2004, aveva condannato C.E. e P. F., imputati, in qualità di componenti del consiglio di amministrazione della società "Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l.", dichiarata fallita con sentenza del 30.7.1998, del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia.
2. I suddetti imputati sono stati ritenuti responsabili del delitto innanzi indicato in relazione ad una serie di finanziamenti infruttiferi effettuati dalla società fallita in favore della società controllante "Sogepa s.r.l." e della società collegata "Iketon Farmaceutici s.r.l.", mai rimborsati, nonostante il collegio sindacale avesse in più occasioni segnalato l'incongruità di tali finanziamenti, le cui risorse avrebbero dovuto essere destinate, invece, ad estinguere i debiti che la società aveva maturato nei confronti dell'Erario e degli istituti previdenziali, il cui mancato pagamento ne aveva determinato il fallimento.
3. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiedono l'annullamento, hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, entrambi gli imputati, articolando plurimi motivi di impugnazione.
3.1 Il C., in particolare, lamenta: 1) vizio di motivazione, sotto il profilo della motivazione apparente della sentenza impugnata, per avere la corte territoriale omesso di considerare che i finanziamenti non sono configurabili come atti distrattivi, ma come atti di gestione della società e che l'intera operazione non ha natura distrattiva, non essendo i finanziamenti in questione privi di remunerazione, come si desume da una serie di elementi non valutati dalla corte di appello. Il curatore fallimentare della società fallita, infatti, non ha riferito nulla in ordine ai servizi forniti dalla "Sogepa" alla "Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l.", mentre il curatore fallimentare della "Sogepa" ha affermato di avere rinvenuto numerose fatture emesse dalla società a compensazione del debito nei confronti della suddetta "Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l." per prestazioni di servizi durate sino al fallimento; inoltre l'esistenza di crediti della "Iketon Farmaceutici s.r.l." nei confronti della "Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l." offerti in compensazione è stata riconosciuta dal giudice delegato del fallimento della "Iketon", mentre i bilanci evidenziano una crescita dell'ammontare dei crediti della "Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l." verso la "Iketon" dal 1993 al 1997; il ricorrente contesta, altresì, nel merito l'analisi effettuata dalla corte territoriale sul contenuto dei bilanci della società fallita per gli anni 1990, 1991 e 1992; 2) violazione di legge in relazione alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1), e art. 2634 c.c., comma 3, non potendosi ritenere ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo se compensati da vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili; 3) violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata con riferimento all'elemento soggettivo, in quanto, se la responsabilità del C., sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato, si ritiene sussistente in applicazione del meccanismo della responsabilità concorsuale di cui all'art. 110 c.p., va rilevato che, da un lato l'imputato non ha partecipato alle assemblee nel corso delle quali sono stati deliberati i finanziamenti di cui si discute, apponendo successivamente la sua firma ai relativi verbali, dall'altro, ove si volesse ritenere il contrario, la sua sarebbe stata una mera partecipazione formale ad un atto di gestione, che appare inidonea a dimostrare la consapevolezza da parte del ricorrente delle finalità distrattive degli atti; nel caso, invece, in cui si ritenga che la suddetta responsabilità trovi il suo fondamento nell'art. 40 c.p., comma 2, fermo restando che non è possibile configurare a carico del C. una responsabilità penale solo in virtù della posizione rivestita dall'imputato all'interno della società fallita, occorrendo dimostrare che egli si sia rappresentato l'evento nella sua portata illecita ed abbia accettato che il reato venisse portato a compimento, omettendo di attivare i poteri impeditivi connessi al suo ruolo, va osservato che nel caso in esame tale dimostrazione non è stata fornita, non costituendo segnali di allarme all'uopo dotati di apprezzabile valore sintomatico le segnalazioni del collegio sindacale, che non hanno mai avuto ad oggetto condotte distrattive.

3.2 Identiche doglianze vengono prospettate nel ricorso presentato nell'interesse del P., nel quale si insiste in particolar modo sulla circostanza che l'imputato, scienziato e psicoterapeuta, non possa essere chiamato a rispondere del reato di cui si discute per la sua semplice qualità di componente del consigli di amministrazione della società fallita, non essendo egli dotato delle necessarie competenze tecniche per comprendere la natura distrattiva delle operazioni compiute, non avendo, inoltre, preso parte, come dichiarato nel corso dell'istruttoria dibattimentale nel giudizio di primo grado dallo stesso curatore fallimentare, all'incontro tra i sindaci e gli amministratori del 30.4.1992; infine il ricorrente eccepisce l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato.

4. Il ricorso non può essere accolto, per infondatezza dei motivi che lo sostengono.
5. Ed invero, come correttamente affermato dalla corte territoriale, i finanziamenti effettuati dalla "Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l." nei confronti delle altre due società vanno configurati come atti distrattivi, in quanto essendo privi di remunerazione essi vanno qualificati come "sottrazione di risorse economiche che avrebbero potuto e dovuto essere destinate al soddisfacimento dei creditori", rappresentati principalmente dall'Erario e dagli istituti previdenziali, "verso i quali la fallita aveva una foltissima esposizione debitoria" (cfr. pp. 12 e 14 dell'impugnata sentenza), circostanza, quest'ultima, non contestata dai ricorrenti.
Tale situazione era perfettamente nota agli organi cui era demandata l'amministrazione della società, in quanto, come rilevato dalla corte territoriale, senza che la circostanza abbia formato oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti, "il collegio sindacale sin dal 1990 aveva ripetutamente posto in luce gli omessi versamenti di debiti all'Erario e ad enti previdenziali e addirittura aveva espressamente consigliato di interrompere la politica di finanziamento fruttifero a favore della Sogepa", convocando il 30.4.1992 una riunione alla quale parteciparono tutti i componenti del consiglio di amministrazione (circostanza, quest'ultima, sulla partecipazione alla riunione di tutti i componenti del consiglio di amministrazione, invece, contestata dai ricorrenti) per esortare l'interruzione della politica di finanziamento alla controllante "Sogepa" (cfr. pp. 11 e 12 dell'impugnata sentenza). Appare, dunque, evidente, come la fattispecie ricostruita dai giudice di merito sia riconducibile ai principi affermati da tempo da un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, costituiscono fenomeni di dissipazione o distrazione del patrimonio societario i finanziamenti a società collegate, quali sono la "Sogepa s.r.l." e la "Iketon Farmaceutici s.r.l.", se non avvengono in cambio di adeguata contropartita o se non sono assistiti da valide garanzie.
Invero, poichè nella vigente normativa il gruppo o collegamento di società è privo di personalità giuridica - la quale permane individualmente in capo alle società componenti - la nozione di interesse sociale deve essere valutata tenendo conto della autonomia soggettiva delle singole società del gruppo e della impossibilità per i creditori di "inseguire" i beni su cui rivalersi, nel caso in cui gli stessi, usciti dalla disponibilità della società collegata (cfr. Cass., sez. 5, 06/10/1999, n. 12897, Tassan Din e altro).
Il trasferimento di risorse infragruppo, ovvero tra società appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale, infatti, specialmente quando venga effettuato a vantaggio di una società già in difficoltà economiche, non è consentito e deve essere qualificato come vera e propria distrazione ai sensi e per gli effetti previsti dalla L. Fall., art. 216, sul rilievo che le società, pur appartenendo allo stesso gruppo, sono persone giuridiche diverse e, pertanto, i creditori della società depauperata mai potrebbero rivalersi dei loro crediti inseguendo i beni ceduti da una società ad una altra dotata, ovviamente, di una autonoma personalità giuridica, posto che la garanzia dei creditori è data proprio dal patrimonio sociale, che viene depauperato allorchè vengano effettuati trasferimenti di beni ad altra società, con conseguente diminuzione della garanzia (cfr. Cass., sez. 5, 15/07/2008, n. 39546 B.G.).

Il carattere infruttifero dei finanziamenti, in uno con la rilevante esposizione debitoria in precedenza indicata, rende, dunque, evidente la natura distrattiva dell'intera operazione, rispetto alla quale la presenza di eventuali crediti vantati dalla società fallita nei confronti delle società collegate (di cui è stato del pari dichiarato il fallimento) costituisce un mero post factum irrilevante ai fini della consumazione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, avvenuta con la dichiarazione di fallimento, determinata in misura rilevante proprio dalle esposizioni debitorie nei confronti dei creditori della "Giuliana Cremascoli Chemical s.r.l." sulle quali non si è prodotto nessun effetto estintivo in conseguenza della invocata compensazione dei rapporti credito/debito tra le anzidette società.

Nè va taciuto l'improprio richiamo alla previsione dell'art. 2634 c.c., comma 3, in tema di "vantaggio compensativo" nell'ipotesi del collegamento o del gruppo di società, in quanto, come affermato da un condivisibile insegnamento del Supremo Collegio, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un'operazione infragruppo non è sufficiente allegare tale natura intrinseca, dovendo invece l'interessato fornire l'ulteriore dimostrazione del vantaggio compensativo ritratto dalla società che subisce il depauperamento in favore degli interessi complessivi del gruppo societario cui essa appartiene (cfr. Cass. pen., sez. 5, 6/10/2011, n. 48518, rv. 251536), che, nel caso in esame, in cui come si è detto, tutte le società collegate risultano fallite, non è stata fornita.
Inammissibili, perchè riguardanti profili di merito, sono, poi, le censure formulate con riferimento alla lettura dei bilanci societari operata dalla corte territoriale.

5.1 Infondati devono ritenersi anche i rilievi in ordine all'elemento soggettivo del reato formulati da entrambi i ricorrenti. Al riguardo appare sufficiente ribadire un principio da tempo affermato nella giurisprudenza di legittimità, che questo collegio intende ribadire, secondo cui in tema di reati fallimentari il componente del consiglio di amministrazione risponde penalmente per mancato impedimento del reato anche quando egli sia consapevolmente venuto meno al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all'espletamento del suo mandato, così violando gli obblighi gravanti su di lui, posto in una posizione di garanzia (cfr. Cass., sez. 5, 29/03/2012, n. 23091, B., rv. 252803; Cass., sez. 5, 14.12.2011, n. 3714, C, rv. 252947)
In questa prospettiva il dolo va inteso non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico, che, nel caso in esame, risulta dimostrata, a prescindere dalla partecipazione o meno degli imputati alla citata riunione del 30.4.1992, dai numerosi e reiterati allarmi del collegio sindacale in ordine alla esposizione debitoria della società ed alla opportunità di cessare i finanziamenti infruttiferi per destinarli al pagamento dei debiti verso l'Erario e gli istituti previdenziali, che i componenti del consiglio di amministrazione avevano il precipuo dovere di conoscere e che effettivamente conoscevano, in conseguenza della loro partecipazione attiva alla vita della società attraverso il compimento di atti di gestione, avendo firmato bilanci, relazioni ed avendo altresì partecipato ad assemblee ordinarie e straordinarie, come puntualmente rilevato dalla corte territoriale (cfr. p. 14 dell'impugnata sentenza).

5.2 Del pari infondato è il rilievo sulla intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
Ed invero, trovando applicazione nel caso in esame la normativa previgente alla riforma della disciplina della prescrizione, il relativo termine, pari ad anni quindici, nella sua massima estensione, tenuto conto, cioè, degli atti interruttivi intervenuti e della sospensione del relativo decorso, disposta per complessivi mesi quattro e giorni dodici, sarebbe venuto a scadenza solo il 12 dicembre 2013, essendosi il reato consumato alla data della sentenza dichiarativa di fallimento del 30.7.1998.
6. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi di cui in premessa vanno, dunque, rigettati, con condanna di ciascun ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

PQM

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2014


 

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