REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo - Presidente -
Dott. GRILLO Renato - Consigliere -
Dott. AMORESANO Silvio - rel. Consigliere -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) I.F.;
avverso la sentenza del 7.6.2013 della Corte di Appello di Bologna;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Silvio Amoresano;
sentite le conclusioni del P.G., Dott. BALDI Fulvio, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 7.6.2013 la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna, in composizione monocratica, emessa il 9.2.2012, con la quale I. F. era stato condannato per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 ascritto (perchè, in concorso con T.S., nella qualità di amministratore unico dal 21.11.2002 della "Prima srl, con sede legale in Praga e luogo di esercizio dell'attività in Ravenna, quale procuratore speciale dal 12.9.2003 nonchè amministratore di fatto della predetta società, allo scopo di evadere le imposte sui redditi e l'Iva, ometteva di presentare le dichiarazioni annuali relative a dette imposte per gli anni 2003 e 2004), dichiarava non doversi procedere nei confronti del predetto I. limitatamente alla violazione commessa con riferimento all'anno 2004 per intervenuta prescrizione e rideterminava la pena in anni 2 di reclusione.

Dopo aver richiamato la sentenza di primo grado, che aveva affermato la penale responsabilità dell'imputato risultando dalle emergenze istruttorie che I. era socio unico e gestore di fatto della società ed aveva emesso fatture nei confronti di EOS srl ed Europe System, con evasione di HDD e IVA per centinaia di migliaia di Euro, la Corte territoriale riteneva destituiti di fondamento i motivi di appello.
Dalla testimonianza del M.llo C. emergeva, infatti, che a I. facevano capo 27 società (cartiere) e che non era stato possibile reperire le scritture contabili.
Le fatture erano state rinvenute in unico esemplare presso l'utilizzatore ed il volume d'affari era stato ricostruito sulla base delle risultanze del c/c intestato a Prima.
2. Ricorre per cassazione I.F., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, l'erronea applicazione della legge penale con riferimento al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5.
La norma prevede che la violazione possa essere commessa da soggetto obbligato alla presentazione della dichiarazione. I Giudici di merito hanno omesso di individuare il fondamento dell'obbligo giuridico (in proposito) a carico del ricorrente.
Nè hanno motivato in ordine alla consapevolezza da parte dell'imputato dell'esistenza delle fatture acquisite presso l'utilizzatore.
Con il secondo motivo denuncia la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, essendosi la Corte territoriale limitata a richiamare la testimonianza del teste di Polizia Giudiziaria, senza specificare da quali elementi potesse ricavarsi la riconducibilità alla società Prima srl delle fatture rinvenute (non essendo sufficienti in proposito la mera intestazione ed indicazione della partita iva, dati reperibili da chiunque).
Con il terzo motivo denuncia la illogicità della motivazione, venendo la colpevolezza dell'imputato presunta per la sua irreperibilità e per la mancata presentazione, a seguito di invito, presso la G.d.F.

Motivazione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. E' pacifico che, nell'ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass.sez. 1 n. 8868 del 26.6.2000-Sangiorgi, Rv. 216906; cfr. anche Cass. sez. un. n. 6682 del 4.2.1992, Rv. 191229; Cass. sez. 2 n. 11220 del 13.1.1997, Ambrosino, Rv. 209145; Cass. sez. 6 n. 23248 del 7.2.2003, Zanotti, Rv. 225671; Cass. sez. 6 n. 11878 del 20.1.2003, Vigevano, R.224079; Cass. sez. 3 n. 44418 del 16.7.2013, Argentieri, Rv. 257595).

2.1. Il Tribunale aveva già adeguatamente argomentato, sulla base degli accertamenti espletati dalla Guardia di Finanza, in ordine alla riconducibilità dell'obbligo di presentazione delle dichiarazioni a I.F. (quale procuratore speciale dal 12.9.2003 e amministratore di fatto), all'esistenza delle fatture emesse tra gli anni 2003 e 2004 dalla Prima srl nei confronti di determinate società, alla omessa presentazione delle dichiarazioni.
Aveva ulteriormente evidenziato, richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 3 n.35858 del 7.6.2011) che l'imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per le fatture relative ad operazioni inesistenti.
La Corte territoriale, a fronte di motivi di appello assolutamente generici, con i quali si deduceva essenzialmente la mancanza di prova in ordine alla effettiva emissione delle fatture da parte della società Prima srl. (non essendo stato effettuato alcun accertamento sulla documentazione contabile della società), ha evidenziato, da un lato, che all'imputato facevano capo ben 27 società "cartiere" (scatole vuote per operazioni inesistenti, senza attività, strutture e dipendenti), e che non era stato possibile reperire le scritture contabili. Nonostante tali indiscutibili emergenze, l'imputato, benchè invitato a presentarsi presso la G.d.F., non aveva provveduto ad esibire le suddette scritture nè indicato il luogo dove avrebbero potuto essere rinvenute.
Ha inoltre sottolineato che le fatture emesse dalla "Prima" erano state rinvenute presso l'utilizzatore e che il volume di affari era stato ricostruito attraverso le movimentazioni di un c/c intestato a "Prima" e dagli inerenti ricavi e prelievi "(presunzione lecitamente utilizzabile anche in ambito penale, quando, come nella specie, sussistono decisivi elementi, quali l'attività sopradescritta, che le fanno ritenere indice del reddito e del volume di affari)" pag. 2 sent..

2.2. Con il ricorso vengono riproposte o questioni già esaminate, correttamente disattese, dalla Corte territoriale oppure introdotte questioni nuove.
2.2.1. Peraltro, quanto alla responsabilità dell'amministratore di fatto, la tesi difensiva secondo cui del reato omissivo proprio (nella specie omessa presentazione della dichiarazione dei redditi) potrebbe rispondere soltanto il soggetto sul quale incombe l'obbligo relativo, non può trovare accoglimento. Da un lato, perchè si porrebbero a carico dell'amministratore di diritto (anche se solo un prestanome) tutte le omissioni civilmente e penalmente rilevanti, mentre verrebbe esclusa ogni responsabilità di chi effettivamente gestisce la società, dall'altro perchè, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, specie in tema di reati fallimentari, l'amministratore di fatto è equiparato all'amministratore di diritto, tanto che risponde dei delitti di cui alla L. Fall., artt. 216 e ss., anche a prescindere, dalla responsabilità, quale correo, dell'amministratore di diritto.
L'equiparazione degli amministratori di fatto a quelli di diritto è stata affermata da questa Corte sia in materia civile, che penale e tributaria (cfr. Cass. civ. 5.12.2008 n.28819; Cass. civ. 12.3.2008 n. 6719; Cass. sez. un. civ. 18.10.2005 n. 2013; Cass. civ. Sez. 5 n.21757 del 2005; Cass. pen. n. 7203 del 2008; Cass. pen. n. 9097 del 1993; Cass. pen. n.2485 del 1995). Tale equiparazione trova del resto precisi riferimenti normativi (cfr. D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 11; art. 2639 c.c. (cfr. Cass. sez. 5 n. 21757 del 9.1.2005; Cass. pen. sez. 5 n. 7203 dell'11.11.2008).

Per quanto riguarda più specificamente il reato in contestazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 1 prevede che sono obbligati alla presentazione della dichiarazione tutti i soggetti che possiedono redditi anche se non consegue alcun debito di imposta e coloro che sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili; e il D.P.R. n. 322 del 1998, art. 1, comma 4 stabilisce che la dichiarazione di soggetti diversi dalle persone fisiche è sottoscritta dal rappresentante legale e, in mancanza, da chi ne ha l'amministrazione anche di fatto.

2.2.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, poi, in tema di reati finanziari e tributari, il delitto di omessa dichiarazione ai fini IVA è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l'imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione (Cass. pen. sez. 3 n. 39177 del 24.9.2008).

2.2.3. Infine, pur non potendosi, ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 5, far ricorso alla presunzione tributaria secondo cui gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi dell'azienda (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, il Giudice penale, nella determinazione dell'imposta evasa, procede ai necessari accertamenti mediante il ricorso anche a presunzioni di fatto (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 54090 del 26.11.2008).
3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
3.1. Va solo aggiunto che l'inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di dichiarare eventuali cause estintive maturate dopo l'emissione della sentenza impugnata. Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo sent. n. 23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l'intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perchè contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art. 606, comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d'ufficio. L'intrinseca incapacità dell'atto invalido di accedere davanti al giudice dell'impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale".

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2014


 

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