Svolgimento del processo

1. Con ordinanza 10.12.2019, il tribunale del riesame di Brescia confer- mava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP/tribunale della stessa città in data 23.09.2019, rigettando le richieste di riesame proposte in data 8.10.2019 dai difensori della società a r.l. Multi Professional Service s.r.I., in persona del I.r. Riccio Domenico nonché di Spinelli Daniela.

2. Giova precisare, per migliore intelligibilità dell'impugnazione cautelare di legittimità, che il provvedimento cautelare reale è stato emesso dal GIP ritenendo sussistere il fumus del reato di cui all'art. 10-quater, d. Igs. n. 74 del 2000, con- testato al capo 8), fino a concorrenza, nei confronti della predetta società, di una somma pari a poco più di 869mi1a euro, per aver portato in compensazione crediti di imposta inesistenti relativi ad investimenti in aree svantaggiate. Secondo la tesi accusatoria, in particolare, la società predetta, per mezzo del I.r., avrebbe acqui- stato crediti inesistenti da porre in compensazione con debiti tributari da una con- sorteria criminale che, oltre a tale cessione, offriva una serie di prestazioni ulte- riori, concernenti la redazione del modello F24 da personale specializzato, e la consegna di documentazione contrattuale attestante l'avvenuta cessione del cre- dito, da esibire in calo di verifiche fiscali.

3. Contro l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fi- ducia, iscritto all'Albo speciale previsto dall'art. 613, cod. proc. pen., articolando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 311, 125, n. 3, 12, 8, co. 3 e 16 cod. proc. pen., e correlato vizio di difetto e/o mera apparenza della motivazione in ordine alla dedotta ecce- zione di incompetenza territoriale dell'A.G. di Brescia, risultando i fatti per cui si procede connessi a quelli, precedenti, per cui procede l'A.G. di Gela. In sintesi, la difesa si duole della ritenuta infondatezza dell'eccezione di incompe- tenza territoriale dell'AG di Brescia in quanto sarebbe affetta dal vizio di difetto assoluto di motivazione. Il tribunale avrebbe disatteso l'eccezione escludendo I connotazione mafiosa dell'associazione contestata nel procedimento pendente di- nanzi alla AG bresciana, conseguendone che i reati contestati nel presente proce- dimento costituirebbero una mera prosecuzione dei fini dell'operatività "siciliana", pendendo procedimento penale dinanzi all'AG di Gela. Per sostenere tale assunto, il tribunale avrebbe valorizzato alcuni elementi (differente composizione sogget- tiva del sodalizio bresciano, integrato dal contributo di due soggetti, tali Fiorisi e Raniolo, non presenti nei fatti - reato siciliani; ricorrenza di finalità ulteriori da quelle meramente dirette alla realizzazione di indebite compensazioni, connotanti il sodalizio gelese, costituite dalla finalità del controllo del territorio e di acquisi- zione di attività produttive, perseguite ricorrendo a forme di intimidazione rivela- trici della metodologia mafiosa tale da determinare un clima di assoggettamento), valorizzando una vicenda riguardante un odontotecnico, tale Galli, che si inqua- drerebbe, a differenza di quanto prospettato nell'ordinanza genetica, nell'orbita degli interessi del sodalizio e non solo nel quadro delle iniziative di esclusiva per- tinenza personale del Marchese, e quelle relative a rapporti di dare/avere tra tali Vieri e Bonazza, da un lato, e sempre e solo il Marchese, dall'altro, nel cui ambito - in base alle ss.ii.tt. rese da costoro - avrebbe trovato espressione la capacità di intimidazione del sodalizio. Così riassunto l'approdo valutativo dei giudici del rie- same, sostiene tuttavia la difesa che non sarebbe stato però sufficientemente chia- rito in relazione a quali indizi dovrebbe scriminarsi la riconduzione delle azioni di intimidazione alle iniziative ed alla storia personale dei singoli, già in precedenza associati in autonome e distinte associazioni mafiose, come si affermerebbe con- traddittoriamente nell'ordinanza genetica, piuttosto che alla forza di assoggetta- mento del neocostituito sodalizio bresciano. Al fine di evidenziare tale deficit mo- tivazionale, la difesa richiama la vicenda relativa a tale Prandelli, che presenta sia sotto il profilo soggettivo (vendendo protagonisti due soggetti, il Marchese e Ca- sassa, già associati a Gela) che oggettivo (il rapporto con il Prandelli è oggetto del procedimento a Gela) collegamenti con la preesistente organizzazione gelese). Secondo la difesa, il motivo dell'intervento del Marchese e del Casassa sarebbe estraneo all'oggetto ed agli scopi dell'associazione, riguardando piuttosto la ne- cessità di arginare pretese indebite di tale Modica, a margine del rilascio di una fideiussione, in favore del Prandelli, mediata dal Casassa con altro soggetto. Pe- raltro, si aggiunge, in relazione a tale specifico episodio, contraddittoriamente, nella stessa ordinanza, si affermerebbe che l'atteggiamento prevaricatore attri- buito al Marchese risulterebbe effettivo, e non solo millantato, in quanto suffragato anzitutto dal complessivo apparato di prove dimostrative del collegamento dei suddetti sodali alle storiche famiglie mafiose Rinzivillo/Emmanuello/Stidda. In so- stanza, si osserva in ricorso, emergerebbe un timore legato al profilo personolo- gico del Marchese, ancorato ai suoi trascorsi del tutto sganciati dal "novum" ma- nifestatosi nel territorio di Brescia, piuttosto che alla forza di intimidazione del sodalizio neocostituito, ciò che renderebbe affetta dal vizio di difetto assoluto di motivazione, sotto il profilo della motivazione apparente, l'ordinanza impugnata circa l'ulteriore autonoma connotazione del sodalizio bresciano rispetto a quello gelese, cui i giudici hanno ancorato la tesi del radicamento a Brescia della compe- tenza per territorio. Pur prescindendo da quanto sopra, si denuncia comunque l'omessa pro- nuncia circa l'ulteriore profilo di censura riguardante l'affermazione, contenuta nell'ordinanza genetica, secondo cui il rapporto tra la ricorrente e il sodalizio gelese di Marchese, al quale la prima era estranea, permaneva senza soluzione di conti- nuità sin dal 2016, procedendo per le indebite compensazioni ascritte al sodalizio di Gela, la locale Procura della Repubblica. Le condotte postume al 2017, invece, contemplate dall'indagine della Procura di Brescia, risulterebbero izEriX.ascrivibil al modello operativo del neo-sodalizio costituito dal Marchese a Brescia, operante con il parallelo, mai dismesso. Secondo la difesa si tratterebbe di un assunto privo vo,n adeguato substrato argomentativo, che era stato oggetto di censura dinanzi ai giudici del riesame, a tal fine trascrivendosi in ricorso le relative censure mosse davanti al collegio cautelare di merito. All'esito di tale sintesi, la difesa sostiene che non ricorrerebbe alcun elemento da cui inferire che la Spinelli, I.r. della società all'epoca dei fatti, avesse avuto contezza della "metamorfosi" dell'attività del Mar- chese, ipotizzata in relazione alla costituzione ex novo di un sodalizio mafioso, con finalità e modalità analoghe in relazione ai reati-fine, in parallelo rispetto a quello primigenio mai cessato, e, in definitiva, della riferibilità dei reati alla stessa adde- bitati per l'anno 2018 al nuovo sodalizio. A sostegno di quanto sopra, si sostiene che Io stesso GIP di Brescia, con evidente contraddittorietà argomentativa, nel motivare l'insussistenza di un adeguato quadro indiziario a carico di tali Sambito e Perini in relazione al reato di concorso esterno in associazione mafiosa, avrebbe affermato come non vi fosse prova che questi fosse consapevole del nuovo corso del Marchese, ed in particolare dell'estensione del sodalizio criminoso ai commer- cialisti torinesi e ai mafiosi siciliani, Raniolo e Fiorisi, soggetti dei quali il PM non avrebbe allegato prova alcuna del fatto che egli ne conoscesse l'esistenza, donde $4 è vero che il suo sodalizio con il Marchese, Nastasi e Casassa è continuato oltre il periodo preso in contestazione dal GIP di Gela. Sul punto, si legge in ricorso, al di là dell'erroneità dell'assunto secondo cui il procedimento gelese avrebbe confi- gurato l'imputazione relativa al reato associativo con un termine finale attestante la cessazione della permanenza (posto che, al contrario, la contestazione individua il termine iniziale dal giugno 2014, definendo il reato "in permanenza", come del resto il luogo di commissione dei reati contestati con l'OCC dell'AG di Gela non risulta relegato al comune di Gela, essendo invece la contestazione relativa al reato associativo collocata "in Gela ed altri luoghi", risultando gli stessi reati-fine 4 tkr commessi in parte nel capoluogo lombardo e riguardanti soggetti clienti della re- gione Lombardia), risulterebbe comunque evidente della contraddittorietà intrin- seca dell'accusa la attestata ricorrenza di episodi di indebita compensazione ricon- ducibili all'operatività in permanenza del sodalizio gelese, ancorché collocabili nel 2018, in relazione ai quali non solo risulterebbe esclusa la configurabilità, persino oggettiva, dell'aggravante della finalità agevolativa del presunto sodalizio mafioso, ma di riflesso emergerebbe la connessione al reato associativo per cui procede l'AG di Gela, ciò che si rifletterebbe sulla competenza per territorio. Risulterebbe, quindi, del tutto arbitraria la "divaricazione" prospettata nell'ordinanza impugnata, per effetto della quale le compensazioni indebite temporalmente collocabili prima del 1.07.2017, data di commissione dell'ultimo reato ascritto agli indagati del pro- cedimento gelese, sarebbero ascrivibili al sodalizio di Gela, mentre le analoghe compensazioni indebite commesse successivamente rientrerebbero nel pro- gramma criminoso del sodalizio bresciano, con l'eccezione di taluni reati fine, in- vece ascrivibili alla prima associazione che avrebbe operato in permanenza anche oltre il limite temporale segnato dal trasferimento di Marchese a Brescia. A ciò si aggiunge, sottolinea la difesa, che l'assunto in base al quale la prima ordinanza avrebbe riguardato solo i fatti commessi prima del 31 luglio 2017, risulterebbe contraddetto dal fatto che l'imputazione provvisoria formulata a. carico dell'allora I.r. Spinelli nel procedimento gelese (capo 43), seppure imprecisa temporalmente quanto all'indicazione della data di commissione del fatto, ossia 1'11.01.2017, coin- cidente con la prima delle compensazioni indebite di quell'anno, in realtà riguar- derebbe anche tutte le compensazioni del relativo anno solare come agevolmente evincibile dalla quantificazione del complessivo importo delle compensazioni inde- bite effettuate dalla società in questione per poco più di 1 mln di euro. Non sus- sisterebbe, quindi, alcun elemento da cui poter inferire che il rapporto instaurato nel 2016 tra la società in questione e proseguito nel 2017, ed in relazione al quale è configurata l'imputazione di cui al capo 43 dell'OCC 19.03.2019 emessa dal GIP/tribunale di Gela, non si sia esteso anche alle condotte successive, che sareb- bero sovrapponibili, con identiche modalità funzionali e relazionali consistite nella realizzazione di quello che viene definito un cliché che prevedeva la comunicazione telematica a mezzo nnail degli F24 apparentemente attestanti la regolarità della compensazione di volta in volta richiesta, ed il pagamento del corrispettivo pattuito a monte su fattura emessa dalle società facenti capo al Marchese. Non risulterebbe nessun contatto nemmeno telefonico tra l'allora I.r. Spinelli ed il Marchese a valle della presunta metamorfosi dell'organizzazione del secondo, sostanziatosi nella duplicazione del secondo sodalizio, connotati da caratteristica mafiosa, sicché, per la difesa, non vi sarebbe dimostrazione alcuna dell'assunto per cui i rapporti tra la Spinelli ed il Marchese, stigmatizzati nell'imputazione sub 8), sarebbero riferibili al sodalizio alternativamente costituto dal secondo, con conseguente configurabilità dell'aggravante speciale contestata e radicamento della competenza per territorio a Brescia. Nonostante tali rilievi, l'ordinanza impugnata, secondo la difesa, difet- terebbe di qualsiasi argomentazione da cui inferire che la questione sia stata esa- minata - salvo un unico momento in cui ricorrerebbe l'apprezzamento in positivo del difetto assoluto di contatto con soggetti diversi da quelli dall'inizio interessati al procedimento gelese, e con questi ultimi neppure nel periodo preso in esame dall'AG di Brescia -, se non in chiave di apprezzamento delle esigenze cautelari, mancando tuttavia qualsiasi valutazione di inferenza del dato storico fattuale at- testato in positivo (ossia, l'assenza di contatti tra la Spinelli e gli altri indagati), con la ritenuta riferibilità degli ulteriori ciclici episodi di compensazione indebita, secondo il modello operativo già sperimentato nel procedimento gelese, e mai mutato nella costituita organizzazione bresciana, piuttosto che a quelle preesi- stente sorta a Gela, sotto l'egida del Marchese, con cui era sorto e proseguito ininterrottamente il rapporto estrinsecatosi nella presentazione dei modelli F24 attestanti compensazioni con crediti inesistenti, a fronte di corrispettivo pari ad oltre il 50% del credito compensato. L'unitarietà del rapporto sorto con il sodalizio gelese e proseguito sino ai primi mesi del 2019 sarebbe dimostrata dall'esibizione del contratto di accollo stipulato nel 2016 sotto la cui egida, in aderenza perfetta alle concrete modalità operative riscontratesi successivamente, si è consumata la frode anche in danno della società ricorrente. In sostanza, secondo la difesa, a voler seguire la tesi, invero meramente assertiva, secondo cui l'accollo costitui- rebbe un espediente annoverabile tra i servizi illeciti e remunerati dal Marchese, da esibire in caso di accertamenti fiscali, l'ipotizzata novazione del rapporto sorto a Gela cui si riferisce il contratto del luglio 2016, pur mancante di data certa, avrebbe dato luogo alla compilazione strumentale di un ulteriore falso contratto, in realtà inesistente. I giudici del riesame avrebbero del tutto omesso di esaminare il tema del difetto di motivazione dell'ordinanza genetica in merito alla riconduci- bilità degli episodi stigmatizzati nel procedimento introdotto dalla Procura di Bre- scia, piuttosto che nell'alveo del rapporto instaurato a Gela, con conseguente ri- flesso sulla competenza per territorio per ragioni di connessione, pur affermandosi che il sodalizio gelese avrebbe operato anche nell'arco temporale oggetto del pro- cedimento di Brescia, con conseguente radicamento della competenza avanti il tribunale di Gela e Milano per diversi ulteriori episodi di compensazione indebita interessanti altri coindagati per i quali è stata disposta la trasmissione degli atti.

3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in rela- zione all'art. 10-quater, d. Igs. n. 74 del 2000, 324 e 125, n. 3, c.p.p., e correlato vizio di motivazione, sotto il profilo del difetto e/o mera apparenza della stessa circa la configurabilità del fumus. Si duole la difesa della motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla configurabilità del fumus del reato di indebita compensazione ipotizzato, soprat- tutto con riferimento alla sussistenza dell'elemento psicologico, in quanto l'ordi- nanza si soffermerebbe sui rilievi inerenti la regolarità formale dell'operazione se- condo la normativa e le indicazioni dell'Agenzia delle Entrate, con rimprovero di non adeguata diligenza del contribuente nella preliminare verifica di regolarità, circostanza in cui si innesterebbe l'intervento dell'indagata, attuale ricorrente, che sarebbe stata capziosamente tratta in inganno dal riflesso liberatorio delle risul- tanze del c.d. cassetto fiscale e della regolarità contributiva, costantemente atte- stata dal rilascio periodico del DURC. A questi si aggiungerebbero i rilievi, censu- rabili, circa la palese sproporzione dell'operazione finanziaria che prevedeva nel caso della Spinelli, il trasferimento del credito apparentemente portato ed il corri- spettivo effettivo di oltre il 50% del suo valore nominale. Il tutto, si aggiunge, a fronte della ritenuta proporzione tra un corrispettivo documentato da bonifici per oltre 1 mln di euro, e servizi sostanzialmente consistiti nella cessione di crediti inesistenti, inidonei a garantire un concreto e definitivo beneficio al contribuente, esposto alle azioni di recupero dell'erario per l'intero importo, oltre sanzioni. Pro- prio il richiamo a tali "servizi" di cui la società dell'allora I.r. Spinelli avrebbe be- neficiato, della compilazione degli F24 del contratto di accollo, attività meritevoli di rennunerazione incomparabile per somme milionarie effettivamente versate, evidenzierebbe per la difesa il vizio argonnentativo dell'ordinanza, tacciata di mera apparenza, dovendosi semmai evidenziare lo squilibrio macroscopico tra le pre- stazioni corrispettive, ove mai la Spinelli avesse avuto contezza della fittizietà dell'operazione. Infine, quanto alla prospettata reticenza della Spinelli nel denun- ciare all'AG ed all'Erario i fatti perpetrati in danno della società del Marchese, si tratterebbe di argomento censurabile, a fronte dell'autodenuncia presentata all'Agenzia delle Entrate ben prima che fosse avviato il procedimento a Brescia, che avrebbe innescato tutti gli approfondimenti investigativi del caso, con conse- guente azione di recupero da parte dell'Erario, sollecito a prendere l'iniziativa quando ancora l'A.d.E. di Caltanissetta ignorava la vicenda — come sarebbe dimo- strato dalla nota dell'A.d.E. che accettava con riserva i versamenti volontari che la società si impegnava ad effettuare come avvenuto sin dal luglio 2019 - contra- riamente all'assunto secondo cui le iniziative della Spinelli, all'indomani della no- tizia dell'indagine di Gela, risulterebbero sintomatiche della consapevolezza e della dei lei adesione al meccanismo fraudolento ideato dal Marchese, ciò a riprova del difetto di dolo in capo alla ricorrente.

3.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 125, n. 3 e 321, cod. proc. pen., sotto il profilo del difetto di motivazione e dei criteri ermeneutici relativi all'applicazione del sequestro del profitto del reato nei confronti della persona giuridica quale beneficiari del profitto derivante dal reato commesso dall'amministratore. Si censura l'ordinanza impugnata in quanto, in contrasto con l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità non limitato ad un isolato precedente di questa Sezione, pretenderebbe di ancorare al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite Lucci, una "superfetazione" distonica con quanto affermato in tale pronuncia, secondo cui qualora il profitto del reato è costituito dal mancato esborso di denaro, la confisca di quest'ultimo avrebbe sempre natura diretta, non solo perché il denaro è bene fungibile, ma anche perché il profitto sarebbe consistito in una immateriale entità contabile la cui esistenza e consistenza risulterebbe confi- gurabile persino in difetto di un saldo positivo del c/c al momento del mancato adempimento dell'obbligo tributario. Tale ragionamento sarebbe censurabile sotto il profilo della credibilità razionale, al limite dell'apparenza motivazionale. Ed in- vero, richiamata quella giurisprudenza, di cui è espressione la sentenza n. 6348/19 di questa Sezione (secondo cui ai fini della confisca diretta delle somme seque- strate sul conto corrente bancario dell'imputato, la natura fungibile del denaro non è sufficiente per qualificare come "profitto" del reato l'oggetto del sequestro, es- sendo necessario anche provare che la disponibilità delle somme, successivamente sequestrate, costituisca un risparmio di spesa conseguito con il mancato versa- mento dell'imposta), sostiene la difesa che il rilievo del tribunale, posto a confu- tazione della massima, e tratto dalla motivazione della stessa sentenza (secondo cui l'esistenza di un profitto confiscabile in via diretta sarebbe rimessa alla piena disponibilità dell'indagato che ben potrebbe, al momento della scadenza dell'ob- bligazione tributaria, trasferire il denaro contante che fosse presente sui conti dell'impresa) sarebbe del tutto inadeguato, essendo del tutto evidente che, in tal caso, il trasferimento meramente elusivo, non sorretto da precisa causale, su altro c/c di comodo, per ciò stesso nella disponibilità, sia diretta che indiretta, risulte- rebbe del tutto inefficace ai fini della riconducibilità della provvista, successiva- mente rientrata nella disponibilità della società, al reato oggetto di diretta deriva- zione e, dall'altro lato, l'ipotesi del reimpiego introdotta nel costrutto argomenta- tivo in termini astratti, risulterebbe congetturale nella vicenda in esame. Sarebbe, poi, inconferente, il richiamo di quanto affermato dalle Sezioni Unite Miragliotta (secondo cui costituisce "profitto" del reato anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia cau- salmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di que- st'ultimo), in quanto riguardante il caso diverso del reimpiego del profitto del reato. Ancora, un ulteriore profilo di censura, rilevante sotto il profilo del vizio motivazionale, riguarderebbe il difetto di motivazione su un punto specifico de- dotto in sede di riesame, laddove si era evidenziato che, essendo intervenuta nell'aprile 2019 l'esecuzione del sequestro preventivo, disposto dal GIP di Gela per fatti analoghi, non risultava ipotizzabile alcuna confusione tra il profitto ipotetica- mente ritratto dalla condotta illecita oggetto di contestazione a Brescia, storica- mente antecedente l'esecuzione del predetto sequestro, e le rimesse successiva- mente effettuate da terzi contraenti della società in esecuzione di obbligazioni ma- turate a valle. In sostanza, osserva la difesa, si era dedotto che, una volta cristal- lizzato il dato, ossia il saldo contabile positivo determinato dall'indistinta con- fluenza e confusione nella disponibilità del reo di quella posta attiva costituente il profitto illecito, al momento dell'esecuzione del sequestro finalizzato alla confisca, verrebbe a mancare successivamente la possibilità di ritenere indistintamente con- fluenti in un'unitaria massa monetaria le successive rimesse aventi autonoma cau- sale lecita, proprio perché una volta identificato e sottoposto a sequestro il saldo positivo del c/c ad una certa data, questo è sottratto alla disponibilità dell'indagato o del terzo avvantaggiato e, quindi, non potrebbe configurarsi alcuna confusione con le ulteriori e successive acquisizioni. Si tratterebbe di un rilievo del tutto coe- rente con quanto affermato dalle Sezioni Unite Lucci, come del resto evidenziato da altra decisione di questa Sezione, richiamata in ricorso (Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017 - dep. 27/02/2018, P.M. in proc. Barletta e altro, Rv. 272353). Ne conseguirebbe, dunque, che la tesi sostenuta nell'ordinanza impugnata, secondo cui l'omesso versamento dell'imposta darebbe luogo sempre e comunque ad un profitto a vantaggio della persona giuridica obbligata, anche quando non risulti un saldo attivo alla data di omesso versamento, potendosi definire il profitto quale entità immateriale identificabile con il risparmio di spesa, indistintamente commi- sta con l'intero patrimonio della persona giuridica, finirebbe con l'estendere sine die e sull'intero patrimonio della società il provvedimento ablativo, pur in difetto del nesso di derivazione con il profitto del reato, sostanzialmente vanificando la netta distinzione tra il sequestro in forma diretta del profitto ed il sequestro per equivalente. Ne discenderebbe, quindi, la denunciata violazione di legge, essendo evidente lo "scollamento" tra la tesi dell'ordinanza impugnata, che pretende di ancorare la propria motivazione ai principi di diritto delle Sezioni Unite Lucci, tut- tavia eludendo o "elidendo" la netta demarcazione tra sequestro diretto e per equi- valente, che proprio le predette Sezioni Unite ribadiscono, come provato dalla cir- costanza che quanto argomentato dai giudici del riesame non si confronterebbe con altra decisione di questa Corte di cui viene riportato un ampio passo argomen- tativo (e secondo la quale in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è illegittima l'apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio del reo in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, che non risultino allo stesso collegate, neppure indiretta- mente: Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019 - dep. 12/02/2019, Sena, Rv. 275048). Infine, censurabile, perché meramente assertiva e difforme dall'orienta- mento giurisprudenziale di legittimità in tema di sequestro diretto del profitto de- rivante dal mancato adempimento dell'obbligazione tributaria, è il rilievo conte- nuto nell'ordinanza impugnata per cui il momento rilevante ai fini dell'apposizione del vincolo non sarebbe quello della notifica del decreto, ma quello di redazione del verbale di esecuzione, ancorandosi a tale adempimento formale l'ammissibilità del riesame. Sul punto, osserva la difesa, il tema che era posto in sede di riesame, non riguardava il tempo di perfezionamento del verbale di esecuzione intervenuto il 18.10.2019, quanto la circostanza che nello stesso giorno di notifica del decreto di sequestro, l'istituto di credito aveva fornito precisa indicazione del saldo attivo del c/c intestato alla società, pari a poco più di 45mila euro, come da nota allegata al verbale di esecuzione, risultando evidente che le rimesse effettuate successiva- mente da terzi debitori in adempimento di obbligazioni maturate successivamente, in relazione a contratti di servizi in corso di esecuzione, risultavano perfettamente identificate, quanto alla legittima provenienza del tutto estranea al profitto del reato contestato, postume alla cristallizzazione del saldo attivo in sede di prima esecuzione. Sul punto, si osserva, il diniego opposto dal tribunale del riesame - che non avrebbe detto alcunché circa l'estrema dilatazione dei tempi di formazione del verbale di esecuzione, dalla cui discrezionale estensione discenderebbe la di- latazione del perimetro applicativo del titolo cautelare -, si fonderebbe su un co- strutto argomentativo intrinsecamente contraddittorio, tacciatpile di apparenza motivazionale. Ed invero, da un lato si affermerebbe che momento rilevante ai fini dell'apposizione del vincolo è quello della redazione del verbale di esecuzione, ma dall'altro si opporrebbe però che l'estensione del vincolo ben oltre il limite cristal- lizzato dalla nota trasmessa dall'istituto di credito ed allegata al verbale di esecu- zione, idonea a segnare uno spartiacque tra la giacenza in cui sarebbe indistinta- mente confluito il profitto del reato a monte del sequestro e le successive soprav- venienze lecite e prive di nesso di derivazione dal reato, atterrebbe alla fase dell'esecuzione, donde non sarebbe deducibile in sede di riesame. Si tratterebbe di rilievo del resto del tutto elusivo della questione posta dalla difesa, atteso che il tema dell'estensione del sequestro a somme sopravvenienti, di comprovata pro- venienza lecita, in alcun modo correlabili al reato - ossia quelle pervenute sul c/c "a valle" dello spartiacque segnato dalla cristallizzazione del saldo attivo alla data di notifica del decreto come comunicato dall'istituto di credito, quale che sia il tempo impiegato per la redazione del relativo verbale -, non atterrebbe alla fase esecutiva, ma alla stessa legittimità dell'estensione degli effetti del sequestro a quelle somme (come affermato dalla citata Cass. 6816/2019).

4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta in data 4 giugno 2020, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Motivazione

1. Il ricorso, trattato ai sensi dell'art.83, comma 12-ter del D.L. n. 18/2020, convertito in L. n. 27/2020, ai limiti dell'inammissibilità, è senz'altro da ritenersi infondato.

2. Al fine di meglio lumeggiare le ragioni dell'approdo cui è pervenuta que- sta Corte, è opportuno muovere dall'esame della motivazione dell'impugnata or- dinanza che, a dispetto di quanto sostenuto in particolare con i primi due motivi di ricorso - meritevoli in parte di congiunta trattazione, attesa l'omogeneità di parte dei profili di doglianza mossi - ben possono essere esamintunitariamente. Gli stessi, peraltro, presentano un evidente tratto di inammissibilità comune, dato dalla prospettazione di censure che, a ben vedere, pur prospettando vizi di "difetto e/o mera apparenza" motivazionale (il primo, quanto alle ragioni che hanno in- dotto il tribunale a respingere l'eccezione di incompetenza territoriale dell'AG di Brescia in favore di quella di Gela; il secondo, quanto alle ragioni che hanno invece indotto i giudici del riesame a ritenere configurabile il fumus del reato di indebita compensazione), in realtà celano doglianze che non sono proponibili dinanzi a que- sta Corte nella sede cautelare reale di legittimità, governata dalla regula iuris di cui all'art. 325, cod. proc. pen., che, come è noto, limita la sindacabilità ai soli vizi di violazione di legge. Ed invero, tanto il primo quanto il secondo "motivo, celano in realtà dietro il censurato vizio di difetto e/o apparenza motivazionale, doglianze che attingono il percorso logico - argomentativo della ordinanza impugnata sotto il profilo dell'as- senta insufficienza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (em- blematico, anche letteralmente, è il continuo riferimento nelle censure, riferite ad ambedue i motivi di ricorso, all'insufficienza, al difetto motivazionale, alla contrad- dittorietà argomentativa, etc.) in relazione ad ambedue le questioni prospettate con i motivi di ricorso. Così strutturate le censure, si dimentica però che l'art. 325 cod. proc. pen. consente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell'art. 322-bis e 324 cod. proc. pen. solamente per violazione di legge. Sul punto si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte le quali, richiamando la giurispru- denza costante, hanno ricordato che "...il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l'apparato argomentativo che dovrebbe giu- stificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dall'organo investito del procedimento" (Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692. Conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093. V. anche Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893).

3. Il ricorso, come emerge agevolmente dalla mera lettura, formula anche censure che riguardano, come precisato nell'intestazione dei singoli motivi, non soltanto la violazione di legge quanto alle norme che disciplinano la competenza per territorio per ragioni di connessione e il delitto di indebita compensazione, ma anche il difetto e/Ola mera apparenza della motivazione, censure poi sviluppate, come anticipato, in più punti del ricorso, evocando la contraddittorietà o la mani- festa illogicità. Risolvendosi le censure nella sostanziale critica del percorso argo- mentativo seguito dai giudici del riesame, peraltro effettuata anche attraverso il richiamo a dati fattuali, esse non sono apprezzabili in questa sede di legittimità. Inoltre, la motivazione del provvedimento impugnato non presenta affatto vizi così radicali quali quelli indicati dalla giurisprudenza in precedenza richiamata. A ciò, peraltro, si aggiunge (ed è per questo che il Collegio ha premesso che si tratta di ricorso ai limiti dell'inammissibilitq,che già la stessa articolazione dei motivi di doglianza attraverso il ricorso alla formula "e/o", denota un deficit di tassatività delle ragioni di critica del provvedimento impugnato, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impu- gnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravamera le tante: Sez. 2, n. 31811 del 08/05/2012 - dep. 06/08/2012, cAkft---- Sardo e altro, Rv. 254329) Utmé il vizio di omessa motivazione (laddove si voglia intendere il termine "difetto" impiegato nell'intestazione dei motivi come riferibile alla più grave della patologie motivazionali) sussiste solo quando sia stato trascu- rato ogni esame su elementi di decisiva importanza la cui valutazione avrebbe potuto portare ad una diversa decisione, ovvero quando il giudice, partendo da premesse attendibili, sia pervenuto a conclusioni aberranti al lume della logica comune, di guisa che difetti ogni nesso razionale tra premesse e conclusioni, con conseguente impossibilità di ricostruire /'iter logico della motivazione di cui sussi- ste unicamente l'apparenza. Situazione questa, tuttavia, non ravvisabile nel caso in esame, in cui i giu- dici pervengono, attraverso ad un percorso logico - argomentativo non tacciabile di irrazionalità a respingere ambedue le doglianze poste dalla difesa della ricor- rente, non assurgendo certo l'opinabilità argomentativa - come invece vorrebbe la difesa - a motivo di doglianza idoneo ad innescare il sindacato di legittimità di questa Corte, per dipiù, lo si ribadisce, limitato in questa sede ai soli vizi di viola- zione di legge.

4. L'esame dei motivi di ricorso, conseguentemente, deve essere limitato alle questioni concernenti la sola violazione di legge, prospettata, nella fattispecie: a) con riferimento alle regole di determinazione della competenza per territorio per ragioni di connessione; b) con riferimento alla configurabilità del fumus del delitto di cui all'art. 10-quater, d. lgs. n. 74 del 2000.

5. Orbene, quanto al primo profilo di doglianza, sollevato con il primo mo- tivo, è sufficiente la semplice lettura dell'ordinanza impugnata per evidenziare l'assoluta mancanza di pregio della censura. I giudici del riesame, nell'affrontare la censura di incompetenza per terri- torio in favore del Tribunale di Gela (luogo nel quale risulta pendente altro proce- dimento penale per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di indebite compensazioni, ove figurano, tra gli altri, in qualità di promotore del so- dalizio, Marchese Rosario, e in qualità di acquirente dei crediti inesistenti, la Spi- nelli, fatti per i quali è stata attinta da misura cautelare reale), risolvono l'identica questione prospettata dinanzi a questa Corte dalla difesa, che si fonda sulla esclu- sione della connotazione mafiosa dell'associazione contestata nel procedimento bresciano, da cui conseguirebbe che i reati contestati in questo procedimento co- stituirebbero una mera prosecuzione dei fini dell'associazione siciliana, con ciò ra- dicando per connessione la competenza dinanzi all'A.G. di Gela. La censura viene risolta dai giudici del riesame richiamando i contenuti dell'ordinanza emessa dal medesimo Tribunale in data 17.10.2019 nella procedura ex art. 309 c.p.p. (N. 527-529/2019 R.I.M.C.) relativa alla misura cautelare personale applicata alla me- desima Spinelli Daniela, che viene ad essere integralmente riportata e che si ri- trascrive qui di seguito al fine di una migliore intelligibilità delle ragioni che hanno indotto questo Collegio a condividere l'approdo valutativo dei giudici del riesame. Così motivava il tribunale del riesame nel procedimento attivato ex art. 309 c.p.p. dalla Spinelli: "Ad avviso del Tribunale deve condividersi l'impostazione ac- cusatoria che, pur consapevole dell'esistenza del procedimento gelese, ha ravvi- sato nell'associazione criminale insediatasi nelle regioni dell'Italia settentrionale e riconducibile al trium virato Marchese-Raniolo-Fiorisi, i caratteri di un nuovo ed autonomo sodalizio criminale di stampo mafioso. Come rimarcato nell'ordinanza genetica, infatti, il gruppo criminale operante a Gela deve ritenersi distinto - per composizione soggettiva, finalità e modalità di azione - dall'associazione ex art.416 bis c.p., traendo origine dall'accordo tra il commercialista gelese e i noti espo- nenti della criminalità organizzata nel Nord Italia, Fiorisi e Raniolo, pur avendo ad oggetto, tra gli altri fini dell'associazione, anche quello di trarre profitto dalla ven- dita di crediti inesistenti. Tale giudizio si trae in primo luogo dalla diversa finalità dei reati associativi. Mentre a Gela l'associazione era espressamente diretta alla realizzazione di indebite compensazioni, il vincolo associativo emerso in questo procedimento si caratterizza per la finalità di controllo del territorio, anche a sca- pito di consorterie rivali, e di acquisizione delle attività produttive (emblematica a tal fine è la progressiva estromissione di Galli Roberto dalla società MG Clinic), utilizzando a tal fine anche i profitti derivanti dalla cessione dei crediti fittizi. Il metodo mafioso si evince palesemente dalle azioni estorsive poste in essere nei confronti dell'odontotecnico milanese Galli Roberto (la quotidiana presenza degli affiliati nei locali della società, le brutali aggressioni perpetrate ai danni dell'im- prenditore e le minacce ai suoi familiari rivelavano chiaramente la metodologia mafiosa adottata per realizzare un clima di terrore, intimidazione e soggezione - perfettamente rievocato dal Galli nelle s.i.t. del 4.10.2019- che impediva alla vit- tima, angosciata dal timore di ripercussioni alla propria incolumità, di continuare a svolgere l'attività imprenditoriale e dal regime di assoggettamento e omertà diffusa da parte dei soggetti che venivano in contatto con il sodalizio, disposti a rinunciare ai propri crediti per il timore di subire pesanti ritorsioni (come avvenuto in relazione agli insoluti nei confronti della ditta di autonoleggio di Viari Andrea e al mancato pagamento dei canoni d'affitto del residence Spiaggia d'oro di Bonazza Omar). Tali elementi, unitamente alla capacità del gruppo di farsi rispettare da altri nuclei criminali imponendo l'affermazione della propria 'superiorità' (come emerso unicamente nelle vicende di 'recupero crediti' in favore dell'imprenditore Prandelli, in cui Marchese sfruttava la pervicacia e la diffusività dell'associazione mafiosa per far restituire all'imprenditore i 700.000,00 euro che taluni criminali russi gli avevano indebitamente sottratto) inducono a rilevare l'autonomia tra l'as- sociazione 'semplice' gelese e quella 'mafiosa' operante nel settentrione d'Italia. Avvalora, infine, tale ragionamento anche la differente composizione soggettiva dei due gruppi criminali. Ed invero, mentre a Gela l'associazione semplice ruota essenzialmente intorno alla figura centrale di Marchese, i promotori della consor- teria mafiosa sono, non a caso, anche Fiorisi e Raniolo (non presenti nei fatti-reato siciliani) soggetti adusi all'uso della violenza e della capacità intimidatoria deri- vante dal metodo mafioso, elementi che, invece, non erano necessari nell'associa- zione semplice di Gela, finalizzata esclusivamente alla vendita di crediti inesistenti. Alla luce di tali considerazioni deve pertanto condividersi l'impostazione accolta dal Gip che, in ragione della connessione con il delitto ex art. 416 bis c.p. ha radicato la competenza del reato ascritto a Spinelli dinanzi all'A.G. di Brescia".

5.1. Trattasi, a ben vedere, di argomenti che - lungi dal denunciare l'asse- rito vizio di difetto e/o apparenza motivazionale o quello di violazione delle regole determinative della competente per territorio determinata da ragioni di connes- sione -, giustificano, attraverso un percorso logico - giuridico immune dai denun- ciati vizi, il radicamento della competenza davanti ai giudici bresciani in relazione ai fatti oggetto del procedimento pendente davanti a tale A.G., avendo individuato il tribunale del riesame, attraverso il richiamo di elementi oggettivi, quegli ele- menti che rebus sic sta ntibus, consentono di ritenere corretta la reiezione dell'ec- cezione di incompetenza per territorio determinata da ragioni di connessione con il procedimento "gelese". Del resto, la tesi difensiva, fondandosi sull'assunto che i reati contestati in questo procedimento costituirebbero una mera prosecuzione dei fini dell'associa- zione siciliana, con ciò radicando per connessione la competenza dinanzi all'A.G. di Gela, presupporrebbe la non configurabilità del delitto di associazione mafiosa oggetto di contestazione nel procedimento bresciano, il cui fumus, diversamente, i giudici del riesame hanno compiutamente descritto, peraltro evidenziando ele- menti oggettivi idonei ad escludere la tesi della "continuità" sostenuta dalla ricor- rente, ed a rafforzare invece la tesi accusatoria secondo cui il gruppo criminale operante a Gela deve ritenersi distinto - per composizione soggettiva, finalità e modalità di azione - dall'associazione ex art. 416 bis c.p. operante nel territorio bresciano. Quanto poi alle ulteriori doglianze di vizio,(notivazione circa l'asserita in- sussistenza di elementi da cui inferire che il rapporto instaurato nel 2016 tra la società Multi Professional Service s.r.l. e proseguito per tutto il 2017 (in relazione al quale sarebbe configurabile l'imputazione di cui al capo 43 dell'OCC di Gela) non si sia esteso con riguardo alle condotte successive asseritamente sovrapponibili, si tratta di' doglianze che, prospettando una tesi fattuale alternativa a quella se- guita dai giudici del riesame e dalla Pubblica Accusa, non possono certamente essere poste a fondamento di un ricorso per cassazione ammesso solo per vizi di violazione di legge, e che devono, ratione loci, trovare il loro naturale sbocco nella fase di merito. Il richiamo, infine, alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 legge n. 203/91 (ora 416 bis. 1 c.p.), come evidenziato dai giudici del riesame, non trovano corrispondenza nella contestazione che fonda l'apposizione del vincolo cautelare reale, atteso che l'aggravante non risulta contestata in relazione al capo 8) per il quale è stato disposto il sequestro preventivo (oltre ad essere stata espressamente esclusa dal Gip nei confronti della Spinelli nelle pagine 238-239 dell'ordinanza). 6. Ad analogo approdo deve pervenirsi quanto al secondo motivo, con cui si censura la configurabilità del fumus del delitto di indebita compensazione. Sul punto, infatti, i giudici del riesame richiamano ancora una volta l'ordi- nanza emessa dal medesimo Tribunale in materia cautelare personale nei confronti della Spinelli, osservando come risulti provata documentalmente la presentazione dei modelli F24 presso l'Agenzia delle Entrate con estinzione da parte di (omissis) s.r.l. di debito tributario mediante utilizzo di crediti inesistenti per l'importo di C 869.188,03 (cfr. all. nn. 558, 560, 562 e 564). L'oggettiva inesistenza dei crediti, non contestata né in sede di merito né davanti a questa Corte di legittimità, si legge nel provvedimento impugnato, risulta pacificamente accertata dalle emergenze processuali in atti, da cui risulta che la (omissis) Service s.r.l. non aveva riportato nel quadro RU della dichiara- zione dei redditi l'importo del credito disponibile da utilizzare in compensazione, non aveva effettuato la preventiva comunicazione al Centro Operativo di Pescara e non risultava in possesso di alcun atto registrato attestante l'acquisto di crediti derivanti da investimenti in aree nazionali svantaggiate. Quanto, poi, alla questione dell'accollo del debito erariale in favore della Spinelli da parte di una società intestata a Marchese Rosario (ideatore e principale artefice della frode) - la (omissis) Consulting - avente ad oggetto mere attività di consulenza finanziaria e con sede in Milano, si osserva nel provvedimento impugnato come non sia specificato in che modo l'impresa avrebbe maturato i presunti crediti per operazioni economiche in aree svantag- giate, né risulta indicato l'importo esatto dei crediti acquistati dalla (omissis) S.r.l., ciò a riprova dell'inesistenza oggettiva degli stessi e della funzione di mera copertura demandata a tali contratti, costituenti per i giudici del riesame dei "servizi aggiuntivi" offerti dall'associazione e da esibire in caso di ve- rifiche fiscali. Analogamente, poi, i giudici del riesame si soffermano sulla questione della consapevolezza sotto il profilo soggettivo da parte della Spinelli, nel richiamare anzitutto la giurisprudenza di questa Corte in materia secondo cui in tema di reato di indebita compensazione di crediti previsto dall'art. 10-quater del digs n. 74 del 2000, sotto il profilo soggettivo, l'inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco, mentre, nel caso in cui vengano dedotti crediti "non spettanti", sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa (Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018 - dep. 07/02/2019, Giannino, Rv. 275833), pervengono alla conclusione - del tutto immune dai denunciati vizi - secondo cui l'inesistenza del credito è di per sé indicativa dell'elemento soggettivo del reato in questione, sussistendo appunto in capo all'imprenditore un onere di verifica di quanto dichiarato nelle scritture contabili, specie ove, come nel caso di specie, possa derivarne un indebito vantaggio fiscale milionario, portando in com- pensazione centinaia di migliaia di euro di crediti inesistenti (pari a quasi 870 mila euro), con debiti maturati nei confronti dell'Erario. Anche sul punto, l'ordinanza impugnata richiama quella emessa dallo stesso Tribunale in sede di riesame personale (evidenziando che in tale procedi- mento erano state avanzate le medesime censure), osservandosi, in particolare, che dalla documentazione fiscale in atti (modelli F24 e "riepilogo contabile" dell'A- genzia delle Entrate), risulta che la Spinelli acquistava i crediti inesistenti per im- porti significativamente inferiori al valore nominale degli stessi (il credito di 869.188,03 euro era acquistato a fronte di un esborso pari a 466.412,44 euro).

7. Tutt'altro che priva di logica argonnentativa, peraltro, è poi l'osservazione contenuta nel provvedimento impugnato che sottolinea come, oltre all'evidente anomalia di un'operazione finanziaria che preveda l'acquisto di un credito al 50% del suo valore (sproporzione palese anche a chi, a differenza dei ricorrenti, non si occupi 'da sempre' di attività imprenditoriale), ciò che rende manifesta la piena consapevolezza della ricorrente circa l'inesistenza dei crediti è che la stessa non solo non ha mai versato il corrispettivo pattuito ai venditori, ma ha corrisposto ingenti somme al Marchese, mero intermediario delle operazioni di cessione o ac- collo del credito inesistente (incedibile e privo del visto di conformità), circostanza che per i giudici del riesame dimostra l'esistenza di un pregresso accordo tra gli ideatori della frode e la ricorrente finalizzato a remunerare il gruppo criminale per i "servizi" illeciti offerti (credito inesistente, compilazione del modello F24, forni- tura dei contratti da esibire in caso di accertamenti fiscali). Infine, gli ulteriori elementi già indicati (omissione dell'indicazione dei cre- diti da portare in compensazione nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, assenza di verifica sull'operatività delle cedenti né sulla disciplina circolatoria dei crediti, espressamente dichiarati incedibili dall'Agenzia delle Entrate e privi del prescritto visto di conformità) confortano ulteriormente per il tribunale del riesame il giudizio circa la piena consapevolezza dell'indagata in ordine all'illiceità dell'ope- razione, senza che rilevino le incertezze dedotte dalla difesa in punto di compen- sazione previo accollo.

7.1. Al cospetto di tale apparato argomentativo le doglianze esposte nel secondo motivo si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla va- lutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vie- tata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realtà, si pro- pone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cas- sazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745). A ciò, infine, va aggiunto che nel riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al "fumus" del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, conseguendone che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, purchè esso emerga "ictu ocu/i" (tra le tante: Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016 - dep. 03/05/2016, Iomnni ed altro, Rv. 266896). Ciò che, evidentemente, non si ravvisa nel caso in esame, come agevol- mente desumibile dallo stesso tenore della censura sviluppata nel secondo motivo che, al fine di tentare di dimostrare la mancanza della consapevolezza in capo alla Spinelli, si diffonde in un articolato approfondimento fattuale fondato sulla esi- stenza di un comportamento di autodenuncia della ricorrente che sarebbe logica- mente incompatibile con l'assunto della reticenza della Spinelli nel denunciare all'AG ed all'Erario i fatti perpetrati in danno della società dal Marchese, approfon- dimento in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico che — come di palmare evidenza — è incompatibile con la sommarietà della delibazione della procedura di riesame che consente, invece, di poter escludere l'elemento psicologico del reato solo se di immediata evidenza.

8. Resta, infine, da esaminare il terzo ed ultimo motivo, unico che, a giu- dizio del Collegio, merita maggiore attenzione, in quanto articolato con argomen- tazioni di adeguata valenza giuridico — argomentativa, quantunque, come si vedrà, destinato ad essere dichiarato infondato. In sintesi, le censure avanzate da Multi Professional Service s.r.I., si incen- trano sulla prova del difetto di provenienza da reato delle somme sequestrate alla società, perché pervenute sui conti correnti della società sia successivamente alla commissione del reato, sia in epoca posteriore rispetto al sequestro preventivo che era stato disposto dall'A.G. di Gela (in data 19.3.2019, eseguito il 9.4.2019). In particolare, come già prospettato dinanzi ai giudici del riesame, in sede di ricorso per cassazione, la difesa richiama un orientamento giurisprudenziale di questa Sezione secondo cui ai fini della confisca diretta delle somme sequestrate sul conto corrente bancario dell'imputato, la natura fungibile del denaro non è sufficiente per qualificare come "profitto" del reato l'oggetto del sequestro, es- sendo necessario anche provare che la disponibilità delle somme, successivamente sequestrate, costituisca un risparmio di spesa conseguito con il mancato versa- mento dell'imposta. Secondo tale orientamento "per accertare se il denaro costi- tuisce profitto, cioè risparmio di spesa, del reato di omesso versamento (e sia quindi aggredibile in via diretta), è necessario avere riguardo esclusivamente alle disponibilità liquide giacenti sui conti del contribuente al momento della scadenza del termine previsto per il pagamento del debito tributario, avuto riguardo ovvia- mente non all'identità fisica delle somme, ma al loro valore numerano, che potrà essere oggetto di sequestro (e poi di confisca) in via diretta, solo se di segno positivo sia al momento della scadenza del termine per il versamento dell'imposta, che del sequestro, con l'ulteriore conseguenza che il profitto non può essere mai considerato "diretto" per la parte eccedente il saldo alla data della scadenza del termine di pagamento, anche se non corrispondente all'ammontare dell'imposta evasa" (così - in motivazione - tra le altre Cass. Sez. III, n. 6348 del 04/10/2018 - dep. 11/02/2019, Torelli Katiuscia, Rv. 274859). Le somme eccedenti le giacenze di conto corrente al momento della consumazione del reato (allo scadere del ter- mine per il versamento) non possono in alcun modo derivare dal reato (polendo derivare da rimesse effettuate da terzi successivamente alla scadenza del termine per l'adempimento tributario), di talché le stesse neppure possono, evidente- mente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte.

9. La difesa ha contestato la soluzione cui è pervenuto il giudice del rie- same, che ha ritenuto di non condividere la giurisprudenza di questa Sezione, dichiarando invece di aderire alla giurisprudenza di cui sono espressione le note Sezioni Unite Lucci, le quali hanno affermato il principio per cui qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 - dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 264437).

Muovendo da tale giurisprudenza, i giudici del riesame hanno osservato che la tesi giurisprudenziale che richiede che le somme corrispondenti al profitto siano presenti sul conto corrente della società al momento della scadenza dell'obbliga- zione tributaria finisce per escludere l'esistenza di un profitto diretto del reato nel caso in cui l'autore del fatto non abbia la liquidità per adempiere l'obbligazione tributaria, facendo venire meno, in tal modo, un elemento essenziale - dal punto di vista logico prima che giuridico - del reato, atteso che non esisterebbe un pro- fitto diretto, ma solo per equivalente. Né - aggiungono i giudici del riesame - la disponibilità delle somme da versare in adempimento del debito tributario è pre- vista quale presupposto del delitto in esame e del reati tributari in generale che sono consumati non a mezzo di distrazione di somme, ma esclusivamente in virtù del mancato adempimento del debito tributario a mezzo di atti fraudolenti (dichia- razioni false o illecite compensazioni) ovvero mediante omissione dei versamenti dovuti. Inoltre, conclude il tribunale del riesame, in tal modo l'esistenza di un profitto confiscabile in via diretta sarebbe rimessa alla piena disponibilità dell'in- dagato che ben potrebbe, al momento della scadenza dell'obbligazione tributaria, trasferire il denaro contante che fosse presente sui conti correnti dell'impresa. Oltre a tali considerazioni, il collegio cautelare evidenzia che, nel caso del reato di indebita compensazione, il profitto illecito del delitto si sostanzia in un mancato esborso di denaro, sicché in questi casi la confisca (e, quindi, il sequestro preventivo) del denaro ha sempre natura diretta, atteso che, da un lato, il denaro è bene fungibile (di talché non avrebbe senso, come è ovvio, il vincolo apposto su quelle specifiche banconote), e, soprattutto, perché, in tal caso, esso non ha mai avuto una sua dimensione fisica, ma è consistito in una immateriale entità conta- bile che, proprio perché non ha dato luogo a un esborso, non si è mai "incorporata" in moneta contante. Peraltro, prosegue il tribunale, l'illecita locupletazione consistente nel mancato esborso delle somme dovute in relazione all'obbligazione tributaria permane nel patrimonio della società successivamente alla scadenza del termine per l'adempimento e sino a che non sia estinto il debito tributario stesso. Il mancato pagamento delle somme dovute all'Erario consente all'ente di evitare di distogliere risorse dall'attività di impresa concentrando le disponibilità economi- che sull'attività più strettamente produttiva. Per sostenere detta tesi, il tribunale ricorda che le Sezioni Unite della Su- prema Corte hanno avuto modo di puntualizzare, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall'art. 322-ter cod. pen., che costituisce "pro- fitto" del reato anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecita- mente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo (Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, dep. 2008, Miragliotta, Rv. 238700; fattispecie in tema di con- cussione nella quale il danaro era stato richiesto da un ufficiale di p.g. per l'acqui- sto di un immobile). Nella pronuncia si sottolineava che qualsiasi trasformazione che il danaro illecitamente conseguito subisca per effetto di inv.estimento dello stesso autore, deve essere considerata profitto del reato allorché sia direttamente riconducibile al reato stesso ed al profitto immediato conseguito (vale a dire il denaro), e sia soggettivamente attribuibile all'autore del reato, che quella trasfor- mazione abbia voluto.

10. Facendo dunque applicazione di tale principio al caso in esame, conclu- dono i giudici del riesame, il persistente impiego delle somme non versate all'Era- rio nell'attività di impresa concreta profitto diretto del reato per modo che le somme pervenute successivamente al fatto risultano sequestrabili non in via equi- valente. Tale conclusione risulterebbe per i giudici del riesame pienamente coerente con le affermazioni delle S.U. "Lucci" secondo cui "ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell'autore del fatto, ma perde - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relati.va identificabilità fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d'essere - né sul piano economico ne su quello giuridico- la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell'illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legit- timando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell'interesse del reo" (così in motivazione). Alla luce del predetto percorso argomentativo, le censure difensive circa l'assenza di prova della presenza delle somme sui conti correnti di Multi Professio- nal Service s.r.l. al momento della commissione del delitto di indebita compensa- zione non risultano per i giudici del riesame rilevanti, così come non rileverebbe la circostanza che le somme sottoposte a sequestro siano state depositate sui conti correnti successivamente all'esecuzione del sequestro preventivo disposto dall'A.G. di Gela. Quanto alla sottoposizione a vincolo delle somme sopravvenute sui conti correnti di Multi Professional Service s.r.l. successivamente alla notifica del de- creto, ma prima della redazione del verbale di esecuzione, i giudici del riesame richiamano la pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo cui "è inammissibile la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo che non sia stato ancora eseguito, non essendo ravvisabile alcun interesse concreto ed attuale a proporre impugnazione" (così, tra le altre, Cass Sez. III, n. 17839 del 05/12/2018 - dep. 30/04/2019, Di Guida Guglielmo, Rv. 275598). Ne consegue, pertanto, per i giudici del riesame, che il momento rilevante ai fini dell'apposizione del vincolo non è quello della notifica del decreto, bensì quello della redazione del verbale di esecuzione, di talchè non ricorre alcun vizio (che, eventualmente, sarebbe affe- rente la fase esecutiva e, come tale, non risulterebbe deducibile in sede di riesame in virtù della giurisprudenza di questa Corte: Sez. II, n. 44504 del 03/07/2015 - dep. 04/11/2015, Steccato Vattume', Rv. 265103).

11. La difesa della ricorrente ha contestato tale approdo solutorio sotto il profilo del difetto di motivazione e della violazione dei criteri ermeneutici relativi all'applicazione del sequestro del profitto del reato nei confronti della persona giu- ridica beneficiaria del profitto derivante dal reato commesso dall'amministratore, nei termini in precedenza illustrati.

12. Rileva, tuttavia, il collegio che le censure difensive, per come articolate, non meritano accoglimento, essendo evidente nello sviluppo argomentativo delle doglianze medesime un deficit che questa Corte non può colmare, tenuto conto della impossibilità di svolgere accertamenti in fatto, che esulano dai compiti e dalla cognizione di questa Corte di legittimità. 13. A fine di meglio chiarire tale conclusione è opportuno svolgere alcune considerazioni in relazione alla ritenuta natura diretta del sequestro del denaro giacente sul c/c della società da parte del Tribunale, che la difesa della ricorrente censura richiamando alcuni principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte. Si è sul punto affermato che, in tema di sequestro preventivo funzionale alla con- fisca, la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell'illecito (Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017 (dep. 2018), P.M. in proc. Barletta e altro, Rv. 272353). In quell'occasione, trattandosi di fattispecie in tema di omesso versamento delle ritenute, di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, si è esclusa la sussistenza dei presupposti per il sequestro e la successiva confisca di somme di denaro certamente depositate successivamente al momento di perfe- zionamento del reato. La sentenza Barletta ha chiarito che, sebbene le Sezioni Unite di questa Corte abbiano affermato che ove il prezzo o il profitto c.d. accre- scitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depo- sitate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma material- mente oggetto della ablazione e il reato (Sez. Un., n. 10561 del 30/1/2014, Gu- bert, Rv. 258647; Sez. Un., n. 31617 del 26/6/2015, Lucci, Rv. 264437) e ciò, implicitamente, proprio perché la natura fungibile del bene, che, come sottolineato dalle Sezioni Unite Lucci, si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell'autore del fatto, ed è tale da perdere - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica, rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell'illecito sia stata spesa, occultata o investita; "ciò che rileva", proseguono le Sezioni Unite, è che "le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dun- que, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell'interesse del reo", nondimeno, proprio in ragione di ciò, ed in senso esattamente corrispondente, seppure a contrario, al principio enunciato dalle Se- zioni Unite, ove si abbia invece la prova che tali somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato (come appunto nel caso in cui le stesse, come so- stenuto dalla difesa della ricorrente, sarebbero corrispondenti a rimesse successi- vamente effettuate da terzi contraenti della società in esecuzione di obbligazioni maturate a valle), di talché le stesse neppure possono, evidentemente, rappre- sentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte (ovvero, in altri termini del "risparmio di imposta" nel quale la giurisprudenza ha costantemente identificato il profitto dei reati tributari), le stesse non sono sottoponibili a sequestro, difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro, come quello di spe- cie, in via diretta.

14. A tali considerazioni, sopra testualmente riprodotte, si sono conformate successive pronunce nelle quali il principio affermato dalla sentenza Barletta è stato ribadito, precisando che è onere del terzo ricorrente di allegare circostanze da cui desumere che l'accrescimento del conto è frutto di rimesse successive alla commissione del reato e con questo non collegabili (Sez. 3, n. 41104 del 12/7/2018, Vincenzini, Rv. 274307) e che ai fini della confisca diretta delle somme sequestrate sul conto corrente bancario dell'imputato, la natura fungibile del de- naro non è sufficiente per qualificare come "profitto" del reato l'oggetto del seque- stro, essendo necessario anche provare che la disponibilità delle somme, succes- sivamente sequestrate, costituisca un risparmio di spesa conseguito con il man- cato versamento dell'imposta, precisando che, per accertare se il denaro costitui- sce profitto del reato tributario, e, cioè, un risparmio di spesa aggredibile in via diretta, è necessario avere riguardo non all'identità fisica delle somme, ma al va- lore numerano delle disponibilità giacenti sul conto dell'imputato alla scadenza del termine per il versamento dell'imposta, mentre il denaro versato successivamente a detto termine, che fosse stato sequestrato, non può essere ritenuto "profitto" del reato, ma rappresenta un'unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, confiscabile se ricorrono i presupposti per la confisca per equiva- lente (Sez. 3, n. 6348 del 4/10/2018 - dep. 2019, Torelli, Rv. 274859). Si è inoltre pervenuti ad analoghe conclusioni anche con riferimento a ipo- tesi di reato diverse da quelle previste dal d.lgs. 74/2000, affermando che è ille- gittima l'apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio del reo in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commis- sione del reato, che non risultino allo stesso collegate, neppure indirettamente (Sez. 6, n. 6816 del 29/1/2019, Sena, Rv. 275048, citata dalla difesa della ricor- rente). I principi in precedenza richiamati sono stati successivamente ribaditi (Sez. 3, n. 30414 del 17/5/2019, lacovelli, non massimata) affermando anche, in tema di omesso versamento di ritenute operate quale sostituto di imposta, che il profitto del reato consiste nel corrispondente risparmio di spesa ed, in particolare, nelle disponibilità liquide giacenti sui conti del contribuente alla data di scadenza del termine per il pagamento e non versate, con la conseguenza che il sequestro, per essere qualificato come finalizzato alla confisca diretta del danaro costituente il profitto del reato omissivo, non può mai essere disposto, né essere eseguito, per importi comunque superiori ai saldi attivi giacenti sui conti bancari e/o postali di cui il contribuente disponeva alla scadenza del termine per il pagamento, né su somme di danaro ace successivamente alla consumazione del reato (Sez. 3, n. 22061 del 23/1/2019, Moroso, Rv. 275754, non massimata sul punto).

15. Tali principi sono pienamente condivisi dal Collegio, il quale non intende discostarsene, osservando, in particolare, che proprio alla luce di quanto affermato nelle precedenti decisioni, può affermarsi che in presenza di un saldo attivo sul conto corrente al momento del conseguimento del profitto del reato fiscale, la fungibilità del denaro consente il sequestro in forma diretta. Invero, come pun- tualmente affermato dalla richiamata sentenza Moroso, "la somma di denaro pre- levata, distratta o destinata ad altri fini dal contribuente prima della scadenza del termine, non può essere qualificata come profitto del reato perché non può esservi "profitto" prima della consumazione del reato omissivo unisussistente. Sicché, per stabilire se il denaro costituisce profitto (e cioè risparmio di spesa) del reato di omesso versamento dell'imposta (e dunque bene aggredibile in via diretta) occorre prendere in considerazione esclusivamente le disponibilità liquide giacenti sui conti del contribuente al momento della scadenza del termine previsto per il pagamento dell'imposta stessa, avendo riguardo ovviamente non alla loro identità fisica, ma al valore numerano che potrà essere oggetto di sequestro diretto solo se di segno positivo sia al momento della scadenza del termine per il pagamento dell'imposta che a quello, successivo, del sequestro e non potrà mai essere considerato "di- retto" per la parte eccedente il saldo al momento della scadenza, anche se non corrispondente all'imposta evasa nella sua interezza (così, per esempio, se alla data di scadenza il conto corrente ha una disponibilità liquida di euro 100,00 ed il debito tributario è pari ad euro 1.000,00, la somma di denaro che può essere sequestrata direttamente non potrà mai essere superiore ad euro 100,00, nem- meno se alla data del sequestro tali disponibilità dovessero essere aumentate fino a coprire tutto il debito perché per l'ammontare residuo il sequestro può essere concepito solo "per equivalente")".16. Ciò rende necessario accertare — precisa la sentenza Moroso - se, alla data di scadenza del termine, sul conto giacessero somme liquide a disposizione del contribuente e quale ne fosse la consistenza sia al momento della scadenza del termine per versare le ritenute che a quello del sequestro. Allo stesso modo — siccome, nel caso in esame, il delitto di indebita com- pensazione di cui all'art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si consuma al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realiz- zandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018 - dep. 2019, Cappello, Rv. 274854) — costituiva onere della difesa della ricorrente, in presenza del sequestro di una somma di denaro la cui disponi- bilità nelle casse sociali al momento dell'imposizione del vincolo legittimava la con- fisca in forma diretta del relativo importo sul rilievo indiziario che le disponibilità monetarie del percipiente si fossero, appunto, accresciute della somma rispar- miata, in quanto oggetto dell'evasione fiscale, allegare circostanze specifiche dalle quali desumere che, alla data di consumazione del reato, sul conto corrente sociale non vi fossero somme liquide a disposizione del contribuente e allegare altresì circostanze specifiche dalle quali desumere che le somme oggetto di sequestro fossero il frutto di nuova finanza o, come dedotto nel caso di specie, di rimesse effettuate da terzi (ed aventi un'autonoma causale lecita) successivamente ri- spetto alla data di commissione del reato oggetto di provvisoria imputazione e che, pertanto, esse non potessero rappresentare il risultato della mancata decur- tazione del patrimonio quale conseguenza del risparmio di imposta in forza del quale si sarebbe dovuto identificare il profitto del reato sottoponibile a confisca diretta (v., in senso conforme: Sez. 3, 19 febbraio 2020 - dep. 14 aprile 2020, n. 12058, Piras, non massimata).

17. Non avendo la difesa della ricorrente fornito alcuna adeguata indica- zione circa la consistenza del conto alla data di consumazione del reato, indicazioni che - soprattutto alla luce della tesi difensiva secondo cui il tema dell'estensione del sequestro a somme sopravvenienti, di asserita "comprovata" provenienza lecita, in alcun modo correlabili al reato, identificate dalla ricorrente in quelle pervenute sul conto a valle dello spartiacque segnato dalla cristallizzazione del saldo attivo alla data di notifica del decreto di sequestro, per la relazione del relativo verbale - soltanto avrebbero consentito di apprezzare, secondo la sua apodittica affermazione, la natura per equivalente e non in forma diretta del sequestro nei termini dianzi richiamati, il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni ex art. 616, cod. proc. pen. indicate in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 1 luglio 2020


Scarica copia del provvedimento: Cassazione Sez. 3a Penale Sentenza n.23040/2020

 

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