REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. GRAZIOSI Chiara - rel. Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - Consigliere -
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.S.;
avverso l'ordinanza n. 95/2013 TRIB. LIBERTA' di VERONA, del 04/10/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
sentite le conclusioni del PG Dott. IZZO Gioacchino rigetto.

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 4 ottobre 2013 il Tribunale di Verona ha rigettato la richiesta di riesame presentata da C.S. avverso decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente disposto nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il 21 agosto 2013 in relazione a indagini a suo carico per reati tributari, prospettandosi che il suddetto indagato, quale amministratore di fatto di una società cartiera (Alex All Plastik Srl), avesse indicato oltre 2.000.000 di Euro di passivi fittizi nella dichiarazione delle imposte sui redditi e dell'Iva per l'anno 2007, omettendo poi la dichiarazione Iva per l'anno 2008 nonchè la dichiarazione Iva e quella sulle imposte sui redditi per l'anno 2009 (capi di imputazione 2 e 3), e avesse emesso fatture oggettivamente inesistenti per varie società (capo di imputazione 4).

2. Ha presentato ricorso il difensore denunciando violazione di legge penale sostanziale e processuale, con particolare riguardo alla disciplina relativa alla inutilizzabilità, nonchè mancanza o contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha ritenuto utilizzabile il verbale di constatazione perchè quando furono raccolte informazioni dai legali rappresentanti delle aziende con cui Alex All Plastik Srl aveva rapporti non sussistevano ancora indizi a loro carico nè risultava che la società fosse una cartiera. In tal modo il Tribunale parrebbe erroneamente far discendere la inutilizzabilità solo dalla sussistenza dell'elemento soggettivo doloso dell'operante. Avrebbe integrato illogica motivazione oltre che violazione della disciplina sulla inutilizzabilità il ritenere che i legali rappresentanti delle altre imprese non fossero indiziati solo perchè in possesso delle fatture: essi invece dovevano ritenersi indiziati del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. Il contributo concorsuale del C. non sarebbe poi desumibile dagli elementi residui indicati nell'ordinanza perchè aspecifici; sussisterebbe sul punto vizio motivazionale. Come violazione di legge e carenza motivazionale è infine denunciato il fatto che si non sarebbe verificato (e non vi sarebbe motivazione al riguardo) se il C. aveva ricevuto vantaggio economico dalla condotta illecita.

Motivazione

3. Il ricorso è infondato.
Come si è visto, il motivo presentato unitariamente dal ricorrente si articola in effetti in una pluralità di doglianze.
3.1 In primo luogo, si denuncia l'utilizzazione di alcuni elementi probatori in violazione della disciplina sulla inutilizzabilità, correlandovi un vizio motivazionale.
Va anzitutto rilevato, in ordine a quest'ultima censura, che, trattandosi di cautela reale, può essere denunciato, esclusivamente il vizio motivazionale nella sua forma radicale di carenza o apparenza della motivazione - cioè come violazione di legge in riferimento all'art. 125 c.p.p. - che ex art. 325 c.p.p. è appunto censurabile in sede di legittimità contro le ordinanze di riesame e di appello relative a provvedimenti genetici di cautele reali (da ultimo, proprio riguardo al sequestro preventivo, Cass. sez. 6, 10 gennaio 2013 n. 6589; v. altresì Cass. sez. 5, 1 ottobre 2010 n. 35532; Cass. sez. 3, 15 giugno 2004 n. 26583; S.U. 13 febbraio 2004 n. 5876), non rilevando invece una mera illogicità o incompletezza dell'apparato motivazionale (Cass. sez. 6, 20 febbraio 2009 n. 7472; Cass. sez. 5, 28 febbraio 2007 n. 8434).
Tanto premesso, non si può non rilevare che la doglianza è la riproposizione di una analoga presentata al Tribunale, avendo l'attuale ricorrente lamentato in tal sede la violazione dell'art. 220 disp. att. c.p.p. con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni dei legali rappresentanti delle società destinatarie delle fatture oggettivamente inesistenti il cui uso delle dichiarazioni tributarie ha successivamente integrato il capo 4 della imputazione. E il Tribunale ha risposto specificamente, rilevando che al momento della acquisizione delle informazioni suddette dagli atti non risulta chiaro che gli inquirenti fossero già pervenuti a conoscenza della natura di cartiera della Alex All Plastik Srl.
Giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte insegna che il verbale di constatazione della Guardia di Finanza costituisce un atto amministrativo extraprocessuale, come tale acquisibile e utilizzabile per provare la sussistenza dei reati tributari ex art. 234 c.p.p.; ma qualora emergano indizi di reato, il verbale diventa inutilizzabile nella parte redatta successivamente a tale emersione se non si procede secondo le modalità di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p. (Cass. sez. 3, 18 novembre 2008-18 febbraio 2009 n. 6881; Cass. sez. 3, 1 aprile 1998 n. 7820; Cass. sez. 3, 21 gennaio 1997 n. 1969), norma la cui osservanza, nell'ambito di attività ispettive o di vigilanza, è prevista per assicurare le fonti di prova in presenza appunto di indizi di reato ed è presidiata dalla inutilizzabilità (cfr. Cass. sez. 3, 10 febbraio 2010 n. 15372).

Il discrimen si incentra quindi sul momento di emersione degli indizi di reato, che il Tribunale nega fosse già avvenuta quando furono raccolte dalla Guardia di Finanza le dichiarazioni dei legali rappresentanti delle società che, in seguito, sarebbero risultate le fruitrici delle F.O.I. emesse dalla cartiera amministrata di fatto dall'indagato. Che sussistessero o meno all'epoca gli indizi è valutazione di merito in ordine al significato degli atti fino ad allora acquisiti; valutazione che, logicamente, è stata espletata dal giudice di merito, e che non può essere rivista dal giudice di legittimità. Ne è consapevole, a ben guardare, lo stesso ricorrente, che tenta di spostare il discorso sulla condizione soggettiva degli operanti, per sostenere che al Tribunale "sembra che l'inutilizzabilità di un atto dovrebbe essere fatta discendere solo in caso di sussistenza dell'elemento soggettivo doloso da parte dell'operante". L'argomento è capzioso: la valutazione sull'esistenza di un quadro indiziario quando viene effettuato il verbale di constatazione non può che essere oggettiva nel suo contenuto, si ripete di merito; il fatto che il Tribunale abbia ritenuto che l'esistenza di una condotta criminosa di cui l'indagato e i legali rappresentanti delle altre società fossero i compartecipi non era chiara agli operanti quando appunto redassero il verbale non può intendersi come immedesimazione psicologica del giudice negli operanti, bensì come frutto di una valutazione effettuata dal giudice di quella che era, in quel momento storico, la configurazione oggettiva del materiale acquisito.

3.2 Sempre per escludere che sussistessero all'epoca del verbale di constatazione o comunque emergessero durante la redazione di questo gli indizi del reato tributario, il Tribunale ha poi specificato che "il mero fatto di ricevere altrui fatture per operazioni inesistenti non costituisce, di per sè, reato, essendo reato l'utilizzo delle fatture nell'ambito delle proprie dichiarazioni fiscali".
Il ricorrente censura questa affermazione sulla base del fatto che il Tribunale "sembra disconoscere che l'emissione di fatture per operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti è sanzionata dal D.Lgs. 10 marzo 2000, art. 8 in quanto ritenuta condotta prodromica alla successiva dichiarazione fraudolenta dei redditi o Iva posta in essere da diversi soggetti d'impresa, ossia dai destinatari che utilizzassero tale documentazione per ottenere un illecita compensazione o rimborso fiscale". Si tratta di una confutazione apparente, poichè non incide, in realtà, su quanto rilevato dal Tribunale in ordine alla necessità di una effettiva utilizzazione nelle dichiarazioni come presupposto della configurabilità di un reato da parte dei soggetti le cui dichiarazioni sono state raccolte dalla Guardia di Finanza nel verbale di constatazione.

3.3 Un'ulteriore doglianza viene formulata dal ricorrente laddove afferma che il contributo concorsuale del C. "non può ricavarsi dai residui indicati nell'impugnata ordinanza" essendo elementi aspecifici. A parte che, come si è appena visto, il verbale di constatazione risulta utilizzabile, l'asserto è chiaramente fattuale, e sempre sul piano fattuale si dipana ampiamente (ricorso, pagine 4-5); inammissibile, poi, è la conseguente censura di illogicità della motivazione, visto l'art. 325 c.p.p.. Meramente ad abundantiam, allora, si rileva che comunque, nella seconda pagina della motivazione dell'ordinanza impugnata, il Tribunale offre un'adeguata ricostruzione, ovviamente al livello sommario che connota la fase procedurale, del fumus commissi delicti emerso in relazione all'attività del C. svolta attraverso tre società da lui gestite.

3.4 Infine il ricorrente lamenta che il provvedimento genetico non avrebbe motivato sull'esistenza di un personale profitto del C. quale presupposto inderogabile del sequestro finalizzato alla confisca, e che il Tribunale non avrebbe risposto sulla doglianza.
E' sufficiente al riguardo constatare che il motivo è formulato in modo generico, senza riportare specificamente nè la parte del decreto in cui il gip avrebbe dovuto considerare la questione e non l'avrebbe fatto, nè la doglianza addotta dinanzi al Tribunale. Il fatto poi che quest'ultimo abbia definito non necessaria la prova concreta del conseguimento di un "personale profitto" è qualificabile come frase impropria che peraltro trova correzione nello stesso complessivo apparato motivazionale dell'ordinanza impugnata, la quale, come sopra già evidenziato, ha descritto la complessiva condotta criminosa atta a integrare il fumus commissi delicti in relazione a un reato che non poteva non essere realizzato se non a fronte di un concreto compenso a chi gestiva la cartiera da parte dei soggetti che avrebbero poi utilizzato le F.O.I. per le proprie evasioni fiscali.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2014


 

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