REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIANDANESE Franco - Presidente -
Dott. CAMMINO Matilde - Consigliere -
Dott. MACCHIA Alberto - rel. Consigliere -
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Consigliere -
Dott. DI MARZIO Fabrizio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.F.;
avverso la sentenza n. 1047/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del 20/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/06/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MACCHIA ALBERTO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALLI M., che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. DI LUSTRO Ettoreantonio insiste nei motivi di ricorso.

Motivazione

Con sentenza del 20 novembre 2013, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa il 2 marzo 2009 dal Tribunale di Monza con la quale F.F. era stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 500 di multa quale imputato del delitto di truffa commesso mediante il pagamento di merce con assegno impagato.
I giudici dell'appello reputavano sussistente il delitto di truffa e non quello di insolvenza fraudolenta, come in subordine sollecitato dall'appellante, sul rilievo che la condotta dell'imputato si era estrinsecata in condotte decettive, poste in essere tanto prima che dopo la consegna della merce.
Reputavano inoltre inefficace la intervenuta remissione della querela, in quanto la truffa doveva ritenersi procedibile di ufficio in quanto aggravata dalla recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale.
Propone ricorso per cassazione il difensore il quale deduce che erroneamente il reato sarebbe stato considerato consumato con la presentazione dell'assegno risultato poi insoluto, in quanto la consumazione doveva farsi corrispondere con la consegna della merce avvenuta nell'_____. Dunque, le condotte successive, peraltro non oggetto di contestazione, non potevano essere evocate a fondamento della responsabilità penale. D'altra parte, le circostanze di fatto inquadrate dal giudice a quo come condotte truffaldine sarebbero prive di tali connotazioni e non vi sarebbe stato alcun inganno. Si insiste, poi, nella eventuale qualificazione del fatto come violazione dell'art. 641 c.p., evocandosi le circostanze di fatto che assevererebbero tale assunto e si contesta l'affermazione dei giudici a quibus secondo la quale anche la recidiva renderebbe la truffa aggravata ai fini della relativa procedibilità.

L'ultimo motivo di ricorso è fondato ed è assorbente. Come è noto, per effetto della L. n. 689 del 1981, art. 98, è stato aggiunto dell'art. 640 c.p., comma 3, il quale ha introdotto la perseguibilità a querela del reato di truffa. La procedibilità d'ufficio permane, tuttavia, in presenza di circostanze aggravanti.
Le ragioni di tale scelta legislativa sono state puntualmente messe a fuoco dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 294 del 1987, nella quale si è sottolineato che la L. n. 689 del 1981 non soltanto ha tenuto conto della non rilevante gravità degli illeciti per i quali si è introdotto il regime della perseguibilità a querela, ma ha dato rilievo decisivo alla finalità di conseguire, anche per questa via, una significativa deflazione dei carichi giudiziali, strumento necessario, anche se non unico, per avviare a soluzione il problema della intollerabile lentezza della giustizia penale: il legislatore, pertanto, ha ragionevolmente orientato le proprie scelte su reati, come la truffa, che, oltre a non essere particolarmente gravi, vengono notoriamente commessi con frequenza.
In tale quadro di riferimento, si è poi inserita la questione relativa alla possibilità o meno di considerare la recidiva quale circostanza aggravante che, a norma dell'art. 640 c.p., comma 3, rende il delitto di truffa procedibile di ufficio: tema, questo, sul quale si era venuto a registrare, in passato, un acuto contrasto, alimentato, anche, da un significativo divergere di opinioni pure in sede dottrinaria.

Ebbene, tale contrasto venne risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali ebbero modo di affermare il principio per il quale la recidiva non è compresa nelle circostanze aggravanti che rendono il reato di truffa perseguibile d'ufficio, in quanto essa, inerendo esclusivamente alla persona del colpevole, non incide sul fatto - reato - . (Sez. U, n. 3152 del 31/01/1987 - dep. 16/03/1987, PAOLINI, Rv. 175354).

In tale pronuncia, venne fra l'altro sottolineato come la ratio del particolare regime di procedibilità prescelto dal legislatore per il delitto di truffa dovesse essere ricercato nella rilevanza degli aspetti civilistici sottesi a tale reato, i quali, però, in presenza di circostanze aggravanti, non possono prevalere sugli interessi pubblicistici. In altre parole, la truffa non è considerata una vicenda eversiva dell'ordine economico, ma piuttosto un fenomeno di valore meramente intersoggettivo, lesivo di un interesse prevalentemente privato. Da qui, anche, la logica della avulsione di una aggravante sui generis, come la recidiva, dal novero di quelle per le quali si giustificherebbe il regime di procedibilità ex officio.
Tale orientamento, dopo alcune oscillazioni di poco successive, ha ricevuto in tempi più recenti conferma da parte di questa stessa Sezione, la quale ha appunto ribadito che la recidiva, che inerisce esclusivamente alla persona del colpevole e non incide sul fatto reato, sulla sua natura e sulla sua gravità oggettiva, non rientra tra le circostanze aggravanti che rendono perseguibile d'ufficio il reato di truffa. (Sez. 2^, n. 1876 del 19/11/1999 - dep. 19/02/2000, Aliberto, Rv. 215400).
Tale assunto va condiviso e ribadito anche alla luce delle più recenti disposizioni dettate dalla legge n. 251 del 2005, le quali hanno acuito i connotati "personalistici" della recidiva, rendendone ancor più peculiare il relativo regime. Il richiamo che dunque compare nell'art. 640 c.p., comma 3 alle circostanze aggravanti previste allo stesso articolo o ad "altre" circostanze aggravanti, non può che essere interpretato - proprio agli effetti della procedibilità - nel senso di escludere da questo novero una circostanza, come la recidiva, senz'altro "speciale" rispetto a quelle che, "ordinariamente", sono chiamate a qualificare in termini di maggior disvalore il fatto reato, sul che si radica la logica della procedibilità ex officio del delitto di truffa. D'altra parte, il carattere ordinariamente "facoltativo" che continua a contraddistingue la recidiva (salvo le ipotesi eccezionalmente obbligatorie enunciate nell'art. 99 c.p., penultimo comma) e che impone al giudice di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, escludendo l'aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacità delinquenziale (Sez. F, n. 35526 del 19/08/2013 - dep. 27/08/2013, p.g. in proc. De Silvio, Rv. 256713), induce a concludere nel senso che una siffatta "circostanza" mal si presti a "giustificare" (sul piano non soltanto logico ma anche sistematico) la trasformazione della procedibilità in quella officiosa.
La sentenza impugnata deve dunque esser annullata senza rinvio perchè il reato è estinto per intervenuta remissione di querela.

PQM

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per remissione della querela e condanna il querelato al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2014


 

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