REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERONE Antonio - Presidente -
Dott. CHINDEMI Domenico - Consigliere -
Dott. NAPOLITANO Lucio - rel. Consigliere -
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25114-2008 proposto da:
V.A., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA BARBERINI 52, presso lo studio dell'avvocato GOLINO VINCENZO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato VISCARDI AUGUSTO giusta delega in calce;
- ricorrente -
contro
AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA DELLO STATO AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
- resistente con atto di costituzione -
avverso la sentenza n. 67/2 007 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 20/07/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/05/2014 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

L'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Milano 1- notificò all'avv. Augusto V. avviso di accertamento con il quale provvide alla rettifica dei redditi dichiarati dal professionista per l'anno d'imposta 1999, per la parte Iva, Irpef ed Irap. Il contribuente impugnò l'atto impositivo dinanzi alla CTP di Milano, che rigettò il ricorso.
Sull'appello avverso detta pronuncia proposto dal contribuente la CTR della Lombardia, con sentenza n. 67/8/07 depositata il 20 luglio 2007, in parziale accoglimento del gravame, rettificò l'imponibile accertato ai fini Iva per L. 1.499.323 e ai fini delle imposte dirette per L. 7.214.710.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il contribuente in forza di tre motivi.
L'Agenzia delle Entrate ha dichiarato di costituirsi al solo fine di partecipare all'udienza di discussione.

Motivazione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea e falsa applicazione del D.P.R. n. n. 633 del 1972, artt. 6 e 21, attinenti esclusivamente al regime di fatturazione e registrazione dei compensi derivanti da prestazione di servizi ai fini Iva e da considerarsi del tutto autonomo ed indipendente rispetto al regime che regola le altre imposte sui redditi.
Il ricorrente lamenta, in particolare, l'erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui la CTR della Lombardia ha ritenuto di dovere conteggiare, ai fini della determinazione dell'imponibile Irpef per l'anno 1999, l'importo delle fatture emesse nel 1999 per lire 18.794.295, per le quali il professionista aveva comprovato dinanzi al giudice tributario d'appello di averne incassato l'importo nel 2000, fondando il proprio convincimento in ragione della ritenuta applicabilità, anche ai fini delle imposte dirette, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 6 e 21, per i quali le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo e la fattura è emessa al momento dell'effettuazione dell'operazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n., per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, comma 1, per avere confermato la ripresa a tassazione nell'esercizio 1999 dei summenzionati redditi percepiti nell'anno 2000, deducendo che, con la succitata motivazione, la CTR della Lombardia ha violato la richiamata disposizione del T.U.I.R., che, quanto alla determinazione del reddito da lavoro autonomo, statuisce, per quanto qui rileva, che "il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione".

3. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente deduce la "violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione sulla mancata pronuncia in ordine al richiesto annullamento delle maggiori imposte accertate dall'ufficio sul valore della produzione ai fini dell'I.R.A.P. e sull'addizionale regionale", lamentando che la CTR della Lombardia "nessuna motivazione ha assunto sulla omessa pronuncia in ordine alla richiesta di annullamento delle maggiori imposte applicate dall'Ufficio in forza dei maggiori redditi accertati, sul valore della produzione ai fini dell'I.R.A.P. dell'Addizionale Regionale e Comunale dell'I.R.P.E.F". 4. I primi due motivi, tra loro strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente.

Essi sono fondati e, come tali, meritevoli di accoglimento.
Come compiutamente documentato dal ricorrente, che ha riprodotto la documentazione versata in atti in grado d'appello (fatture e comunicazioni di bonifico), l'importo complessivo di L. 18.794.295, di cui alle fatture emesse nel 1999, analiticamente riportate in dettaglio alle pagine 25 e ss. del ricorso per cassazione, è stato corrisposto al professionista dalla SAI con bonifici tutti emessi nel 2000 (9 febbraio 2000 per le fatture n. 80 e 82 del 22.10.1999; 8 marzo 2000 per le fatture n. 65 e 68 del 22.10.1999; 22 marzo 2000 per le fatture n. 74 e 78 del 22.10.1999).
Il principio derivante dal combinato disposto dell'art. 6 3 comma e 21 del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo e la fattura è emessa al momento dell'effettuazione dell'operazione, attinente alla disciplina dell'Iva, è stato indebitamente assunto dalla decisione impugnata a fondamento della ripresa a tassazione di detto compenso professionale per l'anno d'imposta 1999 quanto all'Irpef, dovendosi per quest'ultima invece determinare il reddito da lavoro autonomo secondo il disposto dell'art. 50, comma 1 (vecchia numerazione) del D.P.R. n. 917 del 1986 nel testo vigente con riferimento all'anno d'imposta 1999, del tutto coincidente con l'attuale art. 54 del medesimo T.U.I.R., indicato dal ricorrente quale norma violata in parte qua dalla decisione impugnata.

Detta disposizione prevede, infatti, che il reddito derivante dall'esercizio, per quanto qui interessa, di professioni, è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio della professione.
Ne deriva che i redditi da lavoro autonomo vanno dichiarati secondo il principio di cassa e non di competenza (cfr. Cass. civ. sez. 5 15 aprile 2011, n. 8626).
Avendo, quindi, il ricorrente, comprovato dinanzi al giudice d'appello che il complessivo importo di L. 18.794.295 di cui alle summenzionate fatture, emesse nel 1999, gli è stato interamente corrisposto nel 2000, detto importo non poteva essere computato ai fini del calcolo dell'Irpef dovuta quanto all'anno d'imposta 1999.

Va dunque, enunciato il seguente principio di diritto:
"L'importo di fatture emesse dal professionista nell'anno d'imposta oggetto di accertamento da parte dell'Ufficio, ove sia comprovato dal contribuente che l'incasso è avvenuto in epoca ad esso successiva, non concorre alla determinazione del reddito da lavoro autonomo del professionista ai fini Irpef per l'anno oggetto di accertamento".

5. Va, infine, previamente ritenuto ammissibile il terzo motivo di ricorso. Con esso, come sopra innanzi testualmente riportato, il ricorrente ha sostanzialmente riferito il vizio di omessa pronuncia della decisione impugnata in ordine al richiesto annullamento delle maggiori imposte accertate dall'Ufficio sul valore della produzione ai fini dell'Irap e sull'addizionale regionale e comunale dell'Irpef - sussumibile nella violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, - al vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Va, in proposito, richiamato il recente arresto delle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. civ. sez. unite 24 luglio 2013, n. 17931; in senso conforme, successivamente, Cass. civ. sez. 131 ottobre 2013, n. 24553) secondo cui "il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all'art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge".

Facendo applicazione di detto principio nella fattispecie in esame, ritiene il collegio che l'erronea indicazione da parte del ricorrente della norma, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguardante il vizio motivazionale sotto il profilo dell'omessa motivazione, non pregiudichi l'ammissibilità del motivo, che, come è dato rilevare anche dal conclusivo quesito di diritto formulato a chiusura dell'illustrazione del motivo secondo l'art. 366 bis c.p.c., ancora applicabile, ratione temporis, al presente giudizio, appare posto in modo che l'oggetto precipuo della censura sia il dedotto vizio di omessa pronuncia sulla richiesta di annullamento delle maggiori imposte applicate dall'Ufficio in forza dei maggiori redditi accertati, sul valore della produzione ai fini dell'Irap e dell'Addizionale regionale e comunale.
5.1. Ciò premesso, il motivo è fondato nei termini innanzi precisati e va parzialmente accolto, avendo il ricorrente richiesto con il ricorso introduttivo -reiterando la domanda con l'appello proposto avverso la decisione di rigetto di primo grado, sulla base delle analoghe considerazioni esposte in punto di determinazione del volume di affari ai fini della determinazione dell'imponibile assoggettabile ad Irpef, che "si riflettono anche sul valore della produzione ai fini dell'I.R.A.P. e sulla Addizionale Regionale"- il "conseguente annullamento delle relative maggiori imposte accertate dall'Ufficio".
Sussiste, dunque, in tali limiti, la denunciata violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, essendo incorsa l'impugnata sentenza nell'omessa pronuncia sulla domanda proposta dal contribuente di annullamento, relativamente all'avviso di accertamento impugnato, delle relative maggiori imposte Irap ed Addizionale Regionale accertate dall'Ufficio, essendo stata prospettata solo in sede di legittimità la questione sull'omessa pronuncia quanto alla domanda di annullamento dell'avviso di accertamento sull'addizionale comunale, non richiesta nel giudizio di merito. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio della causa a diversa sezione della CTR della Lombardia che, attenendosi al principio di diritto sopra enunciato, pronuncerà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso in relazione ai motivi proposti, cassa la sentenza impugnata in relazione a quanto accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, a diversa sezione della CTR della Lombardia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2014


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.