REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente -
Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere -
Dott. ORICCHIO Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25023-2008 proposto da:
B.G. ;- ricorrente -
contro
Z.L., Bo.R.;- intimati -
Nonchè da:
Z.L., Bo.R., - ricorrenti incidentali -
e contro
B.G.;- intimato -
avverso la sentenza n. 323/2008 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, emesso il 22/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 18 luglio 1994 B. G. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Verona il commercialista B.G., chiedendone, a titolo di responsabilità professionale, la condanna al risarcimento dei danni subiti per negligente condotta.
In particolare veniva lamentato il fatto che il convenuto aveva, con imperizia, tenuto una condotta omissiva e contraria alle istruzioni ricevute in occasione del mancato appello nei termini di legge avverso la decisione della Commissione Tributaria di Verona n. 1135 del 9 aprile 1991, relativa ai ricorsi avverso gli avvisi di rettifica del locale Ufficio IVA relativi agli anni 1983, 1984, 1985 e 1986 e ad imposte poi non potute neppure condonare ex L. n. 413 del 1991, in assenza della pendenza del contenzioso.
Con sentenza non definitiva n. 123 del 18 gennaio 2008 il Tribunale di Verona riconosceva la responsabilità per colpa di B. G. condannando lo stesso a rifondere i danni in favore di Bo.G., rimettendo la causa in istruttoria per la quantificazione, a mezzo consulenza tecnica di ufficio, dei danni medesimi. Con sentenza n. 3839/2006 lo stesso Tribunale di Verona condannava il B. al pagamento in favore di Z.L. e Bo.R., quali eredi di Bo.G., della somma di Euro 50.683,33,oltre interessi legali e spese processuali. Avverso entrambe le suddette decisioni del Tribunale di primo grado interponeva appello il B., chiedendone la riforma.
Resistevano al proposto gravame le succitate eredi del Bo.
La Corte di Appello di Venezia, riuniti gli appelli, con sentenza n. 323/2008 li respingeva, confermando le sentenze impugnate e condannando l'appellante al pagamento delle spese processuali del grado. Per la cassazione della detta decisione della Corte di appello distrettuale ricorre il B. con atto affidato a cinque ordini di motivi, assistiti dalla formulazione di quesiti ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.. Resistono con controricorso e ricorso incidentale condizionato al secondo motivo del ricorso principale la Z. e la Bo.
Hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. B.G. e Z.L. e Bo. R.

Motivazione

1.- Con il primo motivo del ricorso principale si censura il vizio di "omessa pronuncia e, quindi, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, in merito al secondo motivo di impugnazione dell'arto di citazione di appello del dott. B. notificato in data 3/2/2007".
Si formula al riguardo ed ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., il seguente testuale quesito:
"dica la Suprema Corte se vi è la violazione degli artt. 340 e 341 c.p.c., nell'ipotesi in cui il Giudicante, in sede di sentenza definitiva e nell'esercizio delle proprie funzioni previste dal codice di rito, disattende il dictum della sentenza non definitiva, entrando nel merito della predetta sentenza, integrandola ed assumendo le funzioni proprie del Giudice del gravame, se non, addirittura la funzione del legale della parte, così come avvenuto nella fattispecie in esame".

Il motivo è infondato e va rigettato.
Parte ricorrente lamenta, in sostanza, il fatto che il giudice di prime cure, nella sentenza definitiva, abbia "nuovamente motivato e argomentato e motivato sull'esistenza responsabilità professionale B.". Il motivo ed il quesito non sono pertinenti rispetto all'oggetto dell'odierno giudizio, che - è bene ricordarlo - verte sulla decisione oggetto di impugnazione innanzi a questa Corte.
Per di più non può costituire oggetto di odierna censura l'allegata circostanza che, nella sentenza definitiva di primo grado, il giudice abbia (ri)riaffermato l'esistenza della detta responsabilità professionale con deduzioni, che - secondo la stessa prospettazione di parte ricorrente, devono intendersi meramente integrative. Il motivo è, infine, carente per mancato rispetto del noto principio di autosufficienza quanto alla specifica indicazione ed individuazione delle parti della cennata decisione in cui si sarebbe concretizzata la riproposizione della deduzioni che ribadivano la citata responsabilità.

2.- Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta il vizio di "violazione dell'art. 113 c.p.c., e L. n. 413 del 1991, art. 48, e, quindi, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, per aver erroneamente ritenuto necessaria l'impugnazione della sentenza della Commissione Tributaria di Verona ai fini della proposizione del condono fiscale".
Si sottopone al vaglio di questa Corte il seguente testuale quesito di diritto:
"dica la Suprema Corte se la presentazione dell'istanza di definizione automatica delle liti pendenti senza l'impugnazione della sentenza della Commissione Tributaria non passata in giudicato, come nella fattispecie in esame, costituisce motivo di inammissibilità della stessa e se, quindi, vi sia la violazione della L. n. 413 del 1991, art. 48".

Il motivo è infondato e deve essere rigettato.
Il relativo proposto quesito è del tutto irrilevante al fine dell'odierno decidere.
Deve premettersi che, in questa sede, non è possibile il riesame (che sostanzialmente la parte chiede) della questione di natura tributaria relativa alla mancata proposizione dell'appello avverso la sentenza della Commissione tributaria di primo grado ed alla necessità della pendenza di detto gravame al fine della valida proposizione del condono.
Tanto anche in dipendenza del fatto (di cui si dirà più specificamente in seguito) che, al momento dell'intervenuta pronuncia della citata decisione della Commissione tributaria di primo grado ed a quello successivo del passaggio in giudicato della stessa, non era ancora intervenuto il provvedimento relativo al condono.
Peraltro la valutazione che il professionista ben poteva fare, a suo tempo, circa l'opportunità della proposizione del detto appello, l'adempimento dell'onere professionale di informazione nei confronti del cliente e le eventuali disposizioni di quest'ultimo al medesimo professionista, costituiscono tutti elementi della controversia attinenti più pertinentemente ai motivi (secondo e terzo) di cui si dirà di seguito.

3.- Con il terzo motivo del ricorso in esame si deduce il vizio di "omessa e/o erronea ed insufficiente motivazione e, quindi, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, in merito alla tempestività del'istanza di condono presentata dal dott. B.".
Parte ricorrente formula, al riguardo ed ai sensi dell'art. 366 c.p.c., il seguente testuale quesito di diritto:
"dica la Suprema Corte se vi è la violazione della L. n. 413 del 1991, art. 48, e, quindi, se l'istanza di condono presentata dal dott. B. è, o meno, tempestiva nell'ipotesi in cui viene inviata la comunicazione dell'Ufficio IVA attestante la mancata produzione degli effetti dell'istanza di condono in considerazione della definitività della decisione di primo grado (come nella fattispecie in esame la comunicazione dell'Ufficio IVA del 7/10/1996) in mancanza del provvedimento dio diniego dell'istanza di condono".

Il motivo è, nel senso di seguito specificato, fondato e va conseguentemente accolto.
L'impugnata decisione, sul solo ritenuto presupposto della mancata osservanza dell'onere professionale di informazione, afferma che "diviene irrilevante accertare se e in che termini l'istanza di condono fosse stata tempestiva in quanto effettuata quando non era ancora divenuta definitiva la sentenza (tributaria) di primo grado per effetto della sospensione dei termini". L'assunto, in quanto non adeguatamente sorretto da idonea e congrua motivazione, non può essere condiviso. L'accertamento, sulla scorta delle acquisite emergenze istruttorie, circa la proposizione dell'istanza di condono concordata o meno nel rapporto professionista-cliente appare rivestire valore determinante al fine della decisione della controversia.
Andava, quindi, verificato - anche sotto l'aspetto del consenso informato- la sussistenza o meno di una volontà (del cliente, del professionista o di entrambi) di proporre la detta istanza di condono o, alternativamente, di ricorrere al giudice tributario di secondo grado. Tanto, per di più, in ragione della verifica delle reali intenzioni delle parti del rapporto professionale, della cognizione che le stesse avevano circa le aspettative sulla definizione della controversia tributaria anche in dipendenza del periodo del fatto e di quello (successivo) di promulgazione della L. n. 413 del 1991.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si denuncia la "violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e, quindi, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, per erronea interpretazione delle risultanze probatorie in ordine all'esistenza del conferimento dell'incarico per l'impugnazione della sentenza n. 1135 del 9/4/1991 della Commissione Tributaria di Verona di primo grado.

Il motivo è fondato e comporta l'accoglimento, in punto, del ricorso principale.
Nella decisione impugnata si afferma che "il professionista deve porre il cliente in grado di decidere consapevolmente, sulla base della valutazione ponderata di tutti gli elementi favorevoli e contrari della situazione dedotta in rapporto ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi, di varia natura a seconda della attività richiesta la professionista, ai quali questa lo esponga o possa eventualmente esporlo".
L'assunto è condivisibile, specie con riguardo a quegli elementi ragionevolmente prevedibili (quali, ad esempio, quelli riguardanti le possibilità connesse alla pendenza della controversia tributaria per effetto della proposizione di gravame).
Tuttavia la Corte territoriale non ha, con compiuta, adeguata e logica motivazione, dato conto della verifica dei presupposti di fatto, per come risultanti dalle emergenze istruttorie, giustificanti il predetto e pur corretto assunto astrattamente affermato.
Inoltre (e decisivamente) non appare assolutamente giustificato un secondo elemento sui cui è fondata la decisione gravata.
In essa si afferma che "in questo contesto diviene irrilevante accertare se vi sia stato o meno da parte del cliente l'incarico di impugnare la decisione 1135/1991 alla luce dell'onere di informazione che gravava sul professionista".
Orbene proprio per la gravità delle conseguenze, poi ritenute dalla Corte a qua "riguardo all'aspetto risarcitorio" della fattispecie, andava adeguatamente sostenuta, con argomentazioni logiche ed approfondite, proprio quella risultanza o meno dell'incarico da parte del cliente di impugnare la decisione della Commissione tributaria di primo grado.
Tanto a maggior ragione in dipendenza della circostanza che, in ipotesi, l'esclusione o la mancanza di tale incarico conferiscono ben altra valenza anche al citato "onere professionale di informazione".
Quest'ultimo - quale fonte di responsabilità risarcitoria - sarebbe, alla stregua di corretta valutazione nel merito cui non può provvedere questa Corte, del tutto escluso o parzialmente escluso (sotto il profilo della concorrenza) nel caso, da verificare nell'ipotesi dedotta in giudizio, di manifestazione ostativa o mancato conferimento dell'incarico professionale de quo.

5.- Con il quinto motivo del ricorso (ivi erroneamente indicato a pag. 2 come ennesimo 4 motivo) si denuncia il vizio di "violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e, quindi, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, per erronea interpretazione delle risultanze probatorie per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in merito alla sussistenza del danno subito dal sig. Bo. G".
Viene, al riguardo, formulato il seguente testuale quesito ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.:
"dica la Suprema Corte se vi è la violazione dell'art. 2697 c.c., in tema di onere della prova, nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, il Giudicante ritenga non necessaria la prova del danno da parte del danneggiato, ritenendo sufficiente il calcolo effettuato dalla consulenza tecnica d'ufficio, che non costituisce mezzo di prova".
Il motivo è assorbito dall'accoglimento del precedente terzo e quarto.

6.- Col ricorso incidentale, condizionato al secondo motivo del ricorso principale, formulato dalle parti resistenti e fondato sul solo proposto quesito di cui in atto, si ripropone ennesimamente la questione della definitività della decisione della Commissione Tributaria di primo grado.
Il ricorso incidentale condizionato in esame è assorbito dal rigetto del secondo del secondo motivo del ricorso principale.

7.- Alla stregua di quanto innanzi affermato e ritenuto il proposto ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, affinchè la stessa decida la controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati.

PQM

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, accoglie il terzo ed il quarto motivo dello stesso, assorbito il quinto ed il ricorso incidentale condizionato, cassa l'impugnata sentenza e rimette, anche per le spese del presente giudizio, innanzi ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2014


 

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