REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio - Presidente -
Dott. LANZILLO Raffaella - Consigliere -
Dott. SCRIMA Antonietta - Consigliere -
Dott. VINCENTI Enzo - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 6911-2011 proposto da:
V.P., V.F., G.A., elettivamente domiciliati in ROMA, P.ZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell'avvocato ORLANDO GUIDO rappresentati e difesi dall'avvocato BENVENGA GIUSEPPE giusta procura a Pag. 2 del ricorso;
- ricorrenti -
contro
O.G., considerato domiciliato in Roma, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato CARRABBA SALVATORE GIUSEPPE unitamente all'avvocato MARIANNINA GIUFFRIDA giusta procura a pag. 2 del controricorso;
N.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. SCALIA 6 INT 14, presso lo studio dell'avvocato LO DUCA ANTONINO, rappresentato e difeso dall'avvocato D'AMICO LEOPOLDO ANTONINO giusta procura a margine del controricorso;
AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALI RIUNITI PAPARDO - PIEMONTE , in persona del suo legale rappresentante e direttore generale, dott. C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell'avvocato FRANCESCO FALVO, rappresentata e difesa dall'avvocato AMATA FERDINANDO giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrenti -
e contro
ZURIGO ASSICURAZIONI SPA;
- intimata -
avverso la sentenza n. 22/2010 della CORTE D'APPELLO di MESSINA, depositata il 19/01/2010 R.G.N. 369/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/06/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l'Avvocato PIETRO LA CAVA per delega;
udito l'Avvocato ANTONINO LO DUCA per delega;
udito l'Avvocato LORENZO SPANGARO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Nel 1997 i sigg.ri V.F. e G.A., sia in proprio che quali rappresentanti ex art. 320 c.c. del figlio minore V.P.F., convennero dinanzi al Tribunale di Messina N.B., O.G. e la Azienda Ospedaliera "Papardo", allegando che:
- il ____ la sig.ra G.A. diede alla luce, nell'ospedale di Messina gestito dall'azienda convenuta, il proprio figlio V.P.F.;
- assistette al parto il medico N.B., nel reparto di cui era primario O.G.;
- a causa della negligenza dei sanitari, che non rilevarono i dati pelvimetrici della gestante e non eseguirono di conseguenza il necessario parto cesareo, durante le manovre di espulsione i sanitari provocarono al neonato la lesione del plesso brachiale.
Conclusero pertanto chiedendo la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza dei fatti appena descritti.

2. Con sentenza 21.6.2005 n. 1224, il Tribunale ha:
- escluso la responsabilità dei due sanitari convenuti, ritenendo che il danno fosse ascrivibile a carenze organizzative dell'ospedale;
- rigettato la domanda nei confronti dell'Azienda Ospedaliera, sul presupposto che all'epoca dei fatti l'ospedale era organo della disciolta USL _____ "Messina Nord" e che di conseguenza delle obbligazioni di quest'ultima dovesse rispondere la Regione Sicilia.

3. La sentenza venne impugnata dai soccombenti.
La Corte d'appello di Messina, con sentenza 19.1.2010 n. 22 ha confermato integralmente la decisione di primo grado.
4. Tale sentenza viene ora impugnata per cassazione da V. F., G.A. e V.P., nelle more divenuto maggiorenne, sulla base di sei motivi.
Hanno resistito con controricorso N.B. e O. G..
Nel giudizio dinanzi a questa Corte la Azienda Ospedaliera Papardo non si è difesa.

Motivazione

1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una di violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati gli artt. 24 e 111 Cost., nonchè gli artt. 101 e 183 c.p.c.); sia da una nullità processuale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4.
Espongono, al riguardo, che il Tribunale nel rigettare la domanda nei confronti della Azienda Ospedaliera ha posto a fondamento della propria decisione una questione (la titolarità dell'obbligazione dal lato passivo) rilevata d'ufficio e mai segnalata alle parti.
Concludono nel chiedere la cassazione con rinvio non alla Corte d'appello, ma al di Tribunale di Messina, per favorire la riunione del presente giudizio a quello proposto dagli attori nei confronti della gestione liquidatoria della disciolta USL Messina Nord, nel frattempo sospeso in attesa della definizione della presente controversia.

1.2. Il motivo è infondato.
La circostanza che il giudice abbia deciso la lite sulla base di una questione non previamente sottoposta all'esame delle parti non sempre è causa di nullità della sentenza, e quando lo è non sempre la sua deduzione come mezzo di gravame può condurre all'annullamento della decisione impugnata. Perchè ciò possa accadere sono necessari due presupposti: (a) il primo è che la questione rilevata d'ufficio dal giudice e senza sottoporla al previo contraddittorio delle parti sia una questione di fatto, ovvero una questione mista di fatto e di diritto. Se, invece, il giudice rilevi d'ufficio e senza stimolare il contraddittorio una questione di puro diritto, "da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall'error iuris in iudicando ovvero dall'error in iudicando de iure procedendi, denunciabile di per sè in sede di gravame come qualunque altro errore di diritto (così Sez. U, Sentenza n. 20935 del 30/09/2009, Rv. 610517; nello stesso senso Sez. 5, Sentenza n. 11453 del 23/05/2014, Rv. 630981; Sez. 3, Sentenza n. 8936 del 12/04/2013, Rv. 626018); (b) il secondo presupposto perchè possa essere dichiarata la nullità della sentenza che abbia pronunciato su questione (di fatto) non previamente sottoposta al contraddittorio delle parti è che colui il quale se ne dolga in sede di gravame indichi quali attività processuali avrebbe potuto chiedere e compiere, qualora fosse stato provocato il contraddittorio. In mancanza di tale allegazione l'impugnazione fondata sul rilievo officioso di questione (di fatto) non previamente segnalata alle parti non potrà essere accolta.

1.3. Nel caso di specie, nessuno dei due presupposti testè indicati sussiste.
Non ricorre il primo, perchè la questione rilevata d'ufficio dal giudice senza previa segnalazione alle parti (condotta che resta comunque rilevante sul piano disciplinare: così Sez. U, Sentenza n. 20935 del 30/09/2009, Rv. 610517) era una questione di puro diritto: ovvero stabilire quale fosse il soggetto che, alla luce della legislazione nazionale e regionale succedutasi in materia, dovesse farsi carico dei debiti contratti dalle disciolte USL. Non ricorre il secondo, perchè i ricorrenti non hanno indicato quali attività, richieste o deduzioni avrebbero inteso compiere, qualora il Tribunale avesse tempestivamente sottoposto loro la questione della legittimazione passiva della Azienda Ospedaliera convenuta.

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Anche col secondo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una di violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati gli artt. 102, 106, 183, 184 bis, 269 e 276 c.p.c.; degli artt. 4 e 6 del Trattato istitutivo dell'Unione Europea; dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; degli artt. 6 e 13 della CEDU); sia da una nullità processuale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4.
Espongono, al riguardo, che la Corte d'appello, non rimettendo la causa al primo giudice, ha violato due diritti degli appellanti:
quello "al doppio grado di giudizio" sulla questione rilevata d'ufficio, e quello a domandare la riunione della presente causa a quella proposta, in separata sede, contro la gestione liquidatoria della USL. 2.2. Il motivo è assorbito dal rigetto del primo.
Chiarezza ed esaustività suggeriscono tuttavia di ricordare come nel nostro ordinamento non esista alcun diritto "al doppio grado di giudizio" costituzionalmente garantito (ex permultis, Sez. 1, Sentenza n. 21233 del 14/10/2011, Rv. 619745), nè alcun diritto "alla riunione dei procedimenti", la quale è una mera scelta organizzativa rimessa alla discrezione del giudice di merito (ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 11187 del 15/05/2007, Rv. 597776; Sez. 3, Sentenza n. 1194 del 19/01/2007, Rv. 598206; Sez. L, Sentenza n. 19840 del 04/10/2004, Rv. 578637, e via risalendo sino alla sentenza capostipite rappresentata da Sez. 1, Sentenza n. 168 del 27/01/1962, Rv. 250258).

3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Anche col terzo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una di violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati gli artt. 3, 24 e 111 Cost.; artt. 102 e 354 c.p.c.; L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, comma 1; L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 14); sia da una nullità processuale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4.
Espongono, al riguardo, due censure illustrate congiuntamente. Con la prima deducono che sarebbe erronea la decisione di primo grado nella parte in cui ha rigettato la domanda nei confronti dell'Azienda Ospedaliera, e di conseguenza è erronea altresì la sentenza d'appello che quella decisione ha confermato. Deducono, al riguardo, che la Azienda Ospedaliera "Papardo", gestore dell'ospedale "Regina Margherita" ove avvenne il fatto, non è stata soppressa con le vecchie USL: essa già esisteva al momento del fatto, e continua ad esistere ancora oggi. Il suo debito pertanto non si è trasferito alla gestione liquidatoria, ma è rimasto in capo alla Azienda Ospedaliera; soggiungono che se le norme sullo scioglimento delle USL si interpretassero in senso difforme da quello proposto dai ricorrenti, sarebbero incostituzionali perchè proverebbero il creditore del "legittimo" debitore.
Con la seconda censura deducono che in ogni caso la Gestione Liquidatoria della disciolta USL Messina Nord era contraddittore necessario nel giudizio proposto contro l'Azienda Ospedaliera, di talchè la Corte d'appello avrebbe dovuto comunque annullare la sentenza e rinviare la causa al Tribunale, ai sensi dell'art. 354 c.p.c..

3.2. Il motivo è manifestamente infondato in tutti i suoi profili.
Le "aziende ospedaliere" cui fanno riferimento i ricorrenti, erette in enti dotati di personalità giuridica nel 1968 (L. 12 febbraio 1968, n. 132), vennero soppresse nel 1978 e incorporate nelle USL per effetto della L. 23 dicembre 1978, n. 833. Da quel momento gli enti ospedalieri di cui alla L. n. 132 del 1968 cessarono di esistere (ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 21241 del 14/10/2011, Rv. 619910).
A loro volta le USL vennero disciolte e sostituite dalle ASL per effetto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.
Dunque è del tutto falso l'assunto in iure da cui muovono i ricorrenti, ovvero che gli enti ospedalieri di cui alla L. n. 132 del 1968 fossero ancora esistenti all'epoca in cui si svolsero i fatti di causa (____).
Poche parole basteranno poi per rilevare la assoluta e totale manifesta infondatezza del prospettato dubbio di legittimità costituzionale della L. n. 724 del 1994, art. 6 e L. n. 549 del 1995, art. 2 con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui avrebbero "sostituito" il soggetto passivo dell'obbligazione vantato dagli odierni ricorrenti: le suddette leggi hanno infatti semplicemente regolato un fenomeno di successione tra enti, per effetto del quale i creditori delle disciolte USL non hanno visto nè falcidiato il proprio credito, nè divenire più difficoltosa la sua riscossione.

3.3. Manifestamente infondata è altresì la deduzione della nullità della sentenza per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della gestione liquidatoria della disciolta USL. In qualsiasi ipotesi di circolazione dell'obbligazione dal lato passivo non v'è mai litisconsorzio necessario tra il vecchio ed il nuovo debitore, per la semplice ragione che la legittimazione di essi è alternativa e non cumulativa.
Ovviamente del tutto fuori luogo è il richiamo dei ricorrenti alla disciplina dell'assicurazione obbligatoria autoveicoli, nella quale il litisconsorzio necessario è imposto dalla legge (art. 145 cod. ass.).

4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Anche col quarto motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una di violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3, (si assume violato la L.R. Sicilia 8 febbraio 2007, n. 2, art. 24, comma 21); sia da una nullità processuale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4.
Espongono, al riguardo, che per effetto della promulgazione della L.R. Sicilia 8 febbraio 2007, n. 2, art. 24, comma 21, sono state soppresse le gestioni liquidatorie delle disciolte USL, ed è stato disposto il trasferimento dei loro debiti alle Aziende Sanitarie od Ospedaliere. Da un lato, pertanto, la Corte d'appello aveva violato la norma appena ricordata, non tenendo conto di questa "legittimazione passiva sopravvenuta" dell'Azienda Ospedaliera; dall'altro aveva omesso di pronunciarsi su una questione rilevabile d'ufficio, incorrendo così in una nullità processuale.

4.2. Con riferimento al vizio di nullità di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4, il motivo è inammissibile: gli attori hanno proposto una domanda di risarcimento del danno, e su essa la Corte d'appello si è pronunciata. Che poi non abbia tenuto conto, nel decidere, di una o più norme di diritto è circostanza che può costituire un error in iudicando, non certo in procedendo.
4.3. Con riferimento al vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3, il motivo è infondato.
La L.R. Sicilia n. 2 del 2007, art. 24, comma 21, cit., non ha affatto trasferito i debiti delle ex gestioni liquidatorie delle disciolte USL alle neocostituite ASL od A.O., nè avrebbe potuto farlo.
Costituisce, infatti, principio fondamentale della legislazione nazionale (introdotto dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, comma 1), il divieto delle regioni di far gravare sulle ASL i debiti delle USL. Di conseguenza una interpretazione costituzionalmente orientata della legislazione regionale impedisce di attribuire a quest'ultima effetti confliggenti con la norma statale ora ricordata (Corte cost., 09-12-2005, n. 437; cfr. altresì, per l'affermazione del principio sia pure in diversa fattispecie, Sez. 3, Sentenza n. 15725 del 02/07/2010, Rv. 614004). Pertanto la L.R. Sicilia n. 2 del 2007, art. 24, comma 21, cit., va interpretato nel senso che tale norma abbia dettato disposizioni rilevanti sul piano interno della gestione della contabilità degli enti, non certo sul piano della legittimazione passiva.
Qualsiasi diversa interpretazione, infatti, porrebbe la norma in conflitto con l'art. 117 cost., come già ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale, allorchè venne chiamata a valutare la conformità a Costituzione di norme analoghe. In particolare:
- Corte cost., 05-04-2012, n. 79, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L.R. Basilicata 1 luglio 2008, n. 12, art. 6 nella parte in cui prevede che i direttori generali delle aziende sanitarie locali (asl) di Potenza e Matera, i quali hanno assunto - ai sensi della L.R. Basilicata n. 12 del 2008 cit., art. 6, comma 4, - il residuo delle gestioni liquidatorie delle disciolte unità sanitarie locali (usl) delle due province, possano utilizzare in anticipazione le disponibilità finanziarie delle aziende stesse al fine di effettuare i pagamenti urgenti e indifferibili relativi alle pertinenti gestioni;
- Corte cost., 19-03-2010, n. 108, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L.R. Friuli-Venezia Giulia 26 ottobre 2006, n. 19, art. 15, comma 2, nella parte in cui non assicura la separazione tra la gestione liquidatoria delle passività anteriori al 31 dicembre 1994, risalenti alle usi, e le attività poste in essere direttamente dalle asl, non sottraendo di conseguenza queste ultime alle passività precedenti la loro istituzione;
- Corte cost., 05-04-2007, n. 116, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L.R. Calabria 26 giugno 2003, n. 8, art. 22, commi 1 e 2, nella parte in cui stabilisce che eventuali sopravvivenze attive e passive delle soppresse gestioni liquidatorie delle unità sanitarie locali rimangono di pertinenza delle aziende sanitarie competenti e a tal fine le disponibilità finanziarie dei conti correnti accesi presso le sezioni di tesoreria provinciale dello stato sono iscritte nel conto accantonamento spese ex gestioni liquidatorie;
- Corte cost., 09-12-2005, n. 437, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L.R. Liguria 24 marzo 2000, n. 26, art. 2, comma 1, nella parte in cui prevede che tutti i rapporti giuridici già facenti capo alle usi operanti nella regione Liguria, ancorchè oggetto di giudizi in qualsiasi sede e grado, si intendono di diritto trasferiti alle ausl, alle quali restano attribuite la titolarità e la legittimazione, sostanziale e processuale, attiva e passiva, e il relativo esercizio da parte dei rispettivi legali rappresentanti.

Le conclusioni appena esposte, infine, sono corroborate dal Decreto dell'Assessore alla Sanità della Sicilia 8 maggio 2007, art. 9 il quale recita: "il direttore generale dell'azienda unità sanitaria locale, per i procedimenti oggetto di giudizio sia pendenti che attivati, a far data dall'1 gennaio 2007 è tenuto a trasmettere all'Avvocatura distrettuale dello Stato competente per territorio, con l'urgenza che il caso richiede, tutti gli elementi ed i documenti che consentano una compiuta difesa della Regione nel merito, atteso che la legittimazione passiva rimane intestata alla Regione (...)".

5. Il quinto motivo di ricorso.
5.1. Col quinto motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta:
- sia da una di violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3 (si assumono violati gli artt. 1176, 1218, 1223, 1228, 1453, 2236 e 2697 c.c.; art. 40 c.p.; artt. 61, 62, 112, 115, 116 e 356 c.p.c.; D.P.R. n. 128 del 1969, art. 7);
- sia da una nullità processuale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4;
- sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5.

Espongono, al riguardo, che:
(a) la Corte d'appello ha errato nell'addossare agli attori l'onere di provare il nesso di causa tra l'omissione dei convenuti ed il danno, violando così l'art. 40 c.p., artt. 1218 e 1453 c.c.;
(b) la Corte d'appello ha violato le norme sul procedimento, non valutando adeguatamente le prove e non motivando adeguatamente la propria decisione;
(c) la Corte d'appello ha violato le norme sull'accertamento della colpa del primario ospedaliero e sulla diligenza dei sanitari;
(d) la Corte d'appello ha inadeguatamente motivato la decisione con cui ha escluso la sussistenza sia del nesso di causa, sia della colpa in capo ai due sanitari convenuti.

5.2. Le censure riassunte sub (a) e (b) di cui al che precede sono infondate.
Lo è la prima, in quanto non è esatto quanto sostenuto dai ricorrenti, ovvero che nel giudizio di risarcimento del danno scaturente da l inadempimento contrattuale, l'attore danneggiato non avrebbe l'onere di provare il nesso causale tra inadempimento e danno.
E' vero, invece, il contrario: nel giudizio di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale l'art. 1218 c.c. solleva l'attore dall'onere di provare la colpa del convenuto di cui allega l'inadempimento, ma non lo esonera affatto dal provare il nesso di causa tra inadempimento e danno (ex permultis, Sez. 2, Sentenza n. 10702 del 15/05/2014, Rv. 631017; Sez. 3, Sentenza n. 20904 del 12/09/2013, Rv. 628993; Sez. 3, Sentenza n. 4792 del 26/02/2013, Rv. 625765).
E' altresì infondata la seconda delle suddette censure, in quanto l'erronea valutazione delle prove non costituisce di per sè violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e può essere censurata in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione.

5.3. Fondate sono invece le altre censure supra, par. 5.1, lettera (c) e (d). Nel rigettare la domanda di risarcimento del danno proposta dai ricorrenti nei confronti dei due sanitari convenuti, la Corte d'appello ha fondato la propria decisione su tre considerazioni talmente scarne da rasentare l'ermetismo, e cioè:
(1) "dalla consulenza tecnica è emerso in modo chiaro ed eloquente che nessun addebito può essere mosso ai sanitari, riportandosi i fatti alle deficienze organizzative dell'azienda";
(2) "in merito alle omissioni imputabili ai convenuti contenute nella consulenza tecnica di parte, va evidenziato che il C.T.P. non ha affatto interloquito con il C.T.U., nè risulta essere stati posti sic quesiti integrativi o esplicativi alla CTU";
(3) "non è stata fornita la prova che l'evento sia rapportabile alla condotta denunziata" (così la sentenza impugnata, pag. 6).
Questa singolare ed inusitata motivazione è nello stesso tempo erronea, carente e contraddittoria.

5.4. La decisione è, in primo luogo, erronea in iure nella parte in cui, dopo avere affermato l'esistenza di deficienze organizzative nella struttura ospedaliera (nemmeno precisate), ha escluso la responsabilità del primario, O.G.
All'epoca dei fatti, i compiti della figura apicale all'epoca definita dalla legge "primario" erano stabiliti dal D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, art. 7, comma 3, (recante "Ordinamento interno dei servizi ospedalieri"; norma la cui permanenza in vigore è stata qualificata "indispensabile" dal D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, comma 1 in combinato disposto con l'Allegato 1 al cit. decreto).
Tale norma stabiliva che "Il primario vigila sull'attività e sulla disciplina del personale sanitario, tecnico, sanitario ausiliario ed esecutivo assegnato alla sua divisione o servizio, ha la responsabilità dei malati, definisce i criteri diagnostici e terapeutici che devono essere seguiti dagli aiuti e dagli assistenti, pratica direttamente sui malati gli interventi diagnostici e curativi che ritenga di non affidare ai suoi collaboratori, formula la diagnosi definitiva, provvede a che le degenze non si prolunghino oltre il tempo strettamente necessario agli accertamenti diagnostici ed alle cure e dispone la dimissione degli infermi, è responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosologici e della loro conservazione, fino alla consegna all'archivio centrale; inoltra, tramite la direzione sanitaria, le denunce di legge; pratica le visite di consulenza richieste dai sanitari di altre divisioni o servizi; dirige il servizio di ambulatorio, adeguandosi alle disposizioni ed ai turni stabiliti dal direttore sanitario; cura la preparazione ed il perfezionamento tecnico-professionale del personale da lui dipendente e promuove iniziative di ricerca scientifica; esercita le funzioni didattiche a lui affidate".
Nell'interpretare tale disposizione, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che il primario risponde dei deficit organizzativi del reparto a lui affidato, quando questi siano consistiti in una carente assegnazione di compiti e mansioni al personale; in una carente diramazione delle istruzioni da seguire e dei compiti da assolvere; da una negligente diramazione di istruzioni con riferimento al singolo degente. Si è, di conseguenza, affermato che il primario ospedaliero deve avere "puntuale conoscenza delle situazioni cliniche che riguardano tutti i degenti, a prescindere dalle modalità di acquisizione di tale conoscenza (con visita diretta o interpello degli altri operatori sanitari), ed è, perciò obbligato ad assumere informazioni precise sulle iniziative intraprese dagli altri medici cui il paziente sia stato affidato, indipendentemente dalla responsabilità degli stessi, tanto al fine di vigilare sulla esatta impostazione ed esecuzione delle terapie, di prevenire errori e di adottare tempestivamente i provvedimenti richiesti da eventuali emergenze (Sez. 3, Sentenza n. 24144 del 29/11/2010, Rv. 615276; nello stesso senso, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 4058 del 25/02/2005, Rv. 580125).

In base a questi principi già in passato questa Corte ha affermato la responsabilità del primario in conseguenza della ritardata esecuzione, da parte dei sanitari a lui sottoposti, di un parto cesareo (Sez. 3, Sentenza n. 13979 del 30/06/2005, Rv. 582581), così come quella del primario che non aveva impostato un programma di monitoraggio assiduo del travaglio di una partoriente al fine di poter intervenire tempestivamente, con un taglio cesareo, all'insorgere di sofferenza fetale, nè aveva impartito direttive precise al suo assistente di vigilare sull'esatta esecuzione del programma terapeutico (Sez. 3, Sentenza n. 6822 del 18/05/2001, Rv. 546772). Nel caso di specie la Corte d'appello, totalmente dimentica di tali principi, ha escluso la colpa del primario in una fattispecie in cui essa stessa aveva accertato la sussistenza di un "deficit organizzativo" del reparto. Ora, poichè è in colpa il medico che tiene una condotta difforme da quella che nelle medesime circostanze avrebbe tenuto un professionista diligente, ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2; e poichè un primario "diligente" non avrebbe trascurato di impartire adeguate direttive al personale a lui sottoposto per gestire le emergenze, nè avrebbe trascurato di informarsi sull'andamento di un parto che si preannunciava distocico, la Corte d'appello ha violato tanto l'art. 1176 c.c., quanto il D.P.R. n. 128 del 1969 cit., art. 7.

5.5. La decisione è, in secondo luogo, viziata da error in iudicando nella parte in cui ha totalmente trascurato di applicare il principio - anch'esso consolidato - secondo cui il medico, di fronte ad una situazione di urgenza, che non può essere adeguatamente affrontata con i mezzi di cui dispone la struttura ospedaliera in cui si trova ad operare, ha l'obbligo di disporre tempestivamente il trasferimento del paziente presso altra struttura, in adempimento del generale dovere di diligenza di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, (cfr., in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 4852 del 19/05/1999, Rv. 526403, in motivazione).
Nel caso di specie la Corte d'appello ha da un lato accertato in facto un deficit organizzativo dell'ospedale, ma dall'altro lato non ha nè accertato se i medici si preoccuparono di predisporre il trasferimento della paziente; nè se il trasferimento era possibile: in tal modo ha violato l'art. 1176 c.c., comma 2, così come costantemente interpretato da questa Corte, omettendo di applicare alla fattispecie concreta la regola per essa creata dal diritto vivente.

5.6. La decisione della Corte d'appello è, in terzo luogo, motivata in modo contraddittorio, nella parte in cui da un lato ammette l'esistenza d'una disfunzione organizzativa dell'ospedale, e dall'altro esclude la responsabilità di chi una efficiente organizzazione era tenuto a garantire, cioè il primario.

5.7. La decisione della Corte d'appello è, in quarto luogo, motivata in modo illogico, nella parte in cui, a fronte di circostanziate censure mosse dalla parte alle conclusioni del consulente d'ufficio, non le ha nemmeno prese in esame, sul presupposto che il consulente di parte non avesse "interloquito col C.T.U.", e che all'ausiliario non fossero stati posti quesiti integrativi.
Va ricordato, al riguardo, che a fronte di circostanziate ed analitiche censure mosse alla consulenza tecnica d'ufficio, il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare analiticamente ed esaustivamente perchè esse non scalfiscano la consulenza d'ufficio.
E', per contro, del tutto irrilevante - nel presente giudizio, al quale non si applica il nuovo testo dell'art. 195 c.p.c., comma 3, - che il consulente di parte avesse o meno inviato le proprie osservazioni a quello d'ufficio, nè che a quest'ultimo il giudice avesse posto o meno dei quesiti integrativi. Aggiungasi che l'aberrante logica deduttiva della Corte d'appello perviene al seguente risultato: che il giudice il quale, dinanzi a censure circostanziate all'operato del c.t.u., non ponga a quest'ultimo quesiti integrativi, poi non avrà l'obbligo di motivare in sentenza il rigetto di quelle censure. come a dire che quanto più sarà negligente il giudice nella fase istruttoria, tanto meno sarà obbligato a motivare nella fase decisoria. E l'evidente reductio ad absurdum rende palese la insostenibilità dell'affermazione compiuta dalla Corte d'appello.

5.8. La decisione della Corte d'appello è, infine, motivata in modo illogico nella parte in cui ha affermato non esservi prova del nesso di causa tra la condotta dei sanitari ed il danno.
E' pacifico tra le parti che la lesione del plesso brachiale patita da V.P. si verificò intra partum, e non era certo congenita. In un caso di questo tipo si poteva ovviamente discutere se l'uso del forcipe, la manovra espulsiva o la mancata esecuzione del parto cesareo fossero ascrivibili a colpa dei sanitari oppur no, ma non si poteva certo discutere del fatto che fu la manovra espulsiva la causa della lesione del plesso brachiale. La Corte d'appello, quindi, ha violato la regola logica del post hoc, ergo propter hoc, negando la prova del nesso di causa là dove non era ipotizzabile alcuna altra causa alternativa della suddetta lesione, diversa rispetto alle manovre del parto.

6. La sentenza va dunque cassata in relazione al quinto motivo del ricorso. La rara superficialità con la quale il giudice del gravame ha motivato la propria decisione consiglia il rinvio del giudizio ad altra Corte d'appello, individuata in quella di Catania.
7. Resta assorbito il sesto motivo di ricorso, concernente le spese di lite.

8. Il giudice del rinvio, nel procedere ad una nuova valutazione della colpa dei convenuti N.B. e O.G., applicherà i seguenti principi di diritto:

Il primario ospedaliero risponde del danno derivato da un deficit organizzativo della struttura da lui diretta, ove non dimostri di avere adempiuto tutti gli obblighi a lui importi dal D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, art. 7 e cioè di essersi informato sulle condizioni dei malati, di avere impartito le necessari istruzioni al personale, e di avere predisposto le direttive per eventuali emergenze.
E' in colpa il medico che, al cospetto di un paziente le cui condizioni non possono essere adeguatamente gestite nella struttura ospedaliera in cui si trova, non si attivi per disporne l'immediato trasferimento in altra struttura.


9. Il giudice del rinvio, inoltre, nel motivare il proprio convincimento in merito al superamento, da parte dei convenuti, dell'onere della prova su essi incombente ex art. 1218 c.c., avrà cura di sanare le mende evidenziate supra, ai parr. 5.6 e ss., e quindi:
- accerterà se ed in che misura i deficit organizzativi della struttura sanitaria fossero imputabili anche al primario;
- accerterà se ed in che misura il primario si è attivato per prevenirli od attenuarne le conseguenze;
- accerterà se vi era la concreta possibilità di trasferimento della paziente in altra struttura;
- esaminerà analiticamente le censure mosse dagli attori all'operato del c.t.u.

10. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 3.

PQM

la Corte di cassazione:
- accoglie il quinto motivo di ricorso, cassa e rinvia la causa alla Corte d'appello di Catania;
- rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di cassazione, il 11 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2014


 

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