REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni B. - Presidente -
Dott. CARLEO Giovanni - Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. RUBINO Lina - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 20264-2008 proposto da:
P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LOMBARDIA 23/C, presso lo studio dell'avvocato GUIDI ENRICO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CUCCHIARELLI FRANCESCA giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
UNIVERSITA' CATTOLICA SACRO CUORE, in persona del Rettore Prof. O.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 114-B, presso lo studio dell'avvocato MELUCCO GIORGIO, rappresentata e difesa dall'avvocato ORNAGHI LORENZO giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2648/2007 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 12/06/2007 R.G.N. 1929/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l'Avvocato FRANCESCA CUCCHIARELLI;
udito l'Avvocato FEDERICA MELUCCO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario che ha concluso per l'accoglimento p.q.r. del ricorso.

Svolgimento del processo

1.- P.E., con citazione notificata il 14 novembre 1998, agì in giudizio risarcitorio contro l'Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico Gemelli sostenendo che, essendo sofferente di deficit erettile ed essendosi sottoposto ad un intervento chirurgico nel _____), per l'applicazione, da parte dell'equipe del professor S., di una protesi semirigida di Subrini, all'esito dell'intervento aveva perso totalmente la capacità coeundi e generandi per via fisiologica, con conseguenti danni anche alla vita coniugale, avendo la situazione comportato, per i problemi psicologici e di relazione interpersonale, la separazione della coppia, con ulteriore stress psicofisico. Dedusse, altresì, che l'intervento era stato svolto senza che egli fosse preventivamente informato in ordine alle possibili complicazioni negative, che si sarebbero potute verificare e che, in effetti, a distanza di poco tempo, si erano verificate, a causa di evidenti errori commessi dallo staff chirurgico nell'impianto della protesi. Nel corso del giudizio di primo grado, l'attore venne sottoposto a nuovo intervento presso l'Azienda Ospedaliera San Martino di Genova, di espianto e reimpianto del cilindro protesico sinistro, e ad una successiva visita, nel corso della quale erano emersi problemi al cilindro destro, sicchè la domanda venne precisata e ampliata ai sensi dell'art. 183 c.p.c., comma 5.

1.1. - Si era già costituita l'Università Cattolica del Sacro Cuore, contestando ogni addebito e deducendo che, avendo l'attore già subito due interventi presso altre strutture, nel ____, l'intervento di impianto protesico era l'unica terapia per tentare la soluzione del problema oramai irreversibile e ad esso l'attore aveva consentito, dopo essere stato edotto circa la natura e le possibili conseguenze. Aveva aggiunto che l'intervento aveva avuto buon esito, come emerso dal controllo ambulatoriale successivo, cui non erano seguite altre visite.
1.2. - Il Tribunale di Roma, espletata C.T.U. ed assunta prova testimoniale, con sentenza n. 233 del 2003, rigettò la domanda, compensando le spese di causa.

2. - Con l'atto d'appello venne dedotto che: 1) l'errore era consistito nell'impiantare una protesi troppo lunga e l'estrusione non era dipesa da cause naturali, ma da questo errore; 2) il sanitario avrebbe dovuto fornire la prova di avere eseguito l'intervento in modo idoneo e che gli esiti peggiorativi sarebbero stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile non evitabile con l'ordinaria diligenza; 3) non c'era stato un vero consenso informato, ma solo la sottoscrizione di un modulo a contenuto generico, ed il teste escusso non era attendibile.
2.1. - La Corte d'appello di Roma, rigettata la richiesta di nuova C.T.U., con sentenza pubblicata il 12 giugno 2007, ha confermato la prima sentenza, ritenendo corretti l'operato e le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, condivise e recepite dal Tribunale, ed escludendo perciò qualsivoglia errore chirurgico nella scelta della protesi, nell'ambito di un intervento chirurgico eseguito con ampia perizia.... Ha inoltre reputato prestato dall'interessato adeguato consenso all'intervento, e comunque irrilevante l'eventuale mancanza di consenso informato, in ragione della preesistenza dell'affezione e dei pregressi interventi, della mancanza del nesso causale tra l'intervento presso il Policlinico Gemelli e l'impotenza lamentata dal paziente, dell'inutilità della terapia farmacologica alternativa. Ha perciò rigettato l'appello con condanna dell'appellante al pagamento delle spese di lite.

3.- Propone ricorso il P. mediante tre motivi, illustrati da memoria.
Risponde con controricorso l'Università Cattolica del Sacro Cuore - U.C.S.C.

Motivazione

1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, punto 5), e, dopo l'apodittica affermazione del ricorrente per la quale i problemi irreversibili ed invalidanti sono sorti in seguito all'intervento ed in ragione dell'imperizia dello staff chirurgico del prof. S. nell'esecuzione dell'impianto protesico, si assume, come dato di fatto, che la protesi impiantata al ricorrente fosse eccessivamente lunga, atteso che si dovette successivamente accorciarla di un centimetro, e che la tesi del giudice circa la naturale erosione del corpo cavernoso non sarebbe supportata da idonea valutazione e che nella sentenza sarebbe stata evidenziata inopinatamente la specifica competenza dello staff del prof. S. (malgrado avesse effettuato l'intervento, senza rendersi conto dello stato dei tessuti sui quali andava ad incidere).
Il relativo quesito (imposto, ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ., a pena d'inammissibilità, in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata) chiede di sapere "se la sentenza è adeguatamente e correttamente motivata sul seguente punto: se il Giudice di seconda istanza ha adeguatamente valutato se la prestazione professionale è stata eseguita in modo idoneo e se gli esiti peggiorativi sono stati determinati da eventi imprevisti e imprevedibili tali da escludere la colpa professionale dello staff chirurgico".

1.2. - Collegato al primo, quindi da esaminare congiuntamente, è il terzo motivo di ricorso, col quale si denuncia omessa valutazione della documentazione depositata da parte ricorrente in giudizio ed insufficiente motivazione in ordine alle circostanze di fatto, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, punto 5.
Dopo avere reiterato le doglianze di cui si dirà trattando del secondo motivo (concernente il consenso informato), si assume che dalla documentazione prodotta sarebbe risultata evidente la mancanza di diligenza del chirurgo nello stabilire la tipologia di intervento e la dimensione della protesi applicata. La documentazione cui il ricorrente si riferisce - peraltro richiamata in ricorso senza nemmeno indicarne con esattezza gli estremi ed il luogo in cui è reperibile negli atti di causa, in violazione di quanto disposto dall'art. 366 c.p.c., n. 6 - è la salutazione pre-operatoria effettuata presso il Policlinico "A. Giuliani" di Genova, che il ricorrente sostiene essere idonea ad inficiare le conclusioni raggiunte dal CTU circa la mancanza di danno permanente all'attività sessuale del paziente.
Nell'illustrare il motivo vengono inoltre svolte delle ulteriori critiche all'operato del consulente tecnico d'ufficio, perchè non avrebbe compiuto idonee indagini clinico strumentali, ed alle sue conclusioni, perchè sarebbero fondate su mere considerazioni di carattere soggettivo. Tali lacune si sarebbero trasmesse alla sentenza impugnata, che si sarebbe avvalsa pedissequamente della consulenza tecnica d'ufficio, senza tenere conto delle deduzioni e delle contestazioni dell'appellante, e senza erroneamente disporre la nuova consulenza tecnica d'ufficio da questi richiesta.

Il relativo quesito c.d. di fatto è espresso nei seguenti termini:
"Dica la Corte di Cassazione adita se la Corte d'Appello abbia deciso la questione oggetto della sentenza impugnata con una motivazione insufficiente, non evidenziando le ragioni che escludono il nesso causale tra l'intervento eseguito dallo staff chirurgico ed il danno patito dal ricorrente".

2. - Il Collegio rileva che i detti quesiti non solo non si conformano ai criteri dettati dalla giurisprudenza (in particolare, non evidenziando il momento di sintesi richiesto per l'ammissibilità della censura di cui all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5: cfr., tra le altre, Cass. n. 16002/07 e n. 4311/08), ma soprattutto sono espressione dell'ulteriore profilo di inammissibilità di entrambi i motivi perchè, come rilevato anche dalla parte resistente, questi prospettano asseriti vizi motivazionali che, non rientrando nella previsione dell'art. 360 c.p.c., n. 5, tendono ad un nuovo esame del merito della controversia.
La Corte d'Appello ha risolto in radice il problema della correttezza o meno della prestazione sanitaria svolta (e, dunque, della responsabilità della struttura ospedaliera per fatto dei suoi sanitari) attraverso l'accertamento dell'assoluta mancanza di nesso eziologico tra il comportamento dello staff medico che eseguì l'intervento chirurgico ed il danno funzionale e le complicanze lamentati dal paziente. Questo accertamento si fonda sulla considerazione dei due interventi subiti dal P. successivamente a quello per cui è causa, dai quali la Corte ha tratto il riscontro a quanto affermato dal consulente tecnico d'ufficio circa il fatto che non vi fu nessun errore del prof. S. nella scelta della protesi, più o meno lunga, atteso che questa, col tempo può necessitare di adattamenti dovuti alla debolezza delle strutture cavernose, che costituisce una complicanza statisticamente ricorrente, e comunque inevitabile, del tipo di intervento.

2.1. - Dato questo accertamento in fatto, compiuto dalla Corte territoriale, sulla base delle considerazioni e delle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, sarebbe stato onere del ricorrente riprodurre o riproporre in ricorso i rilievi di carattere tecnico che sarebbero stati mossi alla consulenza tecnica d'ufficio nei gradi di merito e soprattutto chiarire la rilevanza dei documenti il cui esame si assume omesso da parte del consulente tecnico d'ufficio e, quindi, del giudice di merito, per consentire alla Corte di Cassazione di controllare la motivazione sotto il profilo della dedotta insufficienza.
Ed invero, per infirmare, sotto il profilo dell'insufficienza argomentativa, la motivazione per relationem alle conclusioni del consulente, è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d'ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l'omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell'elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 10222/09).

Le argomentazioni svolte dalla parte ricorrente nel primo motivo di ricorso sono del tutto generiche ed apodittiche, in quanto assumono come dato di fatto accertato (la eccessiva lunghezza della protesi impiantata) quello che invece è stato escluso in punto di fatto, senza rivolgere alcuna specifica contestazione agli argomenti sulla base dei quali la Corte d'Appello, condividendo l'operato del consulente tecnico d'ufficio, ha concluso per la correttezza dell'operato dello staff medico che eseguì l'intervento. Il ricorrente si limita a prospettare una diversa interpretazione di elementi già considerati, svolgendo così mere argomentazioni difensive che, in quanto prive della decisività, non consentono di configurare, il vizio di motivazione previsto dall'art. 360 c.p.c., n. 5.
Va in proposito ribadito che il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall'esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione; non può, invece, esimersi da una più puntuale motivazione, soltanto quando le critiche mosse alla consulenza siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata ( Cass. n. 10668/05 ed altre).

2.2.- Gli unici elementi fattuali addotti a fondamento del lamentato vizio di motivazione sono quelli indicati nell'illustrare il terzo motivo di ricorso.
Tuttavia, l'affermazione della decisività della valutazione pre- operatoria effettuata presso il Policlinico "A. Giuliani" di Genova, contenuta in ricorso, è del tutto apodittica. In particolare, nè nel quesito c.d. di fatto - relativo al vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5 - nè nell'illustrazione del motivo sono indicate le ragioni per le quali, a giudizio del ricorrente, dette risultanze, se ben considerate, avrebbero dovuto indurre il giudice di merito ad una differente decisione (cfr., quanto al presupposto per ritenere sussistente il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, Cass. n. 14304/2005, ma nello stesso senso, tra molte, anche Cass. n. 10156/2004, n. 5473/2006, n. 21249/2006, n. 9245/2007).
Orbene, il dato fattuale addotto da parte ricorrente a fondamento del terzo motivo, non solo non appare in sè decisivo, ma, per di più, risulta essere stato considerato sia dal consulente tecnico d'ufficio che, di conseguenza, dal giudice di merito, al fine di raggiungere la conclusione esattamente opposta a quella sostenuta in ricorso, quanto alla non imputabilità allo staff medico del processo di estrusione della protesi riscontrato in occasione dell'intervento presso la struttura ospedaliera genovese. Parimenti inammissibili sono i rilievi concernenti l'asserito mancato espletamento da parte del consulente tecnico d'ufficio di non meglio specificate idonee indagini clinico strumentali, poichè avrebbe dovuto parte ricorrente indicare con esattezza, eventualmente avvalendosi di consulenza di parte, le indagini ritenute necessarie e le ragioni per le quali la loro omissione avrebbe comportato l'erroneità delle conclusioni raggiunte dal consulente tecnico d'ufficio e condivise dai giudici dei due gradi di merito.

Pertanto è incensurabile nella presente sede anche la scelta del giudice di secondo grado, criticata dal ricorrente, di non disporre una nuova CTU. Infatti, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e l'esercizio di un tale potere (così come il mancato esercizio) non è censurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato (cfr., da ultimo, Cass. n. 8355/07, 27247/08).
La congruità della motivazione si evince dalle considerazioni sopra svolte in merito alla sufficienza degli argomenti addotti per aderire alle conclusioni raggiunte dal consulente tecnico d'ufficio nominato in primo grado.
In conclusione, i motivi primo e terzo vanno dichiarati inammissibili.

3.- Col secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendosi l'insufficienza e l'inidoneità della motivazione sulla prestazione del consenso da parte del paziente.
In primo luogo, il ricorrente critica l'affermazione della Corte d'Appello, per la quale il consenso sarebbe stato validamente prestato mediante la sottoscrizione di moduli predisposti, nonchè la valutazione di attendibilità del testimone dottor G., dipendente del nosocomio e collega del prof. S., circa le informazioni che sarebbero state fornite al paziente verbalmente e comunque circa l'idoneità di queste a consentire l'acquisizione di un consenso informato all'intervento, con la comprensione di quanto riferito. Cita quindi giurisprudenza relativa al contenuto delle informazioni richieste per ottenere dal paziente un consenso valido ed informato.

3.1. - In secondo luogo, il ricorrente critica l'affermazione della Corte d'Appello circa l'irrilevanza del motivo d'appello concernente la mancanza di consenso informato, assumendo che in ogni caso esiste un obbligo del medico di informare in modo puntuale il paziente, non solo per evitare la genesi di un contratto viziato da un errore, ma anche perchè il dovere informativo, a parere della scrivente difesa, rientra nell'esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede.
Il quesito correlato al secondo motivo chiede di sapere "se il mancato esame da parte della Corte d'Appello dei punti e dei fatti decisivi esposti, autorizzi(no) a ritenere pacifico il consenso prestato dal sig. P. all'intervento invalidante che lo ha portato alla estrusione della protesi per l'eccessiva lunghezza della stessa o se il ricorrente non sia stato adeguatamente informato sulle eventuali complicanze che potevano derivare dall'intervento chirurgico effettuato".

4.- In primo luogo va rilevato che il quesito di diritto compendia soltanto la prima delle due critiche svolte nell'illustrare il motivo di ricorso e corrispondenti alle due rationes decidendi con le quali la Corte d'Appello ha rigettato il motivo di gravame concernente la mancanza di consenso informato.
Infatti, la Corte territoriale è pervenuta alla decisione di rigetto, per un verso, ritenendo adeguato il consenso prestato mediante la sottoscrizione del modulo e ritenendo altresì attendibile la deposizione del testimone G. sulla completezza delle ulteriori informazioni verbali; per altro verso, reputando comunque irrilevante l'eventuale mancanza del consenso, in ragione della ritenuta adesione del paziente alla scelta di intervenire chirurgicamente, per l'inutilità e l'inadeguatezza della terapia farmacologica.
Sebbene il ricorrente abbia criticato entrambe queste due rationes decidendi, svolgendo l'illustrazione del motivo, soltanto alla prima è riferito il quesito di diritto. Mancando il quesito di diritto riferito alla seconda ratio decidendi, il motivo, per ciò soltanto, risulta inammissibile, in applicazione del principio di diritto per il quale qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi (così da ultimo Cass. S.U. n. 7931/13). Parimenti inammissibile è il ricorso quando, nella stessa situazione processuale, manchi di quesito di diritto riferibile all'una ed all'altra delle ragioni che sorreggono la decisione impugnata.

4.1. - Peraltro, la seconda ratio decidendi nemmeno risulta efficacemente censurata. Il ricorrente si è infatti limitato a dedurre la violazione dell'obbligo, da parte dei sanitari, di fornire un'adeguata informazione sulle conseguenze dell'intervento chirurgico, come se l'inadempimento di quest'obbligo, in se solo considerato, fosse sufficiente a far sorgere il diritto al risarcimento.
Questo assunto è contrario al principio di diritto, che qui si intende ribadire, per il quale in tema di responsabilità professionale del medico, l'inadempimento dell'obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo a fini risarcitori - anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all'informazione - tutte le volte in cui siano configurabili, a carico del paziente, conseguenze pregiudizievoli di carattere non patrimoniale di apprezzabile gravità derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in se stesso considerato, sempre che tale danno superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e che non sia futile (così Cass. n. 2847/10).
A questo va aggiunto il corollario per il quale la violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonchè un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute (così Cass. n. 11950/13).
Orbene, nel caso di specie, non risulta censurata l'affermazione, in fatto, della Corte d'Appello, per la quale il paziente si sarebbe comunque sottoposto all'intervento di impianto di protesi (anche se fosse stato adeguatamente informato di eventuali possibili complicanze) sia perchè già in passato aveva subito interventi chirurgici volti a risolvere la disfunzione erettile lamentata, sia perchè aveva deciso di tralasciare la terapia farmacologica ritenuta non utile nè adeguata; ed anzi, nel ricorso stesso si da atto che l'applicazione della protesi sia prevista generalmente come estrema soluzione dopo il fallimento di tutte le terapie volte al recupero quanto meno parziale della funzionalità erettile (cfr. pag. 2). Dato ciò, ed escluso, per quanto detto sopra, il nesso causale tra il pregiudizio lamentato dal paziente e l'operato dello staff medico, si deve altresì escludere la sussistenza di un danno alla salute che sia conseguenza della sola violazione dell'obbligo di informazione gravante sui sanitari, perchè, per pervenire a diversa conclusione il paziente, odierno ricorrente, avrebbe dovuto dedurre, e quindi dimostrare, che l'adempimento da parte dei medici dei doveri informativi avrebbe con certezza prodotto l'effetto della non esecuzione dell'intervento chirurgico dal quale lo stato patologico è poi derivato (cfr. Cass. n. 2847/10).

4.2. - Il danno da lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente, in sè considerato, nemmeno può assumere rilievo, poichè non risulta che vi sia stata, nei gradi di merito, la relativa allegazione. Anzi, si evince dai motivi di appello, riassunti in sentenza e riportati in ricorso (cfr. pagg. 5-6), che l'unico motivo riguardante la violazione da parte dei sanitari dell'obbligo di informazione concerneva il fatto che...3) non c'era stato un vero consenso informato, ma solo la sottoscrizione di un modulo a contenuto generico, e il teste G. non era attendibile, nel presupposto che vi fosse stata la colpa professionale dei sanitari nell'esecuzione dell'intervento chirurgico. Pertanto, la violazione del diritto all'autodeterminazione del paziente per effetto dell'omissione delle dovute informazioni non risulta nemmeno posta a fondamento delle pretese del P., quanto meno nel giudizio di appello e, quindi, essendo la domanda risarcitoria fondata su tale violazione diversa da quella volta ad ottenere il risarcimento della lesione del diritto alla salute per omessa prestazione del consenso informato (cfr. Cass. n. 18513/07), esula dal thema decidendum del presente giudizio.
4.3.- Ad analoga conclusione devesi pervenire con riferimento alla deduzione, che il ricorrente svolge in parte nel secondo ed in parte nel terzo motivo, per la quale sarebbe mancata, nel caso di specie, anche un'adeguata valutazione psico-sessuologica pre-operatoria del paziente. La rilevanza che lo stesso ricorrente attribuisce a tale asserita mancata attività pre-operatoria sembra, per un verso, riconducibile all'incompletezza delle informazioni idonee a consentire un'adeguata scelta tra effettuare e non effettuare l'intervento (cfr. pagg. 13-14 del ricorso); per altro verso, riconducibile, invece, a colpa professionale dei sanitari per non aver considerato che la mancata ripresa della funzionalità sessuale potesse dipendere da un blocco psicologico, non adeguatamente prevenuto (cfr. pagg. 15-16 del ricorso).
Nell'un caso e/o nell'altro avrebbe dovuto formare oggetto del giudizio di appello la mancata considerazione, da parte del primo giudice, di una eventuale ragione di responsabilità dello staff medico per non avere adeguatamente preparato il paziente, dal punto di vista psicologico, al tipo di intervento da sopportare ed alle sue possibili complicanze: di ciò non vi è traccia nella sentenza; nè è stato dedotto dal ricorrente che questa ragione di responsabilità sia stata posta a fondamento dell'originaria domanda risarcitoria, sotto il profilo della violazione dell'obbligo di informazione e/o sotto il diverso profilo della colpa dei sanitari, ovvero che su l'uno e/o l'altro di questi punti fosse stato proposto specifico motivo di gravame. La genericità del ricorso sulla questione rende inammissibile la censura.

Il ricorso deve essere, pertanto, respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida, in favore della parte resistente, nell'importo complessivo di Euro 3.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2014


 

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