REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PALERMO
Terza Sezione Civile
Nella persona del Dott.ssa Sebastiana Ciardo, in funzione di Giudice monocratico,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n° 13109 del Ruolo Generale degli Affari contenziosi civili dell’anno 2008
TRA
(A) e (B), in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore (C),ATTORI
CONTRO
(D), in persona del legale rappresentante pro tempore, CONVENUTA
E
(E), in persona del legale rappresentante pro tempore
E
(F), in persona del legale rappresentante pro tempore
CONVENUTI CONTUMACI
Conclusioni delle parti: come da verbale dell’udienza del 10 marzo 2014.

Svolgimento del processo

(A) e (B), in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore (C), con atto di citazione ritualmente notificato convenivano in giudizio l’Azienda Ospedaliera “______” e l’(E), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, chiedendo: la condanna al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dal figlio minore, invalido al 100% , a seguito della ritardata diagnosi di IUGR e dell’omessa attività medica atta a scongiurare le complicanze polmonari e respiratorie di cui lo stesso è affetto dalla nascita nonché per omessa diagnosi di Pierre Robin, complessivamente quantificati in euro 2.300.000,00, o nella maggiore o minore somma ritenuta congrua dall’Autorità giudiziaria; la condanna al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dagli attori in proprio, nella misura di euro 250.000,00 ciascuno, o nella maggiore o minore somma ritenuta congrua, oltre gli interessi legali fino al soddisfo, con vittoria delle spese di lite.

A fondamento della domanda proposta esponevano che, in data ______ nasceva (C), affetto da sindrome di Pierre Robin, con dispostosi acrofacciale, demoide occhio sinistro, grave asfissia perinatale e stress respiratorio in pretermine alla 36° settimana, con un’invalidità permanente del 100%, ed imputavano tali gravissimi danni al comportamento imprudente ed imperito dei sanitari dell’Ospedale ______, per omessa tempestiva diagnosi prenatale, durante tutti i controlli ecografici cui la sig. (B) veniva sottoposta, ed omessa somministrazione delle cure necessarie, anche di tipo cortisonico, alfine di favorire lo sviluppo dell’apparato respiratorio del feto.
Soggiungevano che, dopo aver sottoposto la gestante a valutazioni ecografiche, in data _____, pur avendo riscontrato una sofferenza fetale e consigliato il ricovero urgente, la dirottavano presso altra struttura sanitaria senza neppure disporne il trasferimento con ambulanza, sicché la sig. (B), giunta con mezzo proprio, veniva sottoposta ad immediato parto cesareo presso l’ospedale di ______, e ciò contribuiva a provocare asfissia perinatale e stress respiratorio in pretermine alla 36° settimana del feto, aggravando le condizioni di salute del piccolo (C), già compromesse dalla sindrome di Pierre Robin, tant’è che lo stesso rimase ricoverato presso l’Unità Operativa Complessa di Pediatria e Terapia Intensiva Neonatale dell’Azienda _______ per circa un anno, fino al 9 gennaio 2008.

Si costituivano nel giudizio sia l’Azienda Ospedaliera _____ sia l’(E), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore.
L’Azienda Ospedaliera ______ contestava ogni addebito precisando che la sig. (B) si rivolgeva al Centro di Diagnosi prenatale per la prima volta solo in data _____, giunta alla 31° settimana+2 giorni, quando già dall’ambulatorio di ecografie del P.O. _____, a seguito dell’ultimo controllo ecografico, avevano riscontrato nel feto “polidramnios e piede torto”, e che fino a quel momento era stata seguita dal dott. _______ di ______.
Evidenziava che da quel momento l’attrice era stata monitorata ecograficamente ogni due settimane e che, avendo rilevato gravi anomalie a carico del feto e del liquido amniotico, veniva alla medesima consigliato di sottoporsi all’esecuzione di una cordocentesi per cariotipo fetale, dalla stessa rifiutata, fino al momento della decisione di procedere, in data ________, ad un taglio cesareo pretermine a causa dell’aumento della sofferenza fetale riscontrata in occasione dell’ultimo controllo eseguito nella stessa giornata del parto.
Escludeva, pertanto, ogni addebito avendo l’equipe medica eseguito tutti i controlli secondo la migliore scienza ed esperienza.
Contestava l’ammontare dei danni richiesti e così concludeva: rigettare le domande attoree perché infondate in fatto e in diritto; in subordine, ridurla a quanto di ragione, tenuto conto delle malformazioni congenite del piccolo (C) e dei postumi che sarebbero comunque allo stesso residuati; in subordine, accertare la quota di responsabilità dei sanitari dell’Azienda Ospedaliera ________ e, nel caso di condanna solidale, graduarne la responsabilità, con vittoria delle spese di lite.
L’(E), negava ogni addebito ascrivibile ai sanitari dell’_____, che tempestivamente, entro 30 minuti, dal momento in cui l’attrice giunse al nosocomio, alle ore 12,08, sottoposero l’attrice al parte cesareo, alle ore 12,30, facendo nascere il piccolo (C) ed evitando, così, eventi infausti.
Eccepiva, preliminarmente la nullità dell’atto di citazione per assoluta incertezza dell’oggetto e dei fatti posti a sostegno della domanda; chiedevano, in subordine, il rigetto dell’azione e la chiamata in causa della (F), alfine di essere dalla medesima manlevata.

Ritualmente chiamata, si costituiva nel giudizio la (F) coop. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, che, preliminarmente eccepiva il limite del massimale e la franchigia, previsti nella polizza stipulata con l’Ospedale _____, e nel merito, contestava le domande degli attori, chiedendone il rigetto.
All’udienza del 14 gennaio 2013, a seguito dell’intervenuta soppressione dell’Azienda Ospedaliera _______, con legge regionale 5/2009, il processo veniva dichiarato interrotto.
Gli attori riassumevano il giudizio dichiarando di rinunciare alle domande formulate nei confronti del _____ e della società di assicurazione terza chiamata.
Nel giudizio riassunto si costituiva solo (D), con nuovo procuratore, rimanendo contumaci sia l’(E) sia la società (F).
All’udienza del 2 luglio 2013 le parti costituite precisavano le conclusioni e la causa veniva posta in decisione con l’assegnazione del termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Con ordinanza del 3 dicembre 2013 la causa veniva rimessa sul ruolo istruttorio del Giudice per chiarimenti al consulente ed approfondimenti peritali.
All’udienza del 10 marzo 2014, depositato elaborato peritale integrativo, le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva nuovamente assunta in decisione.

Motivazione

Preliminarmente deve essere dichiarata la contumacia dell’(E), in persona del legale rappresentante pro tempore, e della (F), in persona del legale rappresentante pro tempore, che non si sono costituiti nel giudizio riassunto, avendo preso atto dell’avvenuta rinuncia alle domande risarcitorie formulate nei loro confronti dagli attori, sia con lettera inviata all’azienda convenuta stragiudizialmente, sia con lo stesso atto di riassunzione.
Indi, rispetto alle domande formulate in atto di citazione, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere e disposta la compensazione delle spese di lite, in conformità all’accordo delle parti.

Tanto premesso, nel merito gli attori, sia in proprio che nella qualità, imputano a (D), tre principali addebiti, che avrebbero contribuito ad aggravare le patologie e le condizioni pregiudizievoli di salute del piccolo (C), affetto da sindrome di Pierre Robin dalla nascita, già diagnosticata in fase prenatale: a) l’avere omesso una tempestiva diagnosi di detta sindrome e l’avere non correttamente trattato diagnosticamente il caso con ritardi nel monitoraggio della gestante; b) l’omessa somministrazione di terapia adeguata a favorire un migliore sviluppo del feto; c) il ritardo nell’esecuzione del parto poi compiuto presso il ______

Il Tribunale, alla luce della documentazione prodotta, degli esiti della ctu espletata, formulati nell’elaborato peritale integrativo, ritiene sussistente una porzione di responsabilità ascrivibile all’azienda ospedaliera convenuta, tale da avere eziologicamente aggravato il quadro patologico del piccolo (C), nei limiti che di seguito si espongono.
Risulta documentalmente provato che all’attrice, seguita presso il presidio ospedaliero _____ fino alla 30w+5d settimana, in conseguenza di un rilevato ritardo nella crescita del feto, veniva consigliato un controllo ecografico presso una struttura di II livello e che la paziente veniva “presa in carico” e monitorata presso il Centro di Diagnosi prenatale dell’Ospedale _____, con prima valutazione ecografica eseguita in data 19.12.2006, ove veniva diagnosticata “IUGR, micrognazia, piede sinistro torto, polidramnios, sospetta atresia esofagea con fistola”, mentre la flussimetria delle arterie uterine risultava nella norma.
Nello stesso referto, la paziente veniva rinviata ad un prossimo controllo, fissato per il 5 gennaio 2009 sempre presso il medesimo Centro.
In occasione di questo primo esame, veniva consigliato alla sig. (B) l’esecuzione di una “cordocentesi”, per lo studio del cariotipo fetale che la stessa paziente rifiutava.
La seconda valutazione ecografia mostrava le medesime condizioni del feto, preesistenti, con flussimetria ancora entro i limiti e la stessa paziente veniva rinviata ad un successivo controllo, da eseguirsi il ______ 2009.
Il _____, la situazione pero risultava peggiorata, poiché veniva accertato un aumento “delle resistenze in arteria ombelicale, non valutabile il flusso in arteria cerebrale media”.
In quella sede il medico radiologo consigliava il ricovero che, tuttavia, non veniva eseguito presso lo stesso Ospedale ______ ma la paziente raggiungeva con mezzo proprio l’______ ove, riscontrata una decelerazione della frequenza cardiaca, una prolungata contrazione uterina (ipertono uterino) e una complessiva sofferenza fetale, veniva eseguito con urgenza il parto cesareo.
Il neonato nasceva affetto da sindrome di Pierre Robin, con insufficienza respiratoria per immaturità polmonare, asfissia perinatale tant’è che nei primi tre mesi di vita era costretto a sottoporsi a “tracheotomia”.

Con ordinanza del 2 dicembre 2013, veniva demandato al ctu nominato, il seguente accertamento:
a) se vi fu ritardo colpevole nella valutazione ecografia e flussometrica cui venne sottoposta l’attrice (B), eseguita presso il centro prenatale dell’Ospedale ______, in data .____ rispetto alla precedente eseguita in data ______ tale da avere determinato e/o aggravato le condizioni di sofferenza fetale emergente dall’ultimo controllo eseguito appunto in data ______;
b) se il mancato tempestivo ricovero per eseguire il parto cesareo, presso lo stesso Ospedale _______ con un ritardo nella nascita del piccolo (C) di circa 2 ore, abbia aggravato lo stato di sofferenza fetale riscontrato (si veda allegato n° 5 produzione attorea), tale da determinare la nascita del bimbo in condizioni “asfittiche”; c) se, previa positiva risposta ai quesiti di cui ai punti a) e b), tali comportamenti colposi abbiano aggravato le condizioni di salute del piccolo (C), con peggioramento del danno cerebrale, ed eventualmente determinarne l’entità in termini percentuali.

Entrambi i primi due quesiti posti al ctu hanno ricevuto una risposta positiva.
Deve, a riguardo, premettersi che, certamente il quadro patologico del piccolo (C) risulta fortemente pregiudicato dalla sindrome di Pierre Robin e dalle altre patologie genetiche, rispetto alle quali nessuna incidenza causale può avere avuto la condotta dei sanitari che eseguirono le valutazioni ecografiche.
Difatti, la grave alterazione strutturale neurologica associata alla patologia sindromica malformativa di origine genetica, ha determinato nel bambino forti ripercussioni sul suo sviluppo neuromotorio e psichico senza che eventuali ritardi possano avere in qualche modo inciso con valenza eziologica o di concausa.
Sennonché, certamente i ritardi prospettati dai quesiti, emergenti dalla documentazione prodotta, rispetto ai quali nessuna prova contraria è stata fornita dall’azienda convenuta, hanno avuto una incidenza di con-causa rispetto ad una parte del quadro patologico del piccolo, vale a dire della ipossia neonatale, ossia al “danno ipossico cerebrale” conseguente all’ipertono acuto riscontrato dai medici dell’____che eseguirono, nell’arco di 30 minuti dall’arrivo della gestante il taglio cesareo.
In ordine al primo quesito, lo stesso ctu, con valutazione condivisibile, rileva che, accertata già nel corso del primo controllo ecografico, un quadro sindromico grave con IUGR, la ripetizione delle valutazioni ecografiche, ancorché con flussimetria normale, doveva essere fatta con cadenze di quindici giorni e già dalla data del 5 gennaio 2009 la paziente poteva essere monitorata piuttosto che con programmazione periodica con accesso esterno ambulatoriale, previo ricovero in ambiente ospedaliero.
Inoltre, tra il 5 gennaio e il ______ il tempo trascorso è superiore a 15 giorni e tale ritardo, con ragionevole probabilità, può avere contribuito a determinare quella situazione di contrazione uterina e sofferenza fetale poi riscontrata al controllo ecografico del ... e al conseguente immediato parto cesareo con urgenza eseguito presso l’_____.
Una maggiore incidenza causale rispetto a tale porzione di sofferenza del nascituro deve essere attribuita alla scelta - incomprensibile e soprattutto non supportata da giustificazioni obiettive, non fornite nel giudizio dall’azienda sulla quale gravava il relativo onere probatorio – una volta riscontrata la sofferenza fetale il _____, di non trasferire con urgenza la paziente all’interno della stessa struttura ospedaliera affinché la stessa fosse immediatamente sottoposta a taglio cesareo.
L’avere solo “consigliato” il ricovero senza l’adozione di altra immediata soluzione, ha determinato, non solo l’aggravio della sofferenza della stessa gestante che già, in condizioni di estremo malessere, è stata costretta a raggiungere altro nosocomio con mezzo proprio, ma ha ulteriormente peggiorato la condizione clinica, già precaria, del nascituro, determinando un aumento della condizione di ipossia cerebrale, all’origine di talune patologie di cui risulta oggi affetto il piccolo (C).

Dalle relazioni e dalla documentazione rilasciata dal Centro di Alta Specializzazione _____, emerge che gli stessi sanitari hanno ritenuto possibile concausa del danno cerebrale del bambino proprio la asfissia perinatale, imputabile alla condotta dell’azienda sanitaria convenuta.
Sul punto, con valutazione condivisibile così il ctu rileva: “Il mancato ricovero presso la struttura sanitaria dell’ospedale _____ costituisce, nella fattispecie del caso in oggetto, e secondo quanto rappresentato nella logica del “più probabile che non”, un atto omissivo (da dimostrarsi nelle opportune sedi) tale da configurarsi quale fattore di responsabilità in un mancato tempestivo intervento di taglio cesareo in gravidanza a rischio per IUGR e sospetta patologia sindromica. Il lasso di tempo intercorso dalla proposta di ricovero eseguita al Centro Ecografico prenatale stimabile verso le ore 11,00 (vedasi ultimi orari apposti alle immagini allegate) e la successiva valutazione ospedaliera all’_____ dopo circa due ore potrebbe aver contribuito all’instaurarsi di uno stato di ipertono acuto con conseguente aggravio della ipossia neonatale” (si veda pag. 5/6 della ctu integrativa).
Infine, il consulente nell’elaborato peritale - apprezzabile per grado di studio, di approfondimento e di puntualità nell’esame della documentazione prodotta e nella trattazione della materia così complessa - con valutazione condivisibile, ha quantificato il grado di pregiudizio alla salute, solo quello riconducibile eziologicamente a siffatta porzione di patologie – una porzione di ipotonia muscolare riconducibile a cerebropatia – inquadrabile alla voce “atassia che rende difficile la deambulazione” nella misura percentuale con valore tra il 20% e il 25%.

Il Tribunale, alla luce del quadro di complessivo pregiudizio alla salute del piccolo (C), tenendo conto dell’adeguata personalizzazione del danno biologico in corrispondenza con la giovanissima età del bimbo, con la gravità delle sue condizioni di salute, ritiene di riconoscere un danno biologico nella misura massima del 25%.

Esaurito il quadro probatorio, è necessario, a questo punto delineare il quadro degli obblighi gravanti sulle strutture sanitarie per danni riportati da pazienti a causa dell’omissione e/o di cattiva esecuzione della relativa prestazione.
Sul punto, è utile richiamare la giurisprudenza formatasi in materia di responsabilità della struttura sanitaria e del personale medico ivi operante.

Si è oramai affermato che dall'accettazione del paziente in ospedale o presso il centro sanitario, ai fini del ricovero, di una visita ambulatoriale o di un trattamento, ne discende la conclusione di un contratto, e l’inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria nell’ambito della responsabilità contrattuale (Cass. n. 1698 del 2006; Cass. n. 9085 del 2006; Cass. 28.5.2004, n. 10297; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; 14 luglio 2003, n. 11001; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316; in ultimo si vedano SS.UU. 11 gennaio 2008 n° 577).
Del pari, anche l'obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale", ha natura contrattuale (Cass. 22 dicembre 1999, n. 589; Cass. 29.9.2004, n. 19564; Cass. 21.6.2004, n. 11488; Cass. n. 9085 del 2006)”.
La Corte chiarisce che mentre prima (“per diverso tempo”) il presupposto per l'affermazione della responsabilità contrattuale della struttura era l'accertamento di un comportamento colposo del medico dipendente, perché “sulla base dell'applicazione analogica al rapporto paziente-struttura delle norme in materia di contratto di prestazione d'opera intellettuale vigenti nel rapporto medico-paziente”, la responsabilità della struttura sanitaria veniva “appiattita” su quella del medico; più recentemente, invece, la giurisprudenza ha riconsiderato il rapporto paziente - struttura “in termini autonomi dal rapporto paziente-medico, e riqualificato come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull'inadempimento fissate dall'art. 1218 c.c.”.
Conseguenza ne è stata “l'apertura a forme di responsabilità autonome dell'ente, che prescindono dall'accertamento di una condotta negligente dei singoli operatori, e trovano invece la propria fonte nell'inadempimento delle obbligazioni direttamente riferibili all'ente”.
Si tratta di un percorso interpretativo, anticipato dalla giurisprudenza di merito, che “ha trovato conferma in una sentenza di queste Sezioni Unite (1.7.2002, n. 9556, seguita poi da altre delle sezioni semplici, Cass. n. 571 del 2005; Cass. n. 1698 del 2006) che si è espressa in favore di una lettura del rapporto tra paziente e struttura (anche in quel caso, privata) che valorizzi la complessità e l'atipicità del legame che si instaura, che va ben oltre la fornitura di prestazioni alberghiere, comprendendo anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario, paramedico, l'apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicazioni”.

In virtù dell’autonomo contratto, che si potrebbe definire di "assistenza sanitaria" o “spedalità”, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, “che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi cd. di protezione ed accessori”.
Ne deriva che la responsabilità della struttura per inadempimento “si muove sulle linee tracciate dall'art. 1218 c.c., e, per quanto concerne le obbligazioni mediche che essa svolge per il tramite dei medici propri ausiliari, l'individuazione del fondamento di responsabilità dell'ente nell'inadempimento di obblighi propri della struttura consente quindi di abbandonare il richiamo, alquanto artificioso, alla disciplina del contratto d'opera professionale e di fondare semmai la responsabilità dell'ente per fatto del dipendente sulla base dell'art. 1228 c.c.” (i passaggi sono tratti da SS.UU. n° 577 del 2008).

Delineati i rapporti tra i diversi soggetti, alla stregua di quanto affermato, la fonte della responsabilità sia per il medico che per la struttura sanitaria riposa, dunque, sull’inadempimento dell’obbligazione sui medesimi gravante che, in un caso – per l’azienda – è più complessa e si connota di una serie di obblighi principali ed accessori tutti ispirati alla tutela del bene primario della salute del paziente ai sensi dell’art. 32 Cost., nell’altro caso, concerne il tipo di prestazione cui è tenuto il medico originata dal “contatto” avuto con il paziente e dalla sua specifica richiesta.
Trattandosi di obbligazione di tipo professionale, la misura dello sforzo di diligenza richiesto deve essere correlato al tipo di interesse creditorio che deve essere soddisfatto.
A riguardo, in base al combinato disposto degli artt. 1176 II comma e 2236 c.c., la diligenza richiesta non è quella del buon padre di famiglia ma piuttosto quella del buon professionista ossia la diligenza normalmente adeguata in relazione al tipo di attività e alle relative modalità di esecuzione (cfr. 31 maggio 2006 n° 583).
Lo specifico settore di competenza in cui rientra l'attività esercitata richiede infatti la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell'attività necessaria per l'esecuzione dell'attività professionale.

Come in giurisprudenza di legittimità si è già avuto modo di porre in rilievo, i limiti di tale responsabilità sono quelli generali in tema di responsabilità contrattuale (v. Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533), presupponendo questa l'esistenza della colpa, lieve del debitore, e cioè il difetto dell'ordinaria diligenza. A riguardo si è ulteriormente precisato che il criterio della normalità va valutato con riferimento alla diligenza media richiesta, ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata (cfr. Cass., 20/7/2005, n. 15255; Cass., 8/2/2005, n. 2538; Cass., 22/10/2003, n. 15789; Cass., 28/11/2001, n. 15124; Cass., 21/6/1983, n. 4245).

In ordine poi ai criteri di riparto degli oneri probatori, l’inquadramento dianzi operato importa che il riparto dell'onere probatorio deve seguire i principi fissati in materia contrattuale, alla stregua di quelli che sono i principi delineati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n° 13533 del 2001, in tema di onere della prova dell'inadempimento e dell'inesatto adempimento, secondo cui “il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento”, valevole anche nel caso di inesatto adempimento, “al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento”.
Tale principio è stato ritenuto applicabile anche all’onere della prova nelle cause di responsabilità professionale del medico, nelle quali grava sull’attore (paziente danneggiato che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria) oltre alla prova del contratto, anche quella dell'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie nonché la prova del nesso di causalità tra l'azione o l'omissione del debitore e tale evento dannoso, allegando il solo inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento, cioè di aver tenuto un comportamento diligente (Cass. n. 12362 del 2006; Cass. 11.11.2005, n. 22894; Cass. 28.5.2004, n. 10297; Cass. 3.8.2004, n. 14812).

Ora, si è ritenuto che, dunque, l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento – sul presupposto che deve essere superata la dicotomia tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato - non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. Ciò comporta che l'allegazione del creditore non può riferirsi genericamente ad un qualunque inadempimento, ma deve avere riguardo all’inosservanza specifica, c.d. qualificata, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno; graverà sul debitore l’onere di dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno (cfr. SS.UU. n° 577 del 2008).
Orbene, nella cornice tratteggiata, è necessario chiarire quale debba essere ora il criterio alla stregua del quale accertare la sussistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno allegato patito dal paziente.
Anche sul punto sono numerose le pronunce della giurisprudenza di legittimità che, di recente ha però chiarito, che all'autore del fatto illecito vengono imputate le conseguenze che "normalmente" discendono dal suo atto, a meno che non sia intervenuto un nuovo fatto rispetto al quale egli non ha il dovere o la possibilità di agire (la cd. teoria della regolarità causale e del novus actus interveniens).
“In questo modo, il nesso causale diviene la misura della relazione probabilistica concreta (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento e fatto dannoso (quel comportamento e quel fatto dannoso) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata, mentre tutto ciò che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale (o, se si vuole, di previsione e prevenzione, attesa la funzione - anche - preventiva della responsabilità civile, che si estende sino alla previsione delle conseguenze a loro volta normalmente ipotizzabili in mancanza di tale avvedutezza) andrà più propriamente ad iscriversi entro l'orbita soggettiva (la colpevolezza) dell'illecito” (cfr. 16 ottobre 2007 n° 21619).
Sostiene la Corte che: “Non è illegittimo immaginare, allora, una "scala discendente", così strutturata: 1) in una diversa dimensione di analisi sovrastrutturale del (medesimo) fatto, la causalità civile "ordinaria", attestata sul versante della probabilità relativa (o "variabile"), caratterizzata, specie in ipotesi di reato commissivo (ndr: forse il riferimento è al reato omissivo), dall'accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, secondo modalità semantiche che, specie in sede di perizia medico-legale, possono assumere molteplici forme espressive ("serie ed apprezzabili possibilità", "ragionevole probabilità" ecc.), senza che questo debba, peraltro, vincolare il giudice ad una formula peritale, senza che egli perda la sua funzione di operare una selezione di scelte giuridicamente opportune in un dato momento storico: senza trasformare il processo civile (e la verifica processuale in ordine all'esistenza del nesso di causa) in una questione di verifica (solo) scientifica demandabile tout court al consulente tecnico: la causalità civile, in definitiva, obbedisce alla logica del "più probabile che non";
2) in una diversa dimensione, sempre nell'orbita del sottosistema civilistico, la causalità da perdita di chance, attestata tout court sul versante della mera possibilità di conseguimento di un diverso risultato terapeutico, da intendersi, rettamente, non come mancato conseguimento di un risultato soltanto possibile, bensì come sacrificio della possibilità di conseguirlo, inteso tale aspettativa (la guarigione da parte del paziente) come "bene", come diritto attuale, autonomo e diverso rispetto a quello alla salute. Quasi certezza (ovvero altro grado di credibilità razionale), probabilità relativa e possibilità sono, dunque, in conclusione, le tre categorie concettuali che, oggi, presiedono all'indagine sul nesso causale nei vari rami dell'ordinamento” (Cass. 16 ottobre 2007 n° 21619).

Dal quadro esposto discende che, la condotta omissiva posta in essere dalla struttura sanitaria dianzi descritta integra violazione degli obblighi professionali sulla medesima gravante e sul suo personale medico, che si pone all’origine del danno alla salute patito dal piccolo (C) nei limiti individuati dal ctu.
Passando, a questo punto della disamina, al profilo della quantificazione dei danni, sul punto devono essere richiamate le conclusioni cui è giunto il consulente nominato perché corrette e congrue.
(C), ha riportato in conseguenza della condotta omissiva dei sanitari che ebbero in cura la madre, un danno biologico che il consulente ha quantificato nella misura del 25%.
Per la liquidazione equitativa del danno come sopra riconosciuto - e cioè del danno “biologico” inteso quale danno all’integrità psico-fisica del soggetto ed appunto comprensivo sia del danno da invalidità permanente sia di quello da inabilità temporanea - questo Giudice si uniforma agli orientamenti espressi dalla sent. n° 12408/2001 che ha individuato nelle tabelle milanesi, in uso nella gran parte dei Tribunale d’Italia, un valido criterio per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, riconoscendone una vocazione nazionale (si veda anche Cass. n° 14402/2011).
Inoltre, anche il recente orientamento dello stesso legislatore (si veda anche ordine del giorno della Camera dei Deputati del 24 ottobre 2011 che ha impegnato il Governo a ritirare lo schema del D.P.R. già dal medesimo approvato, relativo alla tabella unica del danno), che indica nelle tabelle milanesi un valido criterio di liquidazione del danno alla persona., induce a ritenere che, in particolare, rispetto a siffatta tipologia di danni, patiti dalla vittima di emotrasfusioni infette, siffatti parametri soddisfino meglio le istanze risarcitorie dei pazienti affette da infezione di HCV.
Indi, questo Tribunale prende atto dello sviluppo giurisprudenziale degli ultimi mesi in materia di risarcimento del danno e dell’indicazione delle tabelle milanesi, quale valido criterio di liquidazione del danno anche in questa materia.
Pertanto, alla luce dei criteri esposti al piccolo (C) dovrà essere riconosciuto un danno biologico pari ad euro 129.595,00.
Tale voce di danno dovrà essere personalizzata al fine di riconoscere al piccolo danneggiato un maggiore ristoro che tenga conto di tutti i pregiudizi di natura esistenziale discendenti dall’aggravamento delle patologie conseguenti dalla condotta illecita della struttura convenuta.
Difatti, il piccolo (C) è costretto a vivere attaccato ad un respiratore artificiale, non deambula efficientemente e ha un consistente ritardo nello sviluppo fisico e psichico.
Sicché, si ritiene congruo maggiorare il risarcimento di una ulteriore misura del 30%, per una somma complessiva di euro 168.473,00 (di cui euro 38.878,00 per la ulteriore personalizzazione).
Non potrà riconoscersi alcuna somma a titolo di danno patrimoniale per spese sostenute, non riconducibili eziologicamente alla omissione colposa dell’azienda convenuta.

Sulle somme così individuate dovranno poi essere liquidati gli interessi da “ritardato pagamento” o interessi compensativi. A riguardo va osservato che le somme finora liquidate sono espresse in valori attuali, e, se da un lato costituiscono l’adeguato equivalente pecuniario della compromissione di beni giuridicamente protetti, tuttavia non comprendono l’ulteriore e diverso danno rappresentato dalla mancata disponibilità della somma dovuta, provocata dal ritardo con cui viene liquidato al creditore danneggiato l’equivalente in denaro del bene leso. Nei debiti di valore, come in quelli di risarcimento da fatto illecito, vanno pertanto corrisposti interessi per il cui calcolo non si deve utilizzare necessariamente il tasso legale, ma un valore tale da rimpiazzare il mancato godimento delle utilità che avrebbe potuto dare il bene perduto.
Tale “interesse” va, tuttavia, applicato non già alla somma rivalutata in un'unica soluzione alla data della sentenza, bensì, conformemente al noto principio enunciato dalle S.U. della Suprema Corte con sentenza 17/2/1995 n° 1712, sulla "somma capitale" rivalutata di anno in anno. Pertanto, agli attori n.q. di genitori esercenti la potestà sul figlio minore (C), sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno, devalutate, sono dovuti gli interessi al tasso legale dalla data dell’illecito, coincidente con il momento della nascita pari ad euro 25.741,20.
Il risarcimento complessivo spettante a piccolo (C) sarà, allora, pari ad euro 194.214,20, oltre gli interessi legali dalla data della decisione fino al soddisfo.

Gli attori agiscono nel giudizio anche per i pregiudizi patiti iure proprio, conseguenti alle gravi patologie del figlio minori, sotto forma di danno parentale subito dalle vittime secondarie dell’illecito civile.
A riguardo allegano di essere stati costretti, pur in giovane età (poco meno di trentenni), ad affrontare gravose difficoltà quotidiane, oltre alla estrema sofferenza morale per le gravi patologie del figlio, discendenti dalla grave invalidità di (C), bisognevole di cure ed assistenza continua, di impiego di strumentazione adeguata alla respirazione artificiale, tutte condizioni che hanno inciso significativamente sulla loro esistenza quotidiana e sulla loro vita di relazione.
Sul punto, è bene richiamare quanto espresso dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche a sezioni unite, negli ultimi anni.
Afferma, infatti la suprema Corte a sezioni unite, che “il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. Non può, dunque, farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione” (SS.UU. sentenze 11.11.2008 nn° 26972, 26973, 26974 e 26975).
In ordine al rapporto con il danno biologico, anche ai fini del sistema di liquidazione da adottare, viene chiarito che alla nozione di danno biologico va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva confermata dalla definizione normativa adottata dal D.Lgs n° 209 del 2005, c.d Codice delle assicurazioni private, secondo cui “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito", suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. In esso sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti agli "aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato", con l’effetto che non si potranno più duplicare le liquidazioni del danno biologico e di quello morale soggettivo, e dovrà procedersi ad una personalizzazione delle tabelle in uso anche al Tribunale di Palermo, al fine di tener conto di eventuali pregiudizi anche di tipo psicologico prodotti dall’evento.
Ma, ancora, la III sezione della Suprema Corte, soffermandosi proprio sul rapporto tra danno biologico e danno morale o sofferenza morale, ha nuovamente ribadito l’autonomia ontologica delle due categorie di danno, che risarciscono interessi costituzionalmente rilevanti differenti – l’uno il diritto alla salute l’altro l’integrità morale protetta dall’art. 2 Cost. – ed ha definitivamente scongiurato le tecniche liquidatorie che tengono conto dei parametri tabellari previsti per la liquidazione del danno biologico, affermando la necessità che si pervenga ad una liquidazione personalizzata, di matrice equitativa, che tenga conto delle condizioni soggettive della vittima e della gravità del fatto (cfr. Cass. n° 28407 del 2008; Cass. 29191 del 2008; Cass. 22585/2013).
Il Tribunale aderisce a tale ultimo indirizzo.
Orbene, nella fattispecie in esame, il piccolo (C), a causa delle gravi patologie di cui risulta affetto, è costretto a respirare artificialmente, deve sottoporsi a continue cure e trattamenti, anche in centri specializzati, ha un ritardo nello sviluppo cognitivo e fisico, e necessita di assistenza continua da parte dei genitori, per consentirgli di espletare tutti i bisogni vitali quotidiani, di avvalersi di strumenti tecnologici ed attrezzature idonee (si veda copia delle relazioni prodotte), e ciò non può non coinvolgere direttamente gli attori conviventi con il bimbo che, in ragione di tali condizioni di salute, sono costretti a prestare continuamente le loro cure, ad essere sempre presenti, ad accudirlo costantemente.
Il riflesso pregiudizievole nella vita sia della madre che del padre del danneggiato, costituisce una forma di danno “esistenziale”, secondo l’accezione condivisa dalla giurisprudenza anteriore alle sezioni unite richiamate (cfr. Cass. 26 febbraio 2004 n° 3868; Cass. 24 aprile 2007 n° 9861), che nella specie non può non ricorrere nella misura in cui è proprio lo sviluppo dell’esistenza di ciascuno dei genitori ad essere stato irrimediabilmente e definitivamente compromesso in conseguenza delle condizioni di salute del loro figlio.
Nella valutazione complessiva di tale voce di danno, tuttavia, deve assegnarsi una porzione sempre ridotta in ragione della limitata incidenza di quelle patologie del minore che, come detto in precedenza, sono direttamente conseguenza del comportamento omissivo colposo dell’azienda, sempre nella misura del 25%.

Passando al profilo della quantificazione del danno, il Tribunale, alla luce dei parametri rilevati, evidenziando che trattasi di una forma di danno parentale conseguente non al decesso ma ad una forma di macrolesione del prossimo congiunto, vale a dire della vittima primaria dell’illecito, ritiene congruo avvalersi del metodo equitativo che però muova dalle indicazioni tabellari contenute nelle Tabelle milanesi 2013.
Dette tabelle prevedono una forcella di valori per ogni forma di danno parentale da “decesso della vittima primaria”, in ragione del vincolo parentale (nel caso di genitori e figli i parametri sono da euro 163.080,00 ad euro 326.150,00).
Rilevato che, tuttavia, nella specie non si tratta di decesso ma di assistenza a minore macroleso, si ritiene congruo applicare il valore minimo previsto, euro 163.080,00, che tiene conto della giovane età dei genitori, della giovanissima età del piccolo (oggi 7 anni) che come tale necessiterà di cure ed assistenza per molti anni.
Tuttavia, su tale somma, che costituisce solo un parametro di liquidazione, dovrà essere applicata la percentuale del 25%, e il risarcimento riconosciuto a ciascun genitore sarà pari ad euro 40.770,00, determinato all’attualità e comprensivo di interessi legali.
Pertanto, in accoglimento delle domande proposte, l’azienda ospedaliera (D) dovrà essere condannata a pagare agli attori n.q. di genitori esercenti la potestà sul figlio minore (C), la complessiva somma di euro 194.214,20, oltre gli interessi legali dalla data della decisione fino al soddisfo.
La convenuta, inoltre, dovrà essere condannata a pagare agli attori in proprio la complessiva somma di euro 81.540,00, oltre gli interessi legali dalla data della domanda fino al soddisfo.
In ossequio alle regole della soccombenza, la convenuta dovrà essere condannata a rimborsare agli attori le spese del giudizio che si liquidano come in dispositivo, ponendo quelle di ctu definitivamente a carico della parte soccombente.

PQM

Il Tribunale,
ogni contraria istanza ed eccezione respinta e definitivamente pronunciando, in accoglimento delle domande proposte con atto di citazione notificato in data 16-18 settembre 2008, dichiara la cessazione della materia del contendere sulle domande proposte dagli attori in proprio e n.q. nei confronti dell’(E) e della (F), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, e dispone la compensazione delle spese di lite tra le parti;
condanna (D), in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a (A) e (B), nella qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore (C), la complessiva somma di euro 194.214,20, oltre gli interessi legali dalla data della decisione fino al soddisfo;
condanna (D), in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a (A) e (B), in proprio, la complessiva somma di euro 81.540,00, oltre gli interessi legali dalla data della decisione fino al soddisfo;
condanna (D), in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare agli attori le spese del giudizio che si liquidano in complessivi euro 15.100,00, di cui euro 1118,00 per spese, oltre spese forfetarie, IVA e CPA come per legge ed oltre le spese di ctu da porsi definitivamente a carico della parte convenuta.
Così deciso a Palermo in data 11 giugno 2014.
Il Giudice
Dott.ssa Sebastiana Ciardo
Pubblicata il 19.6.2014


 

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