REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
Terza Sezione Civile
composta dai magistrati
dott. Giovanni Buonomo -presidente rel.-
dott. Mauro Di Marzio -consigliere-
dott. Maria Rosaria Rizzo -consigliere-
riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3623 del registro generale degli affari contenziosi dell'anno 2010, passata in decisione all'udienza del 28/01/2015 e vertente tra
D.N., con l'avvocato T.J.
PARTE APPELLANTE
contro
R.S., con l'avvocato B.W.
PARTE APPELLATA
avente ad oggetto: responsabilità professionale.

Svolgimento del processo

Par. 1 -
D.N. ha convenuto giudizio, davanti al tribunale di Velletri, l'avvocato S.R. chiedendone la condanna al risarcimento del danno patrimoniale (quantificato in complessivi Euro 2567,00) ed extrapatrimoniale (da quantificarsi in via equitativa) per responsabilità conseguente ad inadempimento nell'esercizio del mandato professionale.
A sostegno della domanda ha dedotto, in sintesi: d'aver citato in giudizio, con l'assistenza dell'avvocato S.R., la società E. s.a.s. chiedendo l'esecuzione urgente delle opere necessarie per l'eliminazione di difetti di costruzione presenti nell'immobile costruito dalla predetta impresa in ____), ed acquistato nel 1993 dalla predetta D.N. che, ottenuta dal tribunale ordinanza che autorizzava la parte istante, in difetto di esecuzione da parte della E., a far eseguire le opere da altra impresa in danno della società convenuta, la D.N. provvide a far eseguire da un'impresa di sua fiducia i lavori necessari e, dopo aver invano richiesto il pagamento della fattura, notificò precetto per ottenere il rimborso di quanto anticipato; che su ricorso proposto dalla E., tuttavia, il tribunale di Roma dichiarò nullo il precetto e condannò la D.N. al pagamento delle spese di lite in favore della E. Sas per Euro 2.482,30 oltre ad oneri accessori, poiché la fattura non costituiva valido titolo esecutivo e le modalità di esecuzione non erano state preventivamente definite dal G.E. con la procedura prevista dall'art. 612 c.p.c.
Secondo l'attrice, dunque, l'avvocato R. avrebbe ignorato la necessità di ricorrere al giudice dell'esecuzione per ottenere la determinazione delle modalità di esecuzione dei lavori, avrebbe consigliato erroneamente la sua assistita di provvedere senza indugio a far eseguire le opere da un'impresa di sua fiducia e avrebbe poi tentato di porre in esecuzione un semplice fattura commerciale. Avrebbe poi rifiutato di comporre in via stragiudiziale la lite (anche disertando la convocazione per il tentativo di conciliazione davanti al consiglio dell'ordine gli avvocati di Roma).

Par. 1.1 - Il professionista, ritualmente costituitosi nel giudizio, ha sostenuto che la D.N. avrebbe autonomamente incaricato dell'esecuzione delle opere una impresa di sua fiducia senza preventivamente consultarsi col suo avvocato.
Par. 1.1 - Il tribunale, espletata l'istruttoria necessaria, ha rigettato la domanda, condannando la D.N. al pagamento delle spese del giudizio.

Par. 1.2 - A fondamento delle decisione, il primo giudice ha posto i seguenti argomenti:
La domanda attrice va respinta.
La responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, con riferimento al quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurare alla natura dell'attività esercitata. Inoltre, poiché il professionista non può garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni intanto è ravvisabile, in quanto sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (confronta Cass. n. 6967 del 27 marzo 2006).
Sostiene l'attrice che la condotta della convenuta sarebbe stata censurabile in quanto la stessa avrebbe erroneamente intimato precetto alla società ed il M. S.r.l., condannata dal tribunale di Roma ad eseguire delle opere in suo favore, al fine di ottenere il rimborso di quanto già dalla stessa D.N. spontaneamente pagato per effettuare gli interventi in questione a causa dell'inerzia della società da ultimo menzionata. Infatti, S.R. non avrebbe tenuto conto del fatto che, venendo in rilievo l'esecuzione di un obbligo di facere, avrebbe dovuto essere seguita la procedura di cui agli articoli 612 e seguenti c.p.c., e non essere notificato direttamente un precetto.
Sussisterebbe pertanto una responsabilità professionale della convenuta per avere errato nel fare notificare un precetto fondato su un titolo esecutivo inidoneo, precetto poi dichiarato nullo dal tribunale di Roma in seguito all'opposizione proposta dalla stessa ed il M. S.r.l. che aveva portato la condanna della D.N. a rifondere le spese di lite.
Nella specie deve rilevarsi in primo luogo come non possa ritenersi esistente un nesso causale tra la condotta della convenuta l'eventuale danno subito dall'attrice. Infatti, dopo la notifica del precetto, S.R. è stata sostituita da nuovo difensore della D.N., che si è costituito nel giudizio di opposizione. Sul punto, si osserva che la sentenza che ha dichiarato nullo il precetto con condanna dello dell'attrice alle spese di lite, sull'emissione della quale si fonda in parte la pretesa risarcitorie della D.N., non può essere considerata frutto dell'attività professionale di S.R. e della violazione da parte di quest'ultima di un dovere deontologico, venendo in rilievo il ministero di altro difensore. In particolare, era onere dell'attrice dimostrare non solo che la notifica del precetto era venuta con la consapevolezza o comunque con la possibilità di previsione della sua nullità, ma anche che l'esito processuale negativo lamentato era conseguenza diretta dell'eventuale errore di S.R.
Nella specie, non è possibile escludere che la condanna alle spese sia dovuta alla costituzione della D.N. nel giudizio in questione, costituzione che sarebbe avvenuta, secondo la stessa attrice, con il patrocinio di altro avvocato e nell'assoluta convinzione della fondatezza dell'opposizione. Infatti, non può non ipotizzarsi e ben avrebbe potuto il nuovo avvocato evitare la condanna alla rifusione delle spese rinunciando al precetto o comunque rimanendo contumace.
Inoltre, si sottolinea che la difesa della D.N. aveva la possibilità di avanzare domanda riconvenzionale nel giudizio di opposizione, come pacificamente ammesso dalla giurisprudenza.
Al fine di azionare il suo credito ed evitare la soccombenza. L'attrice non ha poi dimostrato, come sarebbe stato suo onere, che l'esito di un eventuale giudizio di appello (nella specie non instaurato) sarebbe stato ragionevolmente per la stessa negativo. Nel caso in questione non è possibile, in base a un giudizio probabilistico, escludere tale circostanza considerato che in realtà, diversamente da quanto dedotto nell'opposizione della E. S.r.l., sussisteva un titolo esecutivo su quale fondare il precetto (l'ordinanza cautelare summenzionata che espressamente utilizzava la D.N. ad eseguire i lavori in caso di inerzia della E. S.r.l.). L'eventuale illegittimità di questo, per avere dato la facoltà al soggetto creditore di agire in via diretta in caso di inerzia del debitore, non ne autorizzava la sostanziale disapplicazione in sede di opposizione, poiché era onere della E. S.r.l. eventualmente reclamarlo (il che non è avvenuto). Peraltro, la difesa della D.N. ha omesso (come si desume dalla lettura della sentenza che ha accolto tale opposizione) di contestare tale circostanza al momento della costituzione e non la puoi coltivarla, come ben avrebbe potuto, in sede di appello. Si rileva, altresì, che non può neppure ritenersi che la convenuta abbia agito con dolo o colpa nel notificare il precetto. Infatti, l'ordinanza cautelare del tribunale di Roma indicata come titolo esecutivo conteneva, come già evidenziato, la condanna della E. S.r.l. ad eseguire alcuni lavori, ma autorizzava pure espressamente la D.N. a porre in essere i necessari interventi a spese della società in questione decorso un certo termine. Essendo passato il periodo di tempo in questione, ben poteva D.N. agire per l'esecuzione non più dell'obbligo di facere, venuto meno a causa dell'esecuzione diretta posta in essere, ma per quello di restituzione dell'importo dalle versato, che prescindeva ormai dall'applicazione degli articoli 612 c.p.c. e seguenti in considerazione dell'espresso contenuto dell'ordinanza ex art. 700 c.p.c. summenzionata. Era pertanto ragionevole il ricorso ad un precetto per ottenere il versamento dell'importo dovuto con la conseguenza che non può parlarsi di dolo o colpa della convenuta.
Quanto alla domanda di risarcimento del danno esistenziale dell'attrice, se ne rileva a prescindere dalle considerazioni di cui sopra l'assoluta infondatezza in ragione della estrema genericità. Ne consegue il rigetto della domanda attrice.
In considerazione dell'esito del giudizio, va respinta pure la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. della D.N

Par. 2 - Ha proposto appello l'attrice soccombente, contestando la sentenza di primo grado sotto vari profili.
Ha resistito S.R. chiedendo il rigetto dell'appello, la conferma della sentenza di primo grado e la condanna dell'appellante al pagamento delle spese del grado.
Par. 2.1 - La Corte ha sospeso l'efficacia esecutiva della sentenza con ordinanza emessa all'esito della prima udienza di comparizione. Le parti hanno poi precisato le conclusioni all'udienza indicata in epigrafe e la Corte, decorsi i termini assegnati per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ha trattenuto la causa in decisione ai sensi dell'art. 352, primo comma, c.p.c.

Motivazione

Par. 3 - L'appello si articola in due motivi.
Par. 3.1 - Col primo motivo l'appellante contesta, sotto diversi profili, l'errore in cui sarebbe incorso il primo giudice nel negare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del professionista e il danno subito dalla originaria attrice.
In particolare: il tribunale avrebbe ritenuto la notifica di un precetto nullo non riconducibile all'attività professionale della R. nonostante l'evidenza costituita dalle motivazioni della sentenza con cui il tribunale ha rigettato il ricorso; avrebbe posto a carico del creditore la prova della "previsioni di nullità" del precetto notificato quando sarebbe spettato al professionista dare prova dell'adempimento del mandato professionale; avrebbe affermato erroneamente che la condanna alle spese non sarebbe conseguita in caso di mancata costituzione nel giudizio di opposizione; avrebbe infine ignorato il risultato dell'istruzione probatoria, da cui sarebbe emerso con chiarezza che l'iniziativa di affidare i lavori ad un'impresa di fiducia era stata presa dalla D.N. su consiglio proprio della R.

Par. 3.2 - Il secondo motivo, subordinato al primo, è volto a contestare un'errata applicazione delle norme sul governo delle spese processuali considerata la condotta processuale della parte e la possibilità di una compensazione almeno parziale delle predette spese.

Par. 4 - L'appello è fondato.
Par. 4.1 - L'istruzione probatoria, che il giudice di primo grado sembra avere completamente obliterato, ha dimostrato che fu l'avvocato R., dopo avere convocato la D.N. nel suo studio, accompagnata dal marito A.D., ad invitare la sua cliente, decorso il termine contenuto nell'ordinanza cautelare, a far eseguire i lavori da una impresa di sua fiducia, chiedendo la trasmissione della fattura con cui avrebbe procurato il rimborso delle spese da parte della Ed.
La circostanza, riferita dal teste D. nel corso dell'esame testimoniale, è innanzitutto assai verosimile, poiché non v'è prova della copia dell'ordinanza che l'avv. R. ha dichiarato (nel corso dell'interrogatorio formale) di avere ("forse") inviato per fax alla sua cliente; né appare verosimile, in difetto di prove che il professionista avrebbe dovuto allegare, che la parte si sia procurata personalmente una copia recandosi in cancelleria all'insaputa del suo avvocato, per poi affrontare, di propria iniziativa e senza consultarsi col suo legale, le consistenti spese di riparazione poste dal tribunale a carico della E.
A quest'ultimo proposito, peraltro, non è dato neppure sapere, escluso che la D.N. si sia procurata autonomamente una copia dell'ordinanza, come la parte avrebbe potuto sapere del termine di sette giorni assegnato dal tribunale per l'esecuzione in danno.
Par. 4.2 - L'avvocato R. ha dichiarato, nel corso dell'interrogatorio formale, di aver convocato nel suo studio la D N., di averle illustrato il contenuto del provvedimento emesso dal tribunale e di averle detto "che avrebbe potuto eseguire i lavori in forza di quel provvedimento", anche se ha subito dopo dichiarato di non ricordare "di aver detto alla D.N. di eseguire i lavori e portare la fattura. Il comportamento della convenuta, peraltro, costituisce argomento di prova (art. 116 c.p.c.) che la Corte non può ignorare a conferma della ricostruzione dei fatti indicata nell'originario atto di citazione.

Par. 4.2.1 - L'appellata ha anche insistito sulla "valutazione dell'attendibilità del teste (e della) sua stessa ammissibilità", sostenendo di essersi opposta "in ogni circostanza, da ultimo in sede di memorie conclusionali" all'ammissione della testimonianza del marito della D.N.
Prescindendo, per un attimo, dalla genericità dell'eccezione e dall'attendibilità del testimone che risulta confermata dalle circostanze indicate nel paragrafo precedente, osserva la Corte, supponendo che per "ammissibilità" del testimone la parte appellata abbia inteso riferirsi alla sua capacità di testimoniare, che l'eccezione avrebbe dovuto sollevarsi (non nelle memorie istruttorie, né nella comparsa conclusionale, ma) al più tardi nella prima difesa successiva all'assunzione della prova (tra le tante, Cass. n. 18036/2014, n. 20652/2009, n. 403/2006).
Par. 4.3 - Quanto al nesso causale, va ricordato che l'affermazione della responsabilità professionale dell'avvocato, secondo la consolidata giurisprudenza del S.C., pur non implicando una indagine sul sicuro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere diligentemente coltivata dal professionista, comporta comunque l'accertamento della idoneità della condotta a produrli (tra le tante: Cass. n. 9238/2007 e Cass. n. 21894/2004; ma anche Cass.
n. 4044/1994, n. 1286/1998, n. 16846/2005). Ciò significa, evidentemente, che il giudice, partendo dalla condotta (in questo caso commissiva) del professionista deve accertare, senza approssimazioni o incongruenze logiche, la fondata probabilità (c.d. causalità ipotetica) che l'evento dannoso, senza la colposa azione, non si sarebbe prodotto.
L'accertamento del rapporto di causalità ipotetica deve, poi, resistere alla verifica controfattuale che, ipotizzando al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, deve concludersi affermando che, in questo caso, il danno sarebbe stato evitato o grandemente ridotto.

Par. 4.3.1 - Quanto, invece, all'onere della prova, occorre ricordare che al creditore che agisce per l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) è sufficiente la mera allegazione della violazione contrattuale qualificata dalla descrizione delle violazioni (dei doveri accessori, come quello di informazione, ovvero della mancata osservanza dell'obbligo di diligenza), poiché, secondo l'ordinario riparto dell'onere della prova indotto dall'art. 1218 c.c., resta sempre a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento, cioè di aver tenuto un comportamento diligente (così, tra le tante, Cass. n. 11901/2002 e n. 4044/1994; peraltro il medesimo principio è stato espresso inequivocabilmente da numerose pronunce in tema di responsabilità professionale del medico, tra cui vanno ricordate Cass. sez. un. n. 13533/2001, Cass. sez. un. n. 577/2008, Cass. n. 12362/2006; Cass. n. 22894/2005; Cass. n. 10297/2004; Cass. n. 14812/2004).
Par. 4.3.1 - E' dunque evidente l'errore in cui è incorso il primo giudice, ignorando che la sentenza del tribunale di Roma, con cui è stato respinto il ricorso, è motivata proprio con l'impossibilità di portare in esecuzione una fattura commerciale (nozione che, risultando da specifiche disposizioni contenute nel codice di procedura civile, appartiene alla diligenza del professionista di media diligenza e preparazione), e con il mancato ricorso alla procedura di determinazione delle modalità esecutive dei lavori ex art. 612. Si tratta, all'evidenza, di colpa professionale imputabile esclusivamente all'avvocato R. (che predispose il ricorso nell'interesse della D.N.); non certo al suo successore, incaricato a processo era già iniziato.

Par. 4.3.2 - Dal tenore della sentenza impugnata (sopra integralmente trascritta) non si comprende, peraltro, in base a quale principio di diritto il giudice di primo grado abbia ritenuto che la contumacia della D.N. nel giudizio di opposizione avrebbe evitato una condanna alle spese.
E' noto, infatti, che il principio affermato dall'articolo 91 c.p.c., come interpretato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, è posto nel senso esattamente opposto, considerato che la condanna della parte soccombente alle spese processuali, a norma dell'art. 91 cod. proc. civ., non ha natura sanzionatoria, ma è conseguenza obiettiva della soccombenza. Sicché, come scrive la Corte di legittimità, "non rilevano i comportamenti neutri della parte contro cui il giudizio venga promosso quali il restare inerte e non dedurre nulla in contrario all'accoglimento della domanda dell'attore - e sta di fatto che è ritenuto soccombente e merita la condanna al rimborso delle spese processuali il convenuto contumace, oppure il convenuto che, pur avendo riconosciuto la fondatezza della pretesa altrui, non abbia fatto nulla per soddisfarla, si da rendere superfluo il ricorso all'autorità giudiziaria (così, tra le tante, Cass. n. 4485/2001). La condanna alle spese processuali, di cui la D. N. ha chiesto il ristoro, è dunque conseguenza diretta ed immediata della negligenza imputabile al professionista appellato, considerato che una più accorta condotta processuale, consistente nell'evitare la notifica del precetto senza un valido titolo esecutivo e la inevitabile opposizione, avrebbe certamente evitato alla parte assistita, oltre al mancato rimborso delle spese anticipate per le riparazioni, anche la condanna al pagamento delle spese processuali al debitore moroso.
Par. 4.4 - La R. dev'essere pertanto condannata, in accoglimento parziale della domanda in origine presentata dalla D.N., a pagare all'appellante, a titolo di risarcimento del danno, la somma complessiva di Euro 2567,74 per spese processuali rimborsate alla E. sas all'esito del giudizio di opposizione ed Euro 258,23 per spese rimborsate agli avvocati V. e B. subentrati alla R. nel corso del predetto giudizio, per un totale di Euro 2825,97.
Trattandosi di debito di valore, avente carattere risarcitorio, la predetta somma dev'essere aggiornata all'attualità con gli interessi compensativi del danno da ritardato pagamento, secondo i criteri indicati nella nota sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione 17 febbraio 1995, n. 1712 (interessi legali calcolati anno per anno sul capitale rivalutato in base agli indici istat). Il prospetto seguente illustra i criteri seguiti nella rivalutazione.
Capitale Iniziale: Euro 2.825,97 da settembre 2002 a maggio 2015
Capitale riv. tasso giorni interessi
23/09/2002 23/09/2003 Euro 2.896,62 3,00 per cento 365 Euro 86,90
23/09/2003 31/12/2003 Euro 2.950,31 3,00 per cento 99 Euro 24,01
01/01/2004 23/09/2004 Euro 2.950,31 2,50 per cento 267 Euro 53,95
23/09/2004 23/09/2005 Euro 3.004,01 2,50 per cento 365 Euro 75,10
23/09/2005 23/09/2006 Euro 3.063,35 2,50 per cento 365 Euro 76,58
23/09/2006 23/09/2007 Euro 3.111,39 2,50 per cento 365 Euro 77,78
23/09/2007 31/12/2007 Euro 3.227,26 2,50 per cento 99 Euro 21,88
01/01/2008 23/09/2008 Euro 3.227,26 3,00 per cento 267 Euro 70,82
23/09/2008 23/09/2009 Euro 3.232,91 3,00 per cento 365 Euro 96,99
23/09/2009 31/12/2009 Euro 3.280,95 3,00 per cento 99 Euro 26,70
01/01/2010 23/09/2010 Euro 3.280,95 1,00 per cento 266 Euro 23,91
23/09/2010 31/12/2010 Euro 3.382,69 1,00 per cento 99 Euro 9,17
01/01/2011 23/09/2011 Euro 3.382,69 1,50 per cento 266 Euro 36,98
23/09/2011 31/12/2011 Euro 3.487,25 1,50 per cento 99 Euro 14,19
01/01/2012 23/09/2012 Euro 3.487,25 2,50 per cento 267 Euro 63,77
23/09/2012 23/09/2013 Euro 3.512,68 2,50 per cento 365 Euro 87,82
23/09/2013 31/12/2013 Euro 3.509,85 2,50 per cento 99 Euro 23,80
01/01/2014 23/09/2014 Euro 3.509,85 1,00 per cento 266 Euro 25,58
23/09/2014 31/12/2014 Euro 3.512,68 1,00 per cento 99 Euro 9,53
01/01/2015 31/05/2015 Euro 3.512,68 0,50 per cento 151 Euro 7,27
Capitale rivalutato: Euro 3.512,68 Totale Interessi: Euro 912,73 Rivalutazione più Interessi: Euro 1.599,44
Alla somma di Euro 2.825,97 vanno pertanto aggiunti Euro 1.599,44 a titolo di risarcimento del danno derivante dal tardivo pagamento, per un totale di Euro 4.425,41.

Par. 4.5 - La parte appellante ha chiesto alla Corte, oltre al risarcimento del danno patrimoniale, anche il "ristoro del danno esistenziale sofferto dall'attrice come da documentazione medica in atti". Nella memoria di replica, la D.N. ha precisato che il certificato medico prodotto sub doc. 21 dell'atto di citazione, riferito ad uno stato ansioso-depressivo certificato il 11 ottobre 2004 dal dott. M., specialista in igiene e medicina preventiva) costituirebbe prova di un danno alla salute conseguente alla condotta illecita dell'avv. R., risarcibile in via equitativa.
Par. 4.5.1 - La domanda non può essere accolta, considerato che un semplice certificato medico attestante uno stato ansioso (per quanto sopravvenuto nel medesimo periodo) non è sufficiente per dimostrare il nesso causale tra il dedotto inadempimento e l'ipotizzato danno biologico.
Par. 4.6 - L'esistenza di una sentenza di primo grado che, seppure per motivi che la Corte non condivide, ha accolto la tesi della Ra. esclude in radice, a parere del collegio, che possa ravvisarsi nella condotta processuale della parte colpa grave o malafede ai fini di una condanna per responsabilità processuale aggravata.
Par. 6 - Quanto alle spese di lite, va ricordato che, secondo il costante orientamento della Corte di legittimità, il principio della soccombenza va inteso nel senso che "la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l'esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole" (così Cass. n. 406/2008; conformi: Cass. n. 4201/2002, Cass. n. 16012/2002, Cass. n. 12744/2003 e Cass. n. 4854/2007).
Le spese del doppio grado di giudizio seguono, dunque, la soccombenza e si liquidano nel dispositivo secondo le note di spesa depositate nel corso del giudizio dal procuratore della parte appellante.

PQM

La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto contro la sentenza n. 547/2010 del tribunale di Velletri, ogni diversa istanza, deduzione o eccezione disattesa, così provvede:
1. accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, condanna S.R. a pagare a D.N. la somma di Euro 4.425,41, oltre agli interessi legali decorrenti su detta somma dalla presente sentenza sino all'effettivo pagamento;
2. condanna S.R. a rimborsare alla parte appellata le spese del doppio grado di giudizio liquidate in Euro 3066,99 per il primo grado ed in Euro 2.775,00 per il secondo grado, oltre a spese generali ed oneri accessori di legge, da distrarsi in favore dell'avvocato J.T., procuratore dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma il 22 giugno 2015.
Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2015.


 

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