REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Milano nella persona del giudice dott. Patrizio Gattari ha pronunciato la seguente
sentenza
nella causa civile iscritta al n. 48433/2012 R.G. promossa
da
K.B., elettivamente domiciliata in Milano, via ____, presso lo studio dell'avv. R.G. e rappresentata e difesa per delega in atti dall'avv. P.R.
attore
contro
D.P., elettivamente domiciliata in Milano, viale ____, presso lo studio dell'avv. L.B., che la rappresenta e difende per delega in atti
convenuto
con l'intervento di
Du. in persona del legale rappresentante pro - tempore, elettivamente domiciliato in Milano, via ____, presso lo studio degli avv.ti V.R. e S.S. che la rappresentano e difendono per delega in atti
terzo chiamato
Oggetto: responsabilità professionale avvocato risarcimento danni.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 29.06.2012 K.B. conveniva in giudizio l'avv. D.P. per sentirla condannare al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità per inadempimento.
L'attrice esponeva: di aver conferito mandato professionale all'avv. P. al fine di assisterla per la tutela giudiziale e stragiudiziale dei propri diritti e del figlio minore Ru. a seguito della cessazione della relazione affettiva con l'ex convivente, sig. E.B., padre del minore; che l'avv. P. avrebbe tenuto varie condotte negligenti e manchevoli nell'esecuzione del mandato conferitole ed avrebbe violato gli obblighi deontologici di lealtà e correttezza; che da tali condotte inadempienti erano derivati danni patrimoniali e danni non patrimoniali. In particolare, con riguardo al procedimento instaurato innanzi al Tribunale per i minorenni di Milano (procedimento introdotto dalla B. e volto ad ottenere l'affidamento del figlio minore e la assegnazione della casa familiare), l'attrice si doleva di inadempimenti consistiti: in una carente e lacunosa difesa dei propri diritti, per la mancata produzione di materiale fotografico fornito al legale e ritenuto necessario per comprendere lo stato della casa familiare da assegnare; nella mancata proposizione del reclamo avverso il provvedimento definitivo del Tribunale per i minorenni nei termini di legge. Inoltre, con riferimento ad altro procedimento instaurato ai sensi dell'art. 342 bis c.c. innanzi al Tribunale di Monza sez. distaccata di Desio (nel quale l'odierna attrice era stata convenuta dall'ex convivente), la B. lamentava un inadempimento del mandato per violazione dei doveri di correttezza e lealtà previsti dal codice deontologico allorché la professionista convenuta aveva abbandonato la predetta causa ex art. 309 c.p.c. senza un previo accordo con l'attrice; a detto comportamento, secondo quanto asserito dalla B., sarebbe conseguito un danno patrimoniale consistito nella mancata rifusione delle spese di lite in suo favore e nella mancata condanna per lite temeraria dell'ex convivente ricorrente.
Sulla base di tali premesse l'attrice chiedeva in via principale di dichiarare la responsabilità professionale della convenuta e condannarla al risarcimento dei danni patiti indicati in complessivi Euro 50.000,00; in via subordinata chiedeva la condanna al risarcimento del danno emergente pari alla restituzione di tutte le parcelle sino a quel momento pagate per un importo complessivo di Euro 5.616,00; di dichiarare non dovuto l'importo di cui alla parcella del 30.06.2011 emessa dal difensore; in via ulteriormente subordinata l'attrice chiedeva, in relazione al procedimento instaurato innanzi al Tribunale di Monza, la condanna della convenuta alla restituzione all'attrice dell'importo chiesto quale integrazione per il predetto procedimento pari ad Euro 2.808,00; in ogni caso, domandava la compensazione dei crediti azionati con le somme che eventualmente fossero risultate dovute alla convenuta.

Si costituiva tempestivamente l'avv. D.P. chiedendo preliminarmente l'autorizzazione alla chiamata in causa della Du.; nel merito, contestava quanto dedotto da parte attrice, ritenendo infondate le domande e ne chiedeva il rigetto; in particolare, la convenuta deduceva che nessuna negligenza poteva esserle imputata avendo ella agito per la tutela dei diritti della cliente, adottando le scelte processuali che meglio rispondevano alla tutela degli interessi di quest'ultima; quanto alla asserita mancata proposizione del reclamo avverso il provvedimento definitivo del Tribunale per i minorenni, la convenuta contestava la asserita tardività dell'impugnazione e deduceva che la cliente aveva revocato il mandato al difensore prima della scadenza del termine per proporre reclamo. Con riferimento, invece, alla doglianze relative alla mancata comunicazione alla B. della decisione di far cancellare dal ruolo ex art. 309 c.p.c. la causa incardinata dal sig. Br. innanzi al Tribunale di Monza l'avv. P. deduceva: in primo luogo, che l'attrice era a conoscenza ed aveva prestato il proprio consenso alla scelta di far estinguere il predetto procedimento; in secondo luogo, deduceva l'assenza di prova del nesso di causalità giuridica nella produzione del danno ritenendo altamente probabile un provvedimento di compensazione delle spese di lite tra le parti in considerazione della natura degli interessi in conflitto. L'avv. P. proponeva inoltre domanda riconvenzionale chiedendo la condanna dell'attrice al pagamento del saldo dei compensi dovuti per l'opera prestata con riferimento al procedimento innanzi al Tribunale per i Minorenni di Milano, così come da parcella del 30.06.2011 per un totale di Euro 2.123,55.

Autorizzata la chiamata dell'assicuratore, si costituiva la Du. contestando le domande di parte attrice in quanto infondate in fatto ed in diritto e chiedendone il rigetto. Con riferimento al contratto di assicurazione intercorso con l'avv. P., la compagnia assicurativa deduceva che la garanzia invocata dalla convenuta era stata prestata con una franchigia pari al 10% dell'importo di ogni sinistro e che non era compresa nell'oggetto dell'assicurazione la restituzione degli importi relativi al compenso delle prestazioni professionali che avevano dato luogo al sinistro; per tali ragioni, nell'ipotesi di accoglimento delle domande attoree, la terza chiamata chiedeva di contenere la condanna al netto della franchigia suddetta e con esclusione delle somme pretese a titolo di restituzione.

L'istruttoria si è articolata nella acquisizione dei documenti prodotti e nella escussione delle prove testimoniali ammesse con ordinanza del 6.12.2013; quindi sulle conclusioni sopra indicate la causa veniva trattenuta in decisione concedendo i termini ordinari ex art. 190 c.p.c.

Motivazione

La domanda di risarcimento del danno
La domanda dell'attrice è infondata e deve essere rigettata per i motivi che seguono.
I fatti costitutivi dedotti attengono alla responsabilità per inadempimento (ex art. 1218 e 1176 comma 2 c.c.) del contratto d'opera professionale stipulato tra K.B. e l'avv. P. ed avente ad oggetto l'assistenza tecnica giudiziale e stragiudiziale dell'attrice nell'ambito della vicenda relativa alle conseguenze della cessazione della convivenza more uxorio con tale sig. B. dalla quale è nato il Ru. B.
Pacifico e non contestato è il conferimento da parte dell'attrice del mandato professionale di assistenza giudiziale e stragiudiziale all'avv. P. avente ad oggetto quanto dedotto nell'atto di citazione.

Giova premettere alcuni principi in ordine alla responsabilità professionale dell'avvocato.
In via generale, le obbligazioni inerenti l'esercizio dell'attività professionale di avvocato sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità, rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per il cliente, ma le modalità concrete con le quali il professionista avvocato ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente e, dall'altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui è tenuto (cfr. Cass. 05/08/2013 n. 18612; Cass. 18/04/2011 n. 8863; Cass. 27/03/2006 n. 6967).
In particolare l'avvocato è tenuto ad espletare il proprio mandato in conformità al parametro di diligenza fissato dall'art. 1176 comma 2 c.c. che è quello del professionista di media attenzione e preparazione, qualificato dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta, salva l'applicazione dell'art. 2236 c.c. nel caso di prestazioni implicanti la risoluzione di problematiche tecniche di particolare difficoltà.
Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che: "la responsabilità professionale dell'avvocato deriva dall'obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 cod. civ.) di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti; a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole" (Cass. 24544/2009).

Deve infatti osservarsi che il contratto d'opera in esame è caratterizzato da una forte componente fiduciaria, con la necessaria conseguenza che l'assistito rimette al suo difensore le scelte che quest'ultimo è tenuto ad espletare, con gli strumenti e le strategie difensive che ritiene più opportuni, purché siano volte a tutelare le ragioni della parte.
Come ha confermato la Corte di Cassazione "l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del cliente in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave(cfr. Cass. 11/08/2005 n. 16846).

Quanto poi al riparto dell'onere probatorio, il cliente che sostiene di aver subito un danno per l'inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, ha l'onere di provare l'avvenuto conferimento del mandato difensivo, di dedurre la difettosa o inadeguata prestazione professionale, di provare l'esistenza del danno e il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno (Cfr. Cass. 18/04/2007 n. 9238).

L'inadempimento dedotto.
Quanto ai profili di inadempimento dedotti dall'attrice per chiarezza espositiva occorre distinguere quelli allegati in relazione al procedimento svoltosi innanzi al Tribunale per i Minorenni di Milano, nel quale l'attrice era ricorrente, da quelli dedotti in relazione al procedimento incardinato innanzi al Tribunale di Monza sez. distaccata di Desio, nel quale, invece, l'attrice era stata convenuta in giudizio dall'ex convivente B.

Procedimento davanti al Tribunale per i Minorenni di Milano
Con riguardo a tale procedimento, l'attrice deduce: una carente e lacunosa difesa dei propri diritti, la mancata produzione da parte della convenuta di materiale fotografico fornito dalla medesima attrice e ritenuto da costei necessario per comprendere la struttura della casa familiare da assegnare (essendo in contestazione la destinazione d'uso del piano terra della stessa); una non corretta comprensione da parte dell'avv. P. della struttura di tale immobile; inoltre l'attrice afferma di essere stata lasciata "psicologicamente sola" dal proprio difensore.
Tali allegazioni risultano in massima parte generiche e si caratterizzano per essere accompagnate da valutazioni - sul fatto che la convenuta sia o meno un buon avvocato - del tutto ininfluenti ai fini dell'accertamento dell'inadempimento del contratto d'opera di cui si discute.
Venendo al contestato specifico riferimento alla mancata produzione del materiale fotografico relativo al piano terra della casa familiare oggetto di contesa tra gli ex conviventi, deve osservarsi come essa rispondesse ad una deliberata e consapevole scelta difensiva dell'avv. P., posta in essere al fine di tutelare gli interessi della propria assistita, poiché - come anche dedotto dalla convenuta dalle fotografie in questione non sembra potesse evincersi un uso dei locali posti al piano terra dell'abitazione familiare esclusivamente abitativo, essendo presente un arredo compatibile anche con l'uso ufficio (dedotto dalla controparte). Pertanto, a fronte della accesa conflittualità che si registrava tra l'attrice ed il suo ex convivente e della incertezza sull'effettivo esito della assegnazione del piano terra della casa familiare (anche alla luce delle prescrizioni date all'udienza del 17.10.2010 dal giudice, che aveva invitato le parti a non usare temporaneamente i predetti locali), non vi sono elementi per poter affermare che la convenuta abbia agito senza tutelare preminentemente gli interessi della propria assistita.
Pertanto, nessun rilevante inadempimento è ravvisabile in merito alla suddetta condotta difensiva dell'avv. P. lamentata dall'odierna attrice.

Con riguardo all'ulteriore profilo di inadempimento dedotto dalla B. e relativo alla mancata tempestiva proposizione del reclamo avverso il provvedimento definitivo del Tribunale per i minorenni di Milano del 21.06.2011, il Tribunale ritiene parimenti che esso sia insussistente per le seguenti ragioni. E' incontroverso che avverso il suddetto provvedimento definitivo, di affidamento alla attrice del figlio minore Ru. e di assegnazione alla medesima della casa familiare con esclusione del locale a piano terra, non è stato proposto reclamo principale ex art. 739 c.p.c. nel termine dei dieci giorni da parte della ricorrente Be. per il tramite del suo difensore avv. P.
Trattasi certamente di una prestazione che astrattamente la professionista convenuta era tenuta ad adempiere - in quanto oggetto del mandato difensivo - dal momento che la cliente intendeva dolersi della mancata assegnazione da parte del giudice minorile dell'intero piano terreno della abitazione e che è rimasta inadempiuta. Tuttavia, affinché possa addivenirsi ad una statuizione di responsabilità professionale dell'avvocato ai sensi dell'art. 1218 e 1176 comma II c.c., non è sufficiente la prova della condotta inadempiente della professionista ma è necessaria la sussistenza in concreto degli altri elementi della fattispecie - ovverosia del danno e del nesso di causalità tra i primo e la condotta inadempiente - che come detto il cliente ha l'onere di provare.

Ebbene, nel caso di specie non vi è prova di un danno causalmente collegato alla condotta di inadempimento suddetta.
Infatti, l'interesse della B. alla impugnazione del provvedimento parzialmente sfavorevole è stato in ogni caso soddisfatto mediante la proposizione del reclamo incidentale - sia pure con l'assistenza di un altro difensore per scelta della parte - nel quale l'attrice ha potuto far valere le proprie ragioni e contestare il provvedimento di primo grado, ottenendone la riforma in senso a lei totalmente favorevole; pertanto, nessun pregiudizio alle ragioni della B. è derivato dal mancato proponimento del reclamo principale.

Va anche detto che nella scelta difensiva di proporre o meno una impugnazione, il professionista è anche tenuto a valutarne l'opportunità in relazione all'intero contenuto del giudizio: nel caso di specie la B. era risultata pressoché totalmente vittoriosa nel procedimento di primo grado (se si esclude la mancata assegnazione del locale al piano terreno dell'abitazione) e la proposizione del reclamo principale da parte sua avrebbe ragionevolmente provocato l'impugnazione incidentale della controparte sulle statuizioni che l'avevano vista soccombente (tant'è che poi come detto il reclamo è stato proposto dal Br.). Pertanto anche la doglianza relativa alla mancata proposizione del reclamo principale da parte dell'avv. P. risulta infondata e l'attrice non prospetta neppure di aver subito un qualche pregiudizio (invero neppure ipotizzabile) dal fatto che ha ottenuto l'auspicata riforma del provvedimento di assegnazione della casa solo a seguito di reclamo incidentale.

Il procedimento davanti al Tribunale di Monza
Anche in relazione a tale procedimento, l'attrice deduce genericamente condotte difensive negligenti e lacunose asseritamente poste in essere dalla convenuta, addebitando alla stessa una cattiva difesa dei propri diritti. In merito a tali deduzioni ci si limita a richiamare quanto detto nei paragrafi precedenti circa l'oggetto del presente giudizio e la tipologia del sindacato che spetta al giudice adito, tenuto a valutare esclusivamente specifiche condotte negligenti, imperite, che non siano volte a tutelare gli interessi del proprio assistito e idonee a causare un danno; il giudice non è tenuto, si ribadisce, ad esprimere un giudizio sulle capacità professionali o sulla opportunità delle scelte fatte dal legale convenuto nell'esercizio del proprio mandato difensivo, attenendo questi aspetti al carattere fiduciario del vincolo contrattuale.

Tanto premesso, l'unico profilo di inadempimento sufficientemente specifico dedotto dalla B. e che deve essere esaminato è quello attinente all'asserito abbandono da parte della convenuta del procedimento innanzi al Tribunale di Monza, senza il previo accordo con l'attrice; da tale condotta, secondo quanto sostenuto dall'attrice, sarebbe derivato un danno patrimoniale consistito nella mancata rifusione delle spese legali, sull'assunto della probabile soccombenza dell'ex convivente, ricorrente in quel processo; un ulteriore profilo di danno derivato dalla scelta non condivisa di far estinguere il procedimento ex art. 309 c.p.c., viene individuato dall'attrice nella impossibilità di ottenere una condanna del ricorrente per la temerarietà della lite ex art. 96 c.p.c.
Occorre preliminarmente osservare che in base a quanto emerge dai documenti prodotti dalle parti e dalla deposizione dei testi di parte convenuta (avv. C. e sig.ra F.B.), risulta che l'attrice, diversamente da quanto sostenuto, era a conoscenza della scelta processuale di far estinguere il procedimento per mancata comparizione delle parti ai sensi dell'art. 309 c.p.c. (vd verbale del 1.04.2014 e docc. nn. 24 e 25 di parte attrice); infatti, dalle prove acquisite è emerso che, l'accesa conflittualità degli ex conviventi, i prevedibili costi per una nuova causa da affrontare, unitamente alle sollecitazioni in tal senso da parte dell'organo giudicante, avevano indotto l'avv. P. a proporre alla sua cliente di abbandonare il procedimento e che la proposta veniva accettata dalla B., se pure a malincuore, sperando di ottenere stragiudizialmente dall'ex convivente le spese legali già sostenute.
Quanto poi ai profili di danno dedotti occorre, parimenti, dare atto della infondatezza di quanto sostenuto da parte attrice.
E' opportuno a tale scopo precisare sinteticamente i principi espressi dalla Corte di Cassazione in tema di risarcibilità dei danni per inadempimento del mandato difensivo, principi del tutto condivisi da questo giudice; la Corte ha affermato che: "ove anche risulti provato l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito" (tra le altre, Cass. n. 22026/04, Cass. n. 10966/04, Cass. n. 21894/04, Cass. n. 6967/06, Cass. n. 9917/2010).
Nel caso di specie come detto l'attrice sostiene che a causa della estinzione del procedimento suddetto avrebbe subito un danno consistito nella mancata condanna della controparte al risarcimento del danni ex art. 96 c.p.c.; secondo la prospettazione della B. se quel processo non si fosse estinto si sarebbe addivenuti certamente ad una condanna dell'ex convivente Br. ai sensi dell'art. 96 c.p.c. per la natura temeraria della causa da costui intentata. Tale argomentazione non può essere condivisa perché dall'esame della memoria difensiva depositata innanzi al Tribunale di Monza non risulta alcuna domanda in tal senso e l'attrice non si duole affatto della mancata proposizione della domanda ex art. 96 c.p.c., ma solo della astratta possibilità che la stessa sarebbe stata accolta ove il procedimento si fosse concluso con sentenza. Questo assunto non è condivisibile in quanto non si vede come possa essere probabile, sia pur astrattamente, l'accoglimento di una domanda che non è neanche stata formulata.
Inoltre, l'attrice deduce, quale ulteriore voce di danno conseguente all'asserito inadempimento della convenuta, la mancata rifusione delle spese di lite del suddetto procedimento da parte del ricorrente, ritenendo come altamente probabile che la causa si sarebbe conclusa con una sentenza di condanna della sua controparte, stante l'asserita pretestuosità ed infondatezza del ricorso; per tali ragioni Be. chiede che l'avv. Pe restituisca quanto versato a titolo di acconto (Euro 2.808,00) e che venga dichiarato che nulla è più dovuto alla professionista in relazione al mandato inadempiuto.
Ebbene, dalla stessa riferita prospettazione emerge che l'attrice confonde due profili della vicenda che invece vanno tenuti ben distinti. In particolare, un primo aspetto è quello relativo alla possibile statuizione che si sarebbe avuta sulle spese in caso di soccombenza del ricorrente se il giudizio in esame non si fosse estinto, mentre altro e diverso profilo (che sarà specificamente esaminato nella parte motiva relativa alle domande di restituzione avanzate dall'attrice) è quello che attiene al rapporto contrattuale interno tra la cliente B. e l'avv. P. i cui aspetti patrimoniali sono regolati dalle norme sui contratti in generale e sul contratto d'opera professionale in specie.
Con riferimento al primo dei punti enunciati, in via generale, occorre premettere che la soccombenza di una parte non necessariamente conduce alla condanna (accessoria) della stessa parte a rifondere le spese di lite ex art. 91 c.p.c., ben potendo il giudice ai sensi dell'art. 92 c.p.c. ravvisare ragioni per compensare le spese di lite fra le parti; ciò premesso, e pur volendo ritenere astrattamente probabile la soccombenza del ricorrente - (ex convivente dell'attrice) nel giudizio ex art. 342 bis c.c. incardinato davanti al Tribunale di Monza, la natura degli interessi in conflitto, il
pregresso rapporto di convivenza more uxorio e l'accesa conflittualità delle parti derivata dal venir meno della convivenza da cui era nato il (...) minore, fanno ritenere che, sulla base di un giudizio prognostico, le spese di lite sarebbero state con molta probabilità compensate dal giudice, come peraltro era già avvenuto all'esito del primo procedimento (quello davanti al Tribunale per i minorenni) relativo all'affidamento del figlio minore e all'assegnazione della casa familiare.
In conclusione, per quanto sin qui esposto deve essere rigettata la domanda principale di condanna al risarcimento del danno per inadempimento del contratto d'opera professionale quantificato in complessivi Euro 50.000,00 proposta dall'attrice nei confronti dell'avv. P.
Per le medesime ragioni risulta all'evidenza infondata la domanda risarcitoria pure avanzata dall'attrice in qualità di esercente la potestà sul figlio minore Ru. Br.

Le domande di restituzione avanzate dall'attrice in via subordinata ed ulteriormente subordinata.
Nell'affrontare l'esame delle domande di restituzione degli importi che la B. ha versato alla professionista convenuta in base al contratto d'opera, è opportuno riepilogare il quadro normativo e giurisprudenziale in tema di recesso dal contratto d'opera professionale ex art. 2237 c.c. e di risoluzione del contratto ex art. 1453 e ss. c.c.
Ai sensi dell'art. 2237 comma 1 c.c. il cliente può recedere dal contratto rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta.
Trattasi di un diritto potestativo il cui esercizio è riconosciuto in capo al cliente proprio in ragione della natura eminentemente fiduciaria del rapporto
, essendogli consentito di sciogliersi dal vincolo contrattuale senza necessità che sussista una giusta causa; gli effetti del recesso sono ex nunc e, pertanto, il cliente è sempre tenuto al pagamento dei compensi dovuti per l'opera svolta dal prestatore sino alla data del recesso, mentre non è obbligato al pagamento dei compensi per l'attività non ancora espletata dal professionista al momento del recesso. Nel caso di specie, come riconosciuto negli scritti difensivi dall'attrice, la B. ha effettivamente esercitato il suo diritto di recesso, revocando il mandato difensivo alla professionista con lettera raccomandata spedita a mani in data 25.11.2011 (doc. n. 1 del convenuto). Ora, poiché la convenuta ha svolto la sua attività difensiva nell'interesse della B. sino al giugno 2011 - la quale come detto ha esercitato il recesso solo nel novembre 2011 - l'attrice è tenuta al pagamento dei compensi pattuiti a norma del citato art. 2237 comma 1 c.c. ultimo inciso, in base al quale il cliente, nonostante il recesso ad nutum, è obbligato a pagare al professionista il compenso per l'opera che è stata svolta (oggetto della domanda riconvenzionale di cui si dirà).
Contrariamente a quanto sembra ritenere l'attrice, per effetto del recesso dal contratto d'opera professionale il cliente non può utilmente invocare nessun diritto alla restituzione di quanto pagato in esecuzione di tale contratto (ed è invece tenuto a pagare il corrispettivo ancora dovuto per l'opera svolta). La restituzione di quanto pagato avrebbe potuto eventualmente conseguire alla risoluzione del contratto per inadempimento della professionista ai sensi dell'art. 1458 c.c.; come noto, ai sensi degli artt. 1453 e ss c.c., ove sussistono i presupposti può ottenersi una pronuncia costitutiva di scioglimento del vincolo contrattuale e, conseguentemente, a fronte di espressa richiesta anche la restituzione degli importi versati in costanza di rapporto, stante gli effetti ex tunc tra le sole parti della risoluzione.
E' pacifico in giurisprudenza che la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente, separatamente o indipendentemente dalla domanda di risoluzione, giacché il citato art. 1453 c.c., facendo salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno, esclude che l'azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell'azione di risoluzione del contratto (ex multis Cass. 24/11/2010 n. 23820; Cass. 27/10/2006 n. 23723; Cass. 11/6/2004 n. 11103; Cass. 23/7/2002 n. 10741).
Nel caso di specie, la B. non ha in alcun modo domandato la risoluzione del contratto d'opera intellettuale stipulato con l'avv. P., né espressamente né implicitamente (sulla base di una interpretazione complessiva dell'atto introduttivo come richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione), ma si è limitata a chiedere solo il risarcimento dei danni (pretesa come si è visto infondata) oltre che la restituzione di cui si discute.
Peraltro, che nel caso concreto l'attrice non ha inteso neppure implicitamente invocare la risoluzione del contratto d'opera risulta chiaro dal fatto che la stessa parte deduce di aver revocato il mandato alla professionista convenute e, quindi, il venir meno degli effetti del contratto.
Devono pertanto essere rigettate le domande di restituzione proposte dall'attrice perché infondate.

La domanda riconvenzionale
La convenuta ha proposto domanda riconvenzione chiedendo la condanna dell'attrice al pagamento dell'importo di Euro 1.500,00 oltre accessori di legge (per un importo totale di Euro 2.123,00) risultante dalla fattura del 30.06.2011 (doc. 35 di parte attrice) emessa a saldo di quanto dovuto per l'attività difensiva svolta nel procedimento davanti al Tribunale per i Minorenni di Milano (per il quale la B. aveva già versato Euro 2000,00 come da fattura del 30.05.2010 - doc. 1 dell'attore).
La domanda è fondata e merita accoglimento.
Come si è ampiamente argomentato sopra, l'attrice ha esercitato il diritto di recesso ex art. 2237 comma 1 c.c. dal contratto d'opera professionale intercorso con l'avv. P.
Ai sensi della norma citata il cliente che recede è obbligato al pagamento del compenso per l'opera svolta dal prestatore, atteso l'effetto ex nunc del recesso.
Poiché come detto la convenuta ha svolto l'attività difensiva oggetto di mandato sino al giugno del 2011 e il recesso della cliente è avvenuto nel novembre successivo, l'importo indicato nella fattura suddetta emessa dall'avv. P. deve essere pagato dalla Be. in quanto corrispondente ai compensi maturati dalla professionista per attività espletata prima del recesso.
Peraltro, va precisato che il compenso preteso attiene all'attività difensiva svolta dall'avv. P. nel procedimento davanti al Tribunale per i minorenni, rispetto al quale, come si è visto, non sussiste nessun inadempimento imputabile alla professionista.
La domanda riconvenzionale dell'avv. P. deve essere accolta in quanto fondata e va quindi condannata l'attrice a pagare la somma complessiva di Euro 2.123,55.
Trattandosi di debito di valuta, come tale soggetto al principio nominalistico, sulla somma suddetta competono alla creditrice gli interessi moratori che tuttavia non possono esserle riconosciuti come richiesto al tasso previsto dal D.lvo 231/2002, in quanto nel caso concreto il debitore è un consumatore. Gli interessi sono dovuti dalla debitrice al tasso legale e con decorrenza dal 25.11.2011, data (del recesso) in cui il credito in questione è divenuto esigibile.

Sulle spese di lite
In base alla soccombenza (art. 91 c.p.c.) l'attrice va condannata a rifondere le spese di lite in favore della convenuta e del terzo chiamato, liquidate come in dispositivo.

PQM

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando nella causa promossa, con atto di citazione notificato in data 29.06.2012, da K.B. nei confronti di D.P. e con l'intervento del terzo chiamato Du., nel contraddittorio delle parti, contrariis reiectis così provvede:
1) rigetta le domande avanzate da K.B.;
2) condanna K.B. a pagare a D.P. la somma di Euro 2.123,55 oltre interessi al tasso legale dal 25.11.2011 al saldo;
3) condanna K.B. a rifondere le spese di lite in favore della convenuta D.P., liquidate in complessivi Euro 7.395,00, di cui Euro 895,00 per esborsi ed Euro 6.500,00 per compensi, oltre oneri accessori come per legge;
4) condanna Ka.Be. a rifondere le spese di lite in favore del terzo chiamato Du., liquidate in complessivi Euro 6.990,00, di cui Euro 490,00 per esborsi ed Euro 6.500,00 per compensi, oltre oneri accessori come per legge.
Così deciso in Milano il 2 aprile 2015.
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2015.


 

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