REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATUCCI Alfonso - Presidente -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. ARMANO Uliana - Consigliere -
Dott. STALLA Giacomo Maria - rel. Consigliere -
Dott. LANZILLO Raffaella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17409-2008 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 11, presso lo studio dell'avvocato DE BONIS MARCO, rappresentato e difeso dall'avvocato FRANCO DOMENICO giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
UNICREDITO BANCA SPA nuova denominazione assunta dal CREDITO EMILIANO SPA in persona della Dott.ssa B.N.R., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE B. BUOZZI 77, presso lo studio dell'avvocato TORNABUONI FILIPPO, rappresentata e difesa dall'avvocato LATERZA PAOLO giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
e contro
CREDIT FACTORING INTERNATIONAL SPA, D.V.C.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 1350/2007 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 28/12/2007, R.G.N. 1621/2001;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;
udito l'Avvocato DOMENICO FRANCO;
udito l'Avvocato FILIPPO TORNABUONI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Nel maggio 1992 il Credito Italiano spa conveniva in giudizio, avanti al tribunale di Trani, D.V.C. e M.A., chiedendo che venisse dichiarato simulato, o comunque inefficace nei suoi confronti ex art. 2901 cod. civ., l'atto 23 gennaio 92 con il quale la prima aveva concesso ipoteca volontaria, su tutti gli immobili di sua proprietà, a favore del secondo (suo cognato). Ciò sul presupposto di essere creditore nei confronti della D.V. (fideiubente del marito B.L.) per l'importo di L. 1.297.621.653, come portato da due decreti ingiuntivi del 10 gennaio e del 6 febbraio 92 (quest'ultimo provvisoriamente esecutivo).
Nella costituzione in giudizio dei convenuti - e previo intervento volontario di Unicredit Factoring spa che si associava alle domande della banca attrice, in quanto anch'essa creditrice nei confronti della D.V. per l'ulteriore importo di L. 860 milioni, portato da decreto ingiuntivo 29 luglio 92 - veniva emessa la sentenza n. 780 del 25 maggio 2001 con la quale il tribunale di Trani accoglieva la domanda di revocatoria ordinaria, dichiarando l'inefficacia nei confronti dei creditori procedenti dell'atto notarile di costituzione di ipoteca intercorso tra la D.V. ed il M. il 23 gennaio 92.
Interposto gravame, veniva emessa la sentenza n. 1350 del 20 dicembre 2007, con la quale la corte di appello di Bari confermava la decisione del primo giudice in ordine alla inefficacia ex art. 2901 cod. civ. dell'atto in questione.
Avverso tale sentenza viene dal M. proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, ai quali resiste con controricorso Unicredit Banca spa (nuova denominazione del Credito Italiano spa).
Gli intimati Unicredit Factoring spa e D.V. non hanno svolto attività difensiva. E' stata depositata memoria ex art. 378 cod. proc. civ. da parte del ricorrente.

Motivazione

p. 1.1 Con il primo motivo di ricorso, il M. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)). Ciò perchè la corte di appello, dopo aver rigettato la sua eccezione di nullità dell'atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell'oggetto della domanda di revoca, aveva confermato la revoca stessa con riguardo all'atto costitutivo di ipoteca volontaria, nonostante che quest'ultimo atto non fosse mai stato contemplato nella domanda attorea.

p. 1.2 Il motivo è infondato.
Nelle conclusioni dell'atto di citazione, il Credito Italiano aveva chiesto la dichiarazione di nullità, ovvero di inefficacia ex art. 2901 cod. civ., delle iscrizioni ipotecarie eseguite sulla base degli atti menzionati in narrativa. Nella narrativa del medesimo atto introduttivo, la banca richiamava appunto non già l'iscrizione ipotecaria in quanto tale, bensì l'atto notarile 23 gennaio 92 con il quale la D.V. aveva costituito ipoteca volontaria sui propri beni immobili. Come precisato dalla corte di appello con affermazione non specificamente censurata sul punto (sent. pag. 7), l'oggetto della domanda era chiaramente identificato anche con riguardo alle produzioni di parte attrice, dal momento che l'atto costitutivo di ipoteca menzionato in citazione risultava "come da documento n. 2) dell'elenco riportato nel fascicolo di parte di primo grado, in calce al quale vi è la sottoscrizione del competente cancelliere ed il timbro di deposito in data 9 giugno 92". Non viene d'altra parte dedotto dal ricorrente che il contraddittorio nei giudizi di merito sia stato inficiato - seppur in minima parte, ovvero in via anche soltanto potenziale - dalla dedotta incertezza sull'oggetto della domanda, invece univocamente enucleabile per causa petendi e petitum. Il che induce a senz'altro escludere che i convenuti abbiano potuto subire, sotto questo profilo, qualsivoglia menomazione del proprio diritto di difesa; avendo del resto essi ampiamente interloquito, in fatto ed in diritto, sui presupposti di revoca dell'atto costitutivo di ipoteca rettamente ed immediatamente individuato.
Ciò esclude, al contempo, sia il dedotto vizio di nullità dell'atto di citazione, essendosi ben lontani dall'assoluta incertezza dell'oggetto della domanda ex art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4 - ex art. 164 cod. proc. civ. (Cass. 15.5.13 n. 11751; 28.8.09 n. 18783; 7.3.06 n. 4818 ed altre); sia la lamentata ultrapetizione, essendo di immediata evidenza, sul piano logico-giuridico e su quello della valutazione sostanziale del risultato pratico perseguito dalla parte, che in tanto le iscrizioni ipotecarie potevano risultare inefficaci, in quanto fossero venuti meno, in forza della richiesta pronuncia, gli effetti dell'atto costitutivo del quale esse costituivano mera emanazione attuativa.

p. 2.1 Con il secondo motivo di ricorso, il M. lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2901 c.c., comma 1, n. 2), nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, poichè la corte di appello aveva omesso di accertare la conoscenza in capo ad esso ricorrente del pregiudizio asseritamente arrecato dall'atto ai creditori della D.V.
Accertamento reso necessario dal fatto che l'atto costitutivo di ipoteca in oggetto, posto in essere dalla D.V. a fronte di una congrua dilazione del debito cambiario di quest'ultima nei suoi confronti, doveva reputarsi a titolo oneroso per gli effetti di cui all'art. 2901 c.c., comma 1, n. 2 cit..

p. 2.2 Anche questa censura è infondata.
Dallo stesso motivo di ricorso emerge (pag. 9) che il M. sostenne l'onerosità dell'atto - con conseguente necessità di prova del suo stato soggettivo - soltanto "a pag. 6 e 7 della comparsa conclusionale in appello del 12 settembre 2006"; il che spiega perchè la corte di appello, sul presupposto della pacifica gratuità dell'atto, si sia soffermata unicamente sulla consapevolezza del pregiudizio in capo alla D.V., non anche al ricorrente.
In ogni caso, la valutazione della fattispecie da parte de giudice di merito in termini di atto a titolo gratuito e, conseguentemente, la sussunzione della fattispecie concreta nel rispondente regime probatorio ex art. 2901 cod. civ. di indifferenza dello stato soggettivo del terzo, deve ritenersi corretta; dal momento che l'ipoteca volontaria venne dalla D.V. costituita non contestualmente, ma successivamente, al sorgere del suo debito cambiario nei confronti del M. (con conseguente venir meno della presunzione di onerosità ex art. 2901 c.c., comma 2). Quanto all'elemento di onerosità-corrispettività asseritamente individuabile nella dilazione di pagamento del debito cambiario in questione, deve affermarsi che la pattuizione di tale dilazione (quand'anche provata) non attingerebbe la causa dell'accordo di garanzia, ma unicamente un motivo di esso; come tale irrilevante al fine di individuare il corrispondente regime probatorio, che trova proprio e soltanto nella causa negoziale il proprio discrimine.
Ricorre in particolare quanto già ritenuto (con riguardo alla revocatoria fallimentare, ma sulla base di un ragionamento confacente anche alla revocatoria ordinaria) da Cass. n. 2325 del 02/02/2006 e da Cass. n. 11093 del 11/06/2004; secondo cui, in analoga fattispecie di concessione di garanzia a fronte di dilazione, il negozio, quand'anche apparentemente oneroso quanto al motivo, deve invece considerarsi gratuito quanto alla causa, unico aspetto rilevante.

p. 3.1 Con il terzo motivo di ricorso, il M. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2901 cod. civ. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per la controversia; dal momento che la corte di appello aveva ritenuto provata la scientia damni in capo alla D.V. sulla base di elementi indiziari "inesistenti ed inconsistenti", anche perchè basati su risultanze documentali non adeguatamente riscontrate.

p. 3.2 Il motivo è inammissibile perchè privo del quesito riepilogativo, così come prescritto, appunto "a pena di inammissibilità", dall'art. 366 bis cod. proc. civ., qui applicabile ratione temporis.
In particolare, se ciò è vero per il quesito di diritto che deve necessariamente conchiudere la censura di violazione normativa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), lo è altrettanto per il quesito di fatto che deve invece condensare la doglianza per vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n.5) cit..
Va in proposito riaffermato (in accordo, da ultimo, con Cass. 19.11.13 n. 25903, ma sulla scorta di un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale: tra le altre, Cass., 16 luglio 2007, n. 16002; Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., 30 dicembre 2009, n. 27680; Cass., 18 novembre 2011, n. 24255) che il quesito c.d. "di fatto" (o altrimenti detto "momento di sintesi") è volto ad indicare chiaramente, in modo sintetico, evidente ed autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, cosi come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. A tal fine necessita, secondo il paradigma normativo, la enucleazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso nel quale tutto ciò risalti in modo inequivoco, tale da rendere intelligibili le censure a prescindere dalla lettura dell'intero motivo. Con l'ulteriore precisazione che tale sintesi conclusiva, costituente un quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo, "non si identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ma assume l'autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente", (così Cass., 8 marzo 2013, n. 5858).

Nel caso di specie, la mancanza del momento di sintesi tradisce la natura prettamente di merito del motivo; che mira in realtà a puramente e semplicemente suscitare - con l'esplicito richiamo alle categorie tipicamente delibative della inesistenza ovvero inconsistenza indiziaria in ordine alla scientia damni - una nuova valutazione probatoria del quadro fattuale, qui preclusa.

p. 4.1 Nel quarto motivo, il ricorrente lamenta contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; dal momento che la corte di appello aveva, da un lato, posto a suo carico l'onere di provare l'inesistenza del requisito dell'eventus damni e, dall'altro, respinto la sua istanza di ctu sulla capienza del patrimonio immobiliare complessivo della D.V.
p. 4.2 A tale motivo - pur esso privo del momento di sintesi ex art. 366 bis cit. - si addicono le stesse ragioni di inammissibilità testè esposte con riguardo al motivo precedente.
E' peraltro il caso di chiarire come il ragionamento della corte territoriale sia comunque del tutto condivisibile sul piano della linearità logico-giuridica, atteso che nell'azione revocatoria ordinaria, una volta che il creditore abbia provato l'atto di disposizione patrimoniale a lui quantitativamente o qualitativamente pregiudizievole, è il convenuto che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione a dover fornire la prova della sufficiente capienza patrimoniale residua del debitore (Cass. n. 7767 del 29/03/2007).
Quando poi l'atto da revocare consista nella concessione d'ipoteca, che è negozio di disposizione patrimoniale anch'esso suscettibile di determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale generica del debitore ex art. 2740 c.c., "incombe al beneficiario della garanzia dedurre e provare che il patrimonio residuo del debitore è di dimensioni tali, in rapporto all'entità della sua complessiva debitoria, da non esporre ad apprezzabile rischio il soddisfacimento dei crediti chirografari" (Cass. n. 19963 del 14/10/2005).
Orbene, si evince dal corretto ragionamento della corte di appello che tale prova poteva e doveva essere fornita dal M. (mediante visure RRII; stime commerciali d'agenzia; stime peritali di parte ecc.) indipendentemente dalla ctu; la quale non è, del resto, mezzo di prova ma mezzo di valutazione della prova, la cui disposizione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.
Sul punto specifico, congrua deve quindi ritenersi la motivazione della corte territoriale la quale, dopo aver esattamente posto la prova in questione a carico dei convenuti, ha osservato (sent. pag. 11): "siffatta prova non risulta mai chiesta nè tantomeno offerta dalla D.V. o dal M. in primo grado. E' appena il caso di aggiungere, anzi, che i predetti convenuti non hanno mai contestato che i beni immobili assoggettati all'ipoteca costituissero l'intero patrimonio immobiliare della D.V. (nè hanno mai affermato o provato che costei fosse proprietaria di altri immobili), per cui tale circostanza deve ritenersi pacifica. Sicchè appare del tutto inammissibile e tardiva la richiesta di consulenza tecnica avanzata solo con l'atto di appello, mezzo istruttorio che peraltro, come è jus receptum, non costituisce vero e proprio mezzo di prova e non può essere invocato dalla parte per sottrarsi all'onere probatorio cui essa è tenuta".
Sicchè la doglianza in oggetto deve trovare smentita nel costante orientamento di legittimità (ex multis, Cass. n. 21412 del 05/10/2006), secondo cui la consulenza tecnica d'ufficio ha lo scopo di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche che egli non possiede, e non è pertanto alternativamente esperibile in funzione di esonero delle parti dall'onere di provare i fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive istanze; fatti la cui dimostrazione in giudizio non si sottrae ai criteri di ripartizione dell'onere della prova previsti in via generale dall'art. 2697 cod. civ.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio a favore della parte controricorrente; spese liquidate, come in dispositivo, ai sensi del D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 12 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2014


 

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