REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio - Presidente -
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -
Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere -
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -
Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.G.;
avverso l'ordinanza della Corte d'appello di MILANO in data 13/12/2011;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. SCARCELLA Alessio;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MAZZOTTA G., che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite per il ricorrente le conclusioni dell'Avv. Fogliano U., che ha chiesto accogliersi il ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 13/12/2011, depositata in data 2/01/2012, la Corte d'appello di MILANO, in accoglimento della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione depositata in data 3/09/2008, liquidava al ricorrente S.G. la somma di Euro 4.680,00.
2. Giova premettere, per una migliore comprensione, che l'ordinanza impugnata segue all'annullamento da parte di questa Corte di una precedente ordinanza della Corte d'appello di Milano emessa in data 15/07/2009, con cui era stata disposta la liquidazione a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione, della somma di Euro 31.900,00, ordinanza che, a seguito del ricorso per cassazione proposto dall'Avvocatura dello Stato, aveva provocato la decisione della IVA Sezione di questa Corte che ne aveva disposto l'annullamento con rinvio alla Corte d'appello di Milano (Sez. 4^, n. 45428 del 01/12/2010 - dep. 27/12/2010, Min.Econ.Finanze in proc. S., Rv. 249238), affermando il seguente principio di diritto: La riparazione per ingiusta detenzione, richiesta dal condannato sottoposto a regime cautelare carcerario per un periodo più lungo rispetto alla pena detentiva inflittagli, è pur essa condizionata, alla luce della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 314 c.p.p., all'accertamento del fatto che l'interessato abbia dato causa, per dolo o colpa grave, alla detenzione.

3. Ha proposto tempestivo ricorso lo S., a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando l'ordinanza predetta e deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.
3.1. Deduce, con il primo motivo, l'inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b).
L'ordinanza impugnata sarebbe viziata, a giudizio della difesa, sotto il profilo della disparità di trattamento tra soggetti incensurati e quelli che hanno subito condanne irrevocabili e conseguenti periodi di detenzione; i giudici, infatti, avrebbero enfatizzato la necessità di dover differenziare la posizione tra soggetti incensurati e non incensurati in merito all'entità del risarcimento per l'ingiusta detenzione, ritenendo che il soggetto pluricondannato e con anni di carcerazione già subita, avrebbe una percezione dello status libertatis affievolita rispetto all'incensurato, per la prima volta destinatario di provvedimenti restrittivi della libertà personale; il ragionamento sviluppato dai giudici di appello, pur conforme ad alcune decisioni della Corte Suprema, risulterebbe inficiato da un'insanabile frattura logica e dalla violazione della norma costituzionale dell'art. 3 Cost., come riconosciuto anche da alcuni arresti giurisprudenziali successivi che hanno sconfessato la tesi seguita dalla Corte territoriale.
3.2. Deduce, con il secondo motivo, l'inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e).
Rileva il ricorrente che la citazione della sentenza di questa Corte n. 18794/2008, richiamata nell'ordinanza impugnata, non corrisponderebbe alla massima ufficiale, che sarebbe stata solo parzialmente riportata dal magistrato estensore del provvedimento per errore redazionale; in particolare, mentre la massima ufficiale recita "In tema di riparazione per ingiusta detenzione, il diritto alla riparazione è escluso allorquando la custodia sofferta, quand'anche ingiusta, sia ricompresa, in tutto o in parte, in un periodo di "limitazioni conseguenti all'applicazione della custodia" sofferte anche per altro titolo e per le quali sia già stato corrisposto il relativo indennizzo, posto che, diversamente, si perverrebbe a liquidare due volte un unico danno, in contrasto con le regole generali del diritto ed i principi di cui agli artt. 2041 e 2042 cod. civ." (Sez. 3^, n. 18794 del 19/03/2008 - dep. 08/05/2008, Musolino e altro, Rv. 239913), nell'ordinanza impugnata la massima non conterrebbe l'inciso "per le quali sia già stato corrisposto il relativo indennizzo", ciò inficiandone la motivazione; ed infatti, l'affermazione della Corte d'appello è erronea laddove si conclude che, qualora venisse riconosciuto l'intero risarcimento del periodo sofferto di ingiusta detenzione, si arriverebbe a liquidare due volte un unico danno violando il principio generale previsto dalle richiamate norme civilistiche in materia di arricchimento senza causa, affermazione che sarebbe corretta a condizione che lo S. avesse in precedenza ottenuto un risarcimento, cosa mai accaduta come riconosciuto nella stessa ordinanza impugnata.
3.3. Si chiede, conclusivamente, in ricorso che, preso atto del contrasto giurisprudenziale manifestatosi tra alcune Sezioni di questa Corte sulla questione di diritto oggetto del primo motivo, la stessa venga rimessa alle Sezioni Unite di per la necessità di dirimere il contrasto; in subordine, si chiede che venga annullata l'ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte territoriale per nuovo giudizio.

Motivazione

4. Il ricorso dev'essere rigettato perchè infondato per le ragioni di cui si dirà oltre.
5. Deve, anzitutto, procedersi all'esame delle doglianze mosse con il primo motivo di ricorso, in relazione al quale la difesa prospettata l'eventuale necessità di rimessione dello stesso alle Sezioni Unite, attesa l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale.
La questione può essere riassunta nei seguenti termini. Sulla liquidazione dell'indennizzo a soggetto pregiudicato o che abbia sofferto precedenti periodi di detenzione, si registra, in effetti, un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, come del resto segnalato dall'Ufficio del Massimario di questa Corte Suprema con la Rei n. 2011/1025R del 3/10/2011.
Un primo orientamento ritiene, infatti, che l'importo da liquidarsi a titolo d'indennizzo per riparazione dell'ingiusta detenzione non può essere ridotto in considerazione del fatto che il soggetto ha più volte in precedenza subito periodi di detenzione e che pertanto la custodia indebitamente sofferta ha prodotto minore sofferenza (Sez. 3, n. 17404 del 20/01/2011 - dep. 05/05/2011, Tripodi, Rv. 250279, che ha annullato per manifesta illogicità della motivazione l'ordinanza che aveva operato detta riduzione, precisando che l'esistenza di una precedente esperienza carceraria può avere, secondo i casi, sia un effetto di riduzione della sofferenza cagionata dalla carcerazione, sia un effetto di massimizzazione di quella sofferenza; in motivazione, si precisa che un'automatica e generalizzata riduzione della somma determinata secondo il criterio nummario o aritmetico o criterio base per tutti i soggetti che abbiano subito precedenti condanne e precedenti detenzioni, rende la valutazione equitativa priva di un'adeguata e logica motivazione precisando, inoltre, che il richiamo di precedente esperienza carceraria quale fattore di riduzione della misura del diritto alla riparazione introduce sia classi diverse di dolore per un medesimo fatto ingiusto e nocivo, sia anche un fattore di disuguaglianza tra cittadini che non appare conforme a fondamentali precetti costituzionali).
In senso conforme, si noti, anche Sez. 4, n. 9713 del 27/10/2009, dep. 10/03/2010, Scumaci, Rv. 246743 (che ha ritenuto illegittima la decisione con cui il giudice di merito riduca l'ammontare dell'indennizzo dovuto secondo il criterio nummario, a fronte della minore incidenza della ingiusta detenzione su di un soggetto che ha già subito la restrizione carceraria), nonchè Sez. 4, n. 46772 del 24/10/2013 - dep. 22/11/2013, Marinkovic, Rv. 257636 e Sez. 4, n. 1219 del 12/11/2013 - dep. 14/01/2014, Visconti, Rv. 258481, che ripropongono sostanzialmente le medesime argomentazioni espresse dalla sentenza Tripodi.

A tale orientamento si contrappone, tuttavia, un altro filone giurisprudenziale sostenuto, anzitutto, da Sez. 4, n. 23124 del 13/05/2008, dep. 10/06/2008, Zampaglione, Rv. 240303, che, diversamente, afferma che nella liquidazione dell'indennizzo dovuto a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione è legittimo operare una riduzione sulla somma giornaliera computata quale frazione aritmetica di quella massima liquidabile per legge, in ragione del fatto che l'istante abbia subito precedenti condanne, essendo ragionevole ritenere che in tal caso il danno derivante dall'ingiusta detenzione sofferta sia stato minore. Nello stesso senso, si è espressa la medesima Sez. 4, n. 34673 del 22/06/2010, dep. 24/09/2010, Trapasso, Rv. 248083 che, ponendosi sulla scia della precedente decisione, ha ribadito che la legittimità della riduzione, sulla somma giornaliera computata come frazione aritmetica di quella massima liquidabile per legge, dell'indennizzo dovuto a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione a soggetto pregiudicato, data, per esso, la minore afflittività della privazione della libertà personale, riconducibile sia al minore discredito che l'evento comporta per una persona la cui immagine sociale è già compromessa, sia al fatto che la sua dimestichezza con l'ambiente carcerario rende meno traumatica l'ingiusta privazione della libertà.
Ritiene il Collegio, tuttavia, che non ricorrano le condizioni per investire della questione le Sezioni Unite di questa Corte, essendo in realtà il contrasto superabile alla luce non solo della giurisprudenza dello stesso Massimo Consesso, ma anche tenendo conto dell'autorevole esegesi operata dalla Corte costituzionale, già in precedenza chiamata a pronunciarsi sulla questione.

6. Deve, anzitutto, ricordarsi che le Sezioni Unite di questa Corte, ebbero ad affermare come, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, la liquidazione dell'indennizzo, che va determinata conciliando il criterio aritmetico con quello equitativo, deve tenere conto del fatto che il grado di sofferenza cui è esposto chi, innocente, subisca la detenzione è di norma amplificato rispetto alla condizione di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto alla pena inflitta. Ne consegue che, se, in linea di principio, il diritto dell'innocente è da valutare in maniera privilegiata rispetto a quello del colpevole, tale conclusione non ha carattere assoluto, ed è compito esclusivo del giudice di merito considerare la peculiarità della situazione, adeguando la liquidazione alla specificità della fattispecie e motivando in modo puntuale sulla sua entità (Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008 - dep. 29/01/2009, Pellegrino, Rv. 241856, che, in motivazione, richiamarono quanto affermato da Corte cost., 20 giugno 2008 n. 219 che, com'è noto, ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art. 314 c.p.p. nella parte in cui, nell'ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all'equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, "secondo quanto precisato in motivazione").
Nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite, si è affermato che la liquidazione dell'indennizzo non può prescindere dalla indicazione contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale, secondo la quale "pare evidente che il grado di sofferenza cui è esposto chi, innocente, subisca la detenzione sia in linea di principio amplificato rispetto alla condizione di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto alla pena".
Ciò significa, in altri termini, che chi è stato condannato si trova in situazione differente rispetto a chi abbia sofferto una carcerazione e poi sia stato assolto. L'affermazione deve, peraltro, essere letta alla luce dell'ulteriore puntualizzazione del Giudice delle leggi, il quale precisa che "spetterà ai giudici comuni valutare le peculiarità di ciascuna fattispecie loro sottoposta, al fine di adeguarvi l'indennizzo previsto dalla legge, alla luce della compromissione del fondamentale valore della persona umana".

Ne consegue che, pur affermandosi "in linea di principio" che il diritto dell'innocente sia da valutare in maniera privilegiata rispetto al diritto del colpevole, tale soluzione non ha carattere assoluto, spettando, dunque, al giudice di merito considerare la peculiarità della specifica situazione. Quanto sopra consente di escludere la necessità della rimessione della questione alle Sezioni Unite, atteso che un'esegesi della normativa, condotta alla luce dell'autorevole insegnamento del Supremo Collegio e dell'interpretazione costituzionalmente orientata operata alla luce della richiamata sentenza della Corte costituzionale, consente di superare anche i sospetti d'incostituzionalità adombrati da quella giurisprudenza di legittimità che ritiene che la riduzione dell'importo dell'indennizzo operata sul presupposto della minore afflittività della privazione della libertà personale patita dal soggetto che abbia riportato precedenti condanne e abbia già subito in passato la restrizione carceraria costituisca una presunzione contrastante con il principio di eguaglianza e con i canoni della logica.

7. Può quindi procedersi all'esame del secondo motivo di ricorso, nel quale il ricorrente ritiene di ravvisare nel ragionamento della Corte territoriale un vizio motivazionale laddove si conclude che, qualora venisse riconosciuto l'intero risarcimento del periodo sofferto di ingiusta detenzione, si arriverebbe a liquidare due volte un unico danno violando il principio generale previsto dalle norme civilistiche in materia di arricchimento senza causa, affermazione che sarebbe corretta a condizione che il ricorrente avesse in precedenza ottenuto un risarcimento, cosa mai accaduta come riconosciuto nella stessa ordinanza impugnata.
In realtà, osserva il Collegio, il preteso vizio motivazionale ravvisato nella non completa riproduzione della massima della decisione di questa Corte (n. 18794/2008) non è idoneo ad inficiare la decisione impugnata, non tenendo conto il ricorrente di quanto precisato dalla stessa Corte d'appello poche righe dopo la frase "incriminata", avendo infatti i giudici milanesi chiarito che, nel caso in esame, i periodi di detenzione considerati, pari a complessivi 270 gg., non risultano essere stati sofferti a doppio titolo, ma esclusivamente in virtù delle due sentenze irrevocabili prese in esame nel provvedimento impugnato (sentenza Pretore Varese 20/01/1993; sentenza Tribunale Busto Arsizio 16/10/1996). La pretesa erroneità del percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale, pur in presenza dell'incompleta riproduzione della massima di cui alla richiamata sentenza di questa Corte, non incide, dunque, sulla logicità e complessiva correttezza del ragionamento svolto dai giudici di merito nel determinare il quantum debeatur alla luce del criterio matematico (Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001 - dep. 14/06/2001, Ministero del Tesoro e Caridi, Rv. 218975), ritenendo questi ultimi non sussistere alcun motivo per distaccarsene, alla luce di una valutazione nel merito della specificità del caso, avendo gli stessi motivato in modo puntuale sull'entità della liquidazione dell'indennizzo e facendo buon uso dei poteri discrezionali riservati al giudice dell'ingiusta detenzione.
8. Il ricorso dev'essere, pertanto, complessivamente rigettato, con condanna del ricorrente ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2014


 

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