LA CORTE DI APPELLO DI MESSINA
Sezione II Civile
riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati:
1) dott. Nicolò Fazio -Presidente-
2) dott. Giuseppe Martello -Consigliere-
3) dott. Concetta Zappalà -Consigliere est-
ha pronunciato il seguente
DECRETO
nel procedimento n. 26/2011 vertente
tra
R. R. , nata a Cesarò il ____, rappresentata e difesa dall'avv. Orazio Esposito, giusta procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliato presso il suo recapito -ricorrente-
E
MINISTERO della GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è per legge domiciliato -resistente-
Oggetto: equa riparazione per inosservanza del termine ragionevole di durata del processo ex art. 2 legge 89/2001

Svolgimento del processo

Con il proposto ricorso depositato il 17/1/2011, R. R. lamenta la violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla l.848/55 in relazione all'irragionevole durata di un giudizio avviato dinnanzi al Tribunale di Catania sez. Lavoro con ricorso del 20/7/2004 e concluso con la sentenza di primo grado depositata il 19/7/2010.
Nel rilevare la sua irragionevole durata, pone l'accento sul danno non patrimoniale e patrimoniale subito ed invoca il relativo indennizzo.
Il Ministero della Giustizia, costituendosi con comparsa, ha chiesto a questa Corte di accertare i presupposti di ammissibilità e fondatezza dell'istanza.
Dopo alcuni rinvii e previa riassunzione del giudizio dopo l'archiviazione per mancata comparizione della ricorrente, il procedimento è stato assunto in decisione all'udienza del 25/6/2013.

Motivazione

Osserva in via generale la Corte che l'art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89 riconosce il diritto ad un'equa riparazione al soggetto che abbia "subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione”, il quale sancisce, appunto, il diritto di ciascuno a ottenere che la sua causa sia decisa “equamente, pubblicamente e in un termine ragionevole.”
Per quanto conceme il concerto di "ragionevolezza", il legislatore del 2001, tenendo conto dei criteri già elaborati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, non ha specificato il periodo di tempo massimo superato il quale la durata del processo diventa irragionevole, avendo lasciato all'interprete l'onere di determinarlo di volta in volta, sulla base di alcuni parametri di riferimento indicati nell'art.2 citato. Nell'accertare la violazione si dovrà tener conto:
a) della complessità del caso portato alla cognizione del giudice adito
(requisito che può indifferentemente riferirsi a qualsiasi elemento di giudizio, non facendo la legge distinzione alcuna tra le difficoltà che attengono ai profili giuridici della vicenda e quelle che investono la ricostruzione dei fatti e del loro accertamento);
b) del comportamento delle parti private, (criterio che fa specifico riferimento alla lealtà processuale concretamente dimostrata e ad eventuali condotte dilatorie od ingiustificatamente dirette ad allungare i tempi processuali tenute dalle parti con conseguente esclusione di ogni responsabilità dello Stato per quei ritardi che non siano addebitabili a disfunzioni dell'apparato giudiziario e a lentezze dei suoi organi);
c) del comportamento del giudice del procedimento e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi secondo o, comunque, a contribuire alla sua definizione (rientrando in tale ultima definizione, secondo la prevalente giurisprudenza di merito formatasi sul punto, gli ausiliari del giudice, gli organi di cancelleria, altre persone cui vengano affidati legittimamente compiti endoprocessuali.
Qui rientrano tutte le possibili ipotesi di disservizio della giustizia, riferibili tanto alla condotta del magistrato e dei suoi ausiliari, quanto a responsabilità dell'ufficio giudiziario, quanto infine a disfunzioni del sistema quali ad esempio carenze di organico, eccessività del lavoro, tardiva sostistuzione di magistrati impediti o trasferiti, carenze di strutture. La Corte Europea ritiene infatti che l'autorità ha l'obbligo di organizzare il sistema giudiziario in modo tale che il servizio venga reso nel pieno rispetto dei principi del giusto processo).
In sostanza, ai fini dell'applicazione della norma interna, occorrerà operare una selezione tra i segmenti temporali attribuibili alle parti e quelli riferibili all'operato del giudice, sottraendo i primi alla durata complessiva del procedimento. Il risultato di tale sottrazione costituisce il tempo complessivo imputabile al giudice, inteso come apparato giudiziario, vale a dire come complesso organizzato di uomini, mezzi e procedure necessari all'espletamento del servizio, in relazione al quale dovrà essere emesso il giudizio inerente alla ragionevolezza o meno della durata del processo).
Infatti, ciò che la legge ha inteso stigmatizzare è l'inerzia ingiustificata nella definizione dei processi, sanzionando la responsabilità dello Stato per le carenze, non imputabili alle parti, che si verificano nell'organizzazione del servizio dell'amministrazione della giustizia.
Benchè la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo abbia individuato (in base alla durata media dei procedimenti negli ordinamenti degli altri Stati partecipi della Convenzione) in tre anni la durata ragionevole del processo di primo grado, in due anni quello di secondo grado ed in un anno quello delle eventuali fasi successive (cfr. da ultimo, Cass. 3 gennaio 2008, n.14), non può non tenersi conto di alcune caratteristiche del nostro ordinamento quali ad esempio l'obbligo della completa motivazione dei provvedimenti, la natura meramente ordinatoria di alcuni dei termini imposti all'attività del giudice e dei suoi ausiliari e soprattutto il potere dispositivo che le parti hanno sul processo civile (Cass. 27 settembre 2006, n. 21020).
Sicchè, ad esempio, è stata ritenuta ragionevole la durata di quattro anni per il giudizio di primo grade e di otto anni per il secondo, in ragione della complessità del caso e dei rinvii richiesti dalle parti (Cass. 11 luglio 2006, n. 15750), anche se si è comunque affermato che eventuali elementi specifici giustificanti una durata eccedente i citati parametri astrattamente indicati dalla giurisprudenza internazionale non possono eliminare la rilevanza del dato temporale, dal quale risulti comunque superata una durata apprezzabile ragionevolmente (Cass. 19 settembre 2005, n. 18455, in tema di processo durato ventisei anni).
Sempre in termini generali non appare superfluo precisare che:
a) Il risarcimento del danno per l'ingiusta durata del processo ai sensi dell'art. 2, co. 3, legge n. 89/2001 si calcola soltanto sul periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non sulla durata dell'intero procedimento, come invece prevede la convenzione europea, in quanto non si può dare alla giurisprudenza della Cedu diretta applicazione nell'ordinamento giuridico italiano con il disapplicare la norma nazionale, avendo la Corte costituzionale (n.348 e 349 del 2007) chiarito che la Cedu non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti (Cass. 3 gennaio 2008, n. 14);
b) in ogni caso, anche se una fase supera il limite astratto, deve aversi riguardo alla durata massima ragionevole dell'intero giudizio nelle sue articolazioni impugnatorie (Cass. 6 settembre 2007, n. 18720; Cass. 13 aprile 2006, n. 8717).
Con riferimento al caso concreto va evidenziato che il giudizio, avente ad oggetto la richiesta da parte della R. dell'assegno di invalidità, è iniziato con ricorso depositato nel luglio del 2004 ed ha visto lo svolgimento di attività istruttoria consentita nell'espletamento di una ctu. Dopo una serie di rinvii al fine di consentire all'Inps la verifica dei presunti pagamenti, il giudizio, all'udienza del 27\6\2007 è stato cancellato dal ruolo per la mancata comparizione delle parti.
Riassunto, a seguito di istanza del 28\6\2007, con fissazione della nuova udienza del 29\10\2007, il giudizio è stato definito con la sentenza di accoglimento della domanda depositata il 19\7\2010.
Esso è pertanto durato 6 anni.
Orbene, tenuto conto dei parametri generali indicati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e fatti propri dalla Suprema Corte, ritiene la Corte che la durata ragionevole del giudizio di primo grado doveva essere quella ordinaria di 3 anni, avuto riguardo alla non particolare complessità della causa. Emergendo solo il ritardo di 4 mesi per la riassunzione imputabile alla parte, il ritardo ingiustificato è, pertanto, pari a 2 anni e 8 mesi.
Per quanto concere la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali, va in via generale rilevato che, se è vero che deve essere esclusa la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa, questo, in difetto di specifici elementi contrari, è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: sicchè il giudice, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale, ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (Cass., sez. un. 26 gennaio 2004, n. 1338).
In applicazione del principio di cui sopra, nel caso di specie, non può non ritenersi che la durata eccessiva del processo abbia cagionato alla ricorrente quell'innegabile senso di frustrazione e impotenza che, secondo l'id quod plerumque accidit, prende qualunque cittadino allorquando non riesce a ottenere tempestivamente il riconoscimento dei propri diritti, per ritardi ingiustificati e per le obiettive ed annose disfunzioni del servizio giustizia.
Per quanto conceme la liquidazione di tale tipo di pregiudizio, ritiene la Corte che debba applicarsi l'ordinario parametro di 1000 euro per anno, non ricorrendo i presupposti per applicare un parametro inferiore, trattandosi di causa avente ad oggetto il riconoscimento di assegno di invalidità.
Spetta pertanto alla R. la somma di euro 2.670,00.
Su tali somme decorrono gli interessi legali dalla data della domanda sino all'effettivo pagamento.
Con riferimento ai compensi che vanno determinati secondo il recente decreto 20\07\012 n. 140, ritiene la Corte di liquidare la complessiva somma di Euro 860,00, considerata la ripetitività dei giudizi e la semplicità dell'attività defensionale.
Vanno infine disposte le comunicazioni di cui all'art.5 della l. 89/2001.

PQM

La Corte, pronunciando sul ricorso proposto da R. R. nei confronti del Ministero della Giustizia, e in parziale accoglimento dello stesso, così provvede:
Condanna il Ministero al pagamento in favore di R. R. della somma di Euro 2.670,00 oltre interessi legali dalla data di deposito del ricorso al soddisfo.
Condanna il Ministero al rimborso delle spese di lite in favore della ricorrente che liquida in complessivi euro 880,00 (di cui Euro 20,00 per spese ed Euro 860,00 per compensi ) oltre CPA, IVA con distrazione in favore del procuratore antistatario.
Dispone che la cancelleria provveda alle comunicazioni di cui all'art. 5 L. 89/01.
Così deciso in Messina il 25/6/2013
Depositato in cancelleria il 27 giugno 2013


 

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