REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente -
Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -
Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere -
Dott. BALESTRIERI Federico - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 6007/2008 proposto da:
G.A., domiciliato in ROMA, VIA C. CORDO 23, presso lo studio dell'avvocato SPAGNUOLO GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
DODDATO FEDERICO & C. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio degli avvocati PARASCANDOLO SILVIA e PIRANI GIORGIO, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3500/2006 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata il 03/03/2007 r.g.n. 2986/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/05/2014 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;
udito l'Avvocato SPAGNUOLO GIUSEPPE;
udito l'Avvocato GIORGIO PIRANI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con atto di precetto del 29 settembre 2004, G.A. intimava alla Doddato Federico e C. s.r.l. il pagamento della somma di Euro 154.726,96 a titolo di retribuzioni maturate nel periodo dal mese di agosto 1992 al mese di febbraio 2002, come da analitico conteggio elaborato in base alle tabelle salariali del CCNL per le imprese industriali del legno, in virtù della sentenza n. 2540/2002 del Tribunale di Salerno, con la quale era stata emessa la seguente statuizione: "dichiara l'inefficacia del licenziamento verbale intimato al predetto G.A. in data 7.8.1992, con condanna della Doddato Federico e C. s.r.l. al pagamento delle retribuzioni medio tempore non corrisposte in giuridica continuità del rapporto di lavoro".
A fronte del mancato adempimento da parte del debitore, il G. notificava in data 12.9.2004 atto di pignoramento presso terzi al debitore.
Con ricorso del 22.4.05 il debitore esecutato chiedeva, al G.E. presso il Tribunale di Salerno la sospensione del procedimento di espropriazione presso terzi, eccependo l'insussistenza di un idoneo titolo esecutivo. L'adito giudice concedeva la sospensione dell'esecuzione e rimetteva le parti dinanzi al giudice del lavoro.
La società chiedeva quindi a quest'ultimo la declaratoria della inesistenza del diritto del creditore di precedere ad esecuzione forzata per la mancanza di un valido titolo esecutivo, in quanto la sentenza posta a fondamento della intrapresa esecuzione non avrebbe contenuto sufficienti elementi per la quantificazione del credito.
L'opponente, inoltre, contestava gli importi inchiesti perchè eccessivi e determinati in modo unilaterale ed arbitrario dal lavoratore, e concludeva perchè il G. fosse condannato al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.
Si costituiva quest'ultimo contestando la fondatezza dell'avversa opposizione di cui chiedeva il rigetto. L'opposto evidenziava innanzitutto che il titolo esecutivo, rappresentato dalla sentenza n. 2540/2002 del Tribunale di Salerno, era stato confermato dalla Suprema Corte e pertanto era divenuto definitivo ed irrevocabile; ribadiva inoltre che il titolo esecutivo posto a base della esecuzione avrebbe contenuto tutti i parametri idonei alla quantificazione del credito ed in via subordinata, nell'ipotesi di ritenuta insufficienza degli elementi desumibili dalla sentenza, chiedeva in via riconvenzionale l'accertamento del credito nella sua esatta misura.
All'udienza di discussione il procuratore dell'opponente affermava che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11946/05, cassava senza rinvio la sentenza n. 2540/02 e pertanto concludeva per l'accoglimento dell'opposizione.
L'opposto rilevava che la Suprema Corte aveva confermato la decisione e la condanna del datore di lavoro al pagamento delle somme contrattualmente richieste e riconosciute, limitandosi solo a negare il vincolo di solidarietà con altra società che comunque non avrebbe fatto parte del presente giudizio.
L'opposto, inoltre, eccepiva al tardività delle contestazioni mosse con l'atto di opposizione e comunque ribadiva la domanda proposta in via riconvenzionale di accertamento del credito a mezzo c.t.u.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza depositata il 3 marzo 2007, accoglieva l'opposizione e dichiarava la nullità della procedura esecutiva.
Per la cassazione propone ricorso il G., affidato a due motivi.
Resiste la società con controricorso.

Motivazione

1. - Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c., e art. 424 c.p.c., in relazione al principio del ne bis in idem, gli artt. 431 e 474 c.p.c., in ordine al principio della certezza, liquidità ed esigibilità del titolo esecutivo; degli artt. 115 e 116 c.p.c., in ordine alla disponibilità e valutazione delle prove e dell'erronea valutazione dell'eccezione di cosa giudicata. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 - 5).
Formula il seguente quesito di diritto: "Il requisito della liquidità del credito che deve assistere il titolo esecutivo posto a base del procedimento a tutela del creditore (opposizione ndr) unitamente alla certezza ed esigibilità, esiste anche quando gli elementi necessari per calcolare gli importi dovuti dall'obbligato datore di lavoro siano desumibili dagli atti acquisiti ai processo, anche per implicito o per relationem o per presunzioni, quali un verbale ispettivo del Ministero del lavoro che abbia quantificato la retribuzione mensile spettante ai lavoratore, ovvero un provvedimento giudiziario inter partes che abbia accertato la retribuzione mensile in modo definitivo ed irreversibile, da utilizzare per il mero conteggio aritmetico delle mensilità successive richieste dal lavoratore?".

Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato.
Inammissibile per non avere il ricorrente prodotto la sentenza n. 2540/2002 del Tribunale di Salerno, impedendo così alla Corte di esaminare la fondatezza o meno della censura. E lo stesso dicasi quanto al citato ma non prodotto verbale ispettivo del Ministero dei lavoro che avrebbe quantificato la retribuzione mensile spettante al lavoratore (ciò peraltro rilevando solo ove fosse stato menzionato dalla sentenza in questione).
Infondato in quanto la sentenza impugnata ha accertato, con congrua e non specificamente censurata motivazione, che la citata sentenza n. 2540/02 non consentisse in alcun modo di quantificare le pretese economiche avanzate dal lavoratore, non contenendo alcuna statuizione circa il c.c.n.l. applicabile e le annesse tabelle salariali, nè facendo riferimento alcuno alla retribuzione spettante al G., nè alle mansioni ed alla qualifica da questi eventualmente svolte o posseduta.

Deve quindi nel merito ribadirsi che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di quanto dovuto al lavoratore a seguito dell'accertamento della illegittimità della risoluzione datoriale del rapporto di lavoro costituisce valido titolo esecutivo se non richiede ulteriori interventi del giudice diretti alla esatta quantificazione del credito, in quanto alla determinazione del credito possa pervenirsi per mezzo di un mero calcolo aritmetico sulla base di elementi certi e positivi contenuti tutti nel titolo fatto valere, dovendo il titolo esecutivo essere determinato e delimitato, in relazione all'esigenza di certezza e liquidità del diritto di credito che ne costituisce l'oggetto, i quali sono da identificare nei dati che, pur se non menzionati in sentenza, sono stati assunti dai giudice come certi e oggettivamente già determinati, anche nel loro assetto quantitativo, perchè così presupposti dalle parti e pertanto acquisiti al processo e non desumibili da elementi esterni (Cass. n. 22427/04; Cass. n. 9693/09; Cass. 10164/10; Cass. ord. n. 2816/11).

2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 418, 115 e 116 c.p.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 - 5).
Formula il seguente quesito di diritto: "La domanda riconvenzionale proposta dal creditore procedente nel giudizio di opposizione all'esecuzione promosso dal debitore per fare accertare la carenza di certezza del credito azionato in base a titolo esecutivo costituito da sentenza con la condanna del datore di lavoro a corrispondere al lavoratore un numero di mensilità dopo l'annullamento del recesso, al fine di accertare la quantificazione delle retribuzioni maturate in costanza di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, deve essere esaminata dal giudice adito, a prescindere da qualsiasi vizio attinente al titolo esecutivo, soprattutto per poter costituire un nuovo titolo esecutivo di credito certo, liquido ed esigibile per le retribuzioni maturate dopo il licenziamento giudizialmente annullato".

Il motivo è infondato.
Questa Corte ha già osservato (Cass. ord. n. 2816/11), che laddove il credito azionato non sia evincibile, nel senso precedentemente chiarito, dal titolo esecutivo, essendo necessari elementi estranei al giudizio conclusosi e non predeterminati per legge, il creditore può legittimamente fare ricorso al procedimento monitorio, nel cui ambito la sentenza è utilizzabile come atto scritto, dimostrativo dell'esistenza del credito fatto valere, il cui ammontare può essere provato con altri e diversi documenti, ma non può, invece, attivare l'esecuzione, non essendo peraltro possibile in sede di opposizione determinare autonomamente l'entità del credito, avendo il giudice dell'esecuzione il potere-dovere - con accertamento che esaurisce la sua efficacia nel processo esecutivo in quanto funzionale all'emissione di un atto esecutivo e non alla risoluzione di una controversia nell'ambito di un ordinario giudizio di cognizione - di verificare l'idoneità del titolo e di controllare la correttezza della quantificazione del credito operata dal creditore nel precetto (Cass. n. 16610/11), posto che le attività che si compiono nel processo esecutivo non sono dirette all'accertamento in senso proprio di diritti, ma alla loro realizzazione pratica sulla base di un preesistente titolo esecutivo (Cass. n. 22279/10).
Deve peraltro rimarcarsi che nella specie la sentenza impugnata ha accertato che, pur avendo la Cassazione (con la citata sentenza n. 11946/05) inciso circa l'eventuale "aliunde perceptum" del G., la sentenza n. 2540/02 "non consentiva in alcun modo di determinare, neppure attraverso un calcolo aritmetico, l'entità del credito", non avendo accertato nè il c.c.n.l. applicabile, nè le relative tabelle salariali, nè l'effettivo inquadramento del lavoratore, essendo in sostanza diretta solo ad accertare l'effettiva esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
A ciò aggiungasi che la sentenza n. 11946/05 di questa Corte (che peraltro ha affermato che il Tribunale ebbe a pronunciare condanna solo generica al pagamento delle retribuzioni medio tempore non corrisposte, cioè maturate fino alla data della pronuncia della sentenza, senza provvedere circa il periodo successivo), non rileva, essendo stata, quanto al G., la sentenza impugnata stata cassata solo in ordine all'accertamento del dedotto aliunde perceptum.

4.- Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2014


 

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