REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
Dott. CAMPANILE Pietro - rel. Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria R. - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:
sentenza
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO ROMA
e da:
G.F., M.M.- ricorrenti -
contro
C.F. ; - controricorrente -
e contro
C.M., C.R.; - intimate -

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, n. 3419, depositata in data 27 luglio 2011;
sentita la relazione all'udienza del 20 maggio 2013 del consigliere Dott. Pietro Campanile;
sentiti gli avv.ti Chimenti, Scoca e Maxia che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso;
sentito l'avv. Dosi, che ha chiesto l'inammissibilità e il rigetto del ricorso;
udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso del P.G. e per il rigetto del 1, 2, 3 e 6 motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri.

Svolgimento del processo

1 - Con separati atti Mo.Ma., M., M., nonchè G.F. proponevano opposizione di terzo avverso la sentenza n. 1880 del 2006 con la quale il Tribunale di Roma aveva accolto la domanda di disconoscimento della paternità proposta da C.F. nei confronti del presunto padre C.R.
1.1 - Con sentenze emesse in data 16 gennaio 2009 il Tribunale adito dichiarava inammissibili le opposizioni, rilevando che i predetti erano carenti di legittimazione, in quanto non titolari di un diritto autonomo e incompatibile con quello oggetto della sentenza di disconoscimento della paternità.
1.2 - La Corte di appello di Roma, previa riunione dei giudizi scaturenti dai gravami proposti dai predetti, i quali avevano ribadito di aver interesse a proporre opposizione di terzo avverso la sentenza di disconoscimento, pronunciata sebbene l'azione fosse stata proposta oltre il termine di decadenza previsto dall'art. 244 c.c., per aver C.F., tale divenuto il C. dopo il positivo esperimento dell'azione di disconoscimento, proposto domanda di riconoscimento della paternità nei confronti di M.D., del quale gli stessi erano eredi, ha confermato la decisione di primo grado.
1.3 - La corte territoriale ha affermato che l'opposizione di terzo può essere proposta solo quando dal giudicato possa derivare un pregiudizio diretto, e non nelle ipotesi, come quella della sentenza di disconoscimento della paternità, nei cui confronti colui che è indicato come padre naturale, escluso dal novero dei soggetti previsti dall'art. 244 c.c., è privo, in quanto solo mediatamente interessato dagli effetti della decisione di disconoscimento dell'altrui paternità, di legittimazione.
E' stato altresì condiviso il giudizio di infondatezza in merito alla pretesa risarcitoria avanzata da M.M. circa una pretesa condotta illecita nella proposizione della domanda di disconoscimento avanzata nei confronti del C., rilevandosi, per le ragioni già espresse in relazione alla mancanza di un nesso diretto fra l'azione di disconoscimento della paternità e la successiva domanda di riconoscimento della paternità naturale, la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 244 c.c. e art. 404 c.p.c. in relazione agli artt. 24, 29 e 30 Cost.
1.4 - Per la cassazione di tale decisione hanno proposto distinti ricorsi il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Roma, il quale ha dedotto unico e articolato motivo, nonchè gli eredi M., i quali hanno formulato sette motivi. Resiste con controricorso il C.

Le parti private hanno prodotto memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Motivazione

2 - Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Roma, che sostiene la propria legittimazione dovendosi la sua presenza ritenere "immanente in ogni giudizio in cui sia richiesta la sua partecipazione", deduce che nella sentenza impugnata si riverbera il vizio della decisione con la quale era stata accolta la domanda di disconoscimento di paternità avanzata dal C., per non essersi in quel giudizio considerata la decadenza, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, prevista dall'art. 244 c.c., comma 2.
2.1 - Passando all'esame del ricorso proposto dagli eredi di M. D., gli stessi, deducendo con il primo motivo violazione o falsa applicazione dell'art. 404 c.p.c., comma 1, nonchè degli artt. 269, 270, 274, 235, 244 e 253 c.c., sostengono che erroneamente la corte di appello avrebbe escluso la loro legittimazione a proporre opposizione avverso la sentenza di disconoscimento della paternità emessa ad istanza del C., sia perchè il suo carattere antigiuridico (attesa la violazione del termine di decadenza di cui all'art. 244 c.c.) determinerebbe una lesione, di natura processuale e sostanziale, dell'integrità e della certezza della famiglia legittima, sia perchè, in ogni caso, l'opposizione di terzo dovrebbe essere intesa come mezzo di tutela di qualsiasi situazione sostanziale che potrebbe essere pregiudicata dall'attuazione della sentenza resa "inter alios".

2.2 - Con il secondo mezzo si denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all'esclusione del carattere giuridico, e non di mero fatto, nell'interesse posto alla base dell'azione esercitata dai ricorrenti.

2.3 - Con il terzo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., anche in relazione all'art. 24 Cost., si sostiene che l'esclusione di un danno ingiusto ed immediato per i ricorrenti, derivante dalla sentenza di disconoscimento - in quanto emessa in violazione dell'art. 244 c.c. - sarebbe errata, derivando tale pregiudizio dalla sottoposizione dei ricorrenti a un giudizio che non avrebbe potuto essere introdotto qualora non si fosse formato il giudicato sul disconoscimento della paternità.

2.4 - Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 244 c.c., comma 3, sostenendosi che la Corte d'appello avrebbe dovuto rilevare d'ufficio la violazione del termine previsto a pena di decadenza per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità.

2.5 - Con il quinto mezzo, in relazione all'interesse delle parti al rispetto del termine richiamato nella censura che precede, si prospetta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24, 113 e 103 Cost..

2.6 - Con la sesta censura si denuncia motivazione omessa e contraddittoria in merito all'esclusione dei presupposti dell'azione risarcitoria proposta da M.M..

2.7 - Viene infine sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 395 c.p.c., n. 1, art. 404 c.p.c. e artt. 244 c.c. e ss., in relazione agli artt. 24, 29 e 30 Cost., sostenendosi che l'impossibilità per i terzi, titolari di un diritto soggettivo alla conservazione del proprio status personale, di chiedere la revocazione della sentenze, il diniego del rimedio dell'opposizione di terzo, nel caso di decisione frutto di dolo di una parte, priverebbero di ogni forma di tutela i terzi medesimi, in contrasto con le norme costituzionali sopra indicate.

3 - Deve in primo luogo rilevarsi l'inammissibilità del ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d'appello, in quanto carente di legittimazione al riguardo.
Vale bene richiamare, in proposito, l'orientamento di questa Corte secondo cui nel giudizio di disconoscimento di paternità promosso dal figlio maggiorenne il pubblico ministero interviene a pena di nullità, ai sensi dell'art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3, trattandosi di azione di stato, ma non può proporre impugnazione, avendo il relativo potere carattere eccezionale ed essendo esercitabile soltanto nei casi previsti dalla legge (Cass., 16 marzo 2007, n. 6302; Cass., 7 giugno 2006, n. 13281; Cass., 15 novembre 2001, n. 14315).

4 - Passando all'esame dell'impugnazione proposta dagli eredi di M.D., deve ritenersi preliminare ed assorbente l'esame della questione relativa alla possibilità per un soggetto indicato come padre naturale, o per gli eredi dello stesso, di intervenire, o di proporre opposizione ai sensi dell'art. 404 c.p.c., nel giudizio di disconoscimento di paternità promosso da colui che solo all'esito del positivo esperimento di tale azione potrà chiedere il riconoscimento di paternità.
La risposta negativa data dalla corte territoriale a tale quesito merita di essere condivisa.
A mente dell'art. 404 c.p.c., un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti.
Come costantemente affermato da questa Corte, la paternità legittima non può essere messa in discussione e neppure difesa da colui che è indicato come padre naturale, il quale, allorchè deduca che l'esito (positivo) dell'azione di disconoscimento di paternità si riverbera sull'azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, si limita in realtà a far valere un pregiudizio di mero fatto, laddove il rimedio contemplato dall'art. 404 c.p.c. presuppone in capo all'opponente un diritto autonomo la cui tutela sia però incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata (ex multis, Cass., n. 12211 del 2012; Cass., n. 12167 del 2005. Cfr. anche Cass., n. 14315/2001, secondo cui il padre naturale non è legittimato neppure ad intervenire in appello in un giudizio di disconoscimento della paternità, essendo tale legittimazione riconosciuta a chi potrebbe proporre opposizione ai sensi dell'art. 404 c.p.c., rimedio esperibile solo da chi faccia valere un diritto autonomo e incompatibile col rapporto giuridico accertato o costituito dalla sentenza opposta, e quindi solo a favore di chi sia pregiudicato in un suo diritto).
E' stato già rilevato che tra il procedimento di disconoscimento della paternità legittima e quello instaurato per il riconoscimento della paternità naturale non sussiste un nesso di pregiudizialità, dal momento che il solo oggetto di quest'ultimo giudizio è costituito per il dedotto padre biologico dal suo diritto ad escludere la paternità naturale "ex adverso" pretesa, non anche da quello a vedere affermata la paternità disconosciuta nell'altro procedimento (Sez. 1, Sentenza n. 12167/2005). D'altra parte, nè colui che sia indicato come padre naturale, nè i suoi eredi, sono legittimati passivi nel giudizio di disconoscimento della paternità e la sentenza che accoglie la domanda di disconoscimento è opponibile nei confronti di tali soggetti, anche se non hanno partecipato al relativo giudizio (Sez. 1, Sentenza n. 430/2012).
Inoltre, neppure è ammissibile, nel giudizio per il disconoscimento della paternità, "l'intervento di colui che è indicato come padre naturale, non potendo la controversia sul relativo riconoscimento avere ingresso sino a quando la presunzione legale di legittimità della filiazione non sia venuta meno con il vittorioso esperimento dell'azione di disconoscimento" (Cass., n. 1784/2012).
Non essendo colui che è indicato come padre naturale (e per lui i suoi eredi) legittimato a proporre opposizione di terzo contro la sentenza di disconoscimento di paternità, il primo e il secondo motivo sono infondati.

Del pari infondato è il terzo motivo, in quanto, a prescindere dal rilievo della Corte d'appello circa l'assenza di comportamenti dolosi o colposi nel giudizio relativo al disconoscimento di paternità, l'evidenziata assenza di pregiudizialità della relativa pronuncia rispetto all'esito del giudizio di riconoscimento della paternità non consente di ravvisare nel danno lamentato alcun profilo di concretezza e attualità. Se, invero, la sentenza che accoglie l'azione di disconoscimento fa stato erga omnes, essa non può produrre alcuna lesione, se non in una misura che non è giuridicamente apprezzabile, nei confronti di singoli soggetti, estranei al rapporto in questione, i quali non possono dolersi del fatto che un presunto figlio abbia fatto valere in giudizio il proprio diritto all'accertamento della verità biologica circa la propria origine.

Rimangono assorbiti, stante l'inammissibilità dell'atto di impugnazione con il quale venivano dedotte, le censure attinenti alla pretesa nullità della decisione con la quale era stata accolta la domanda di disconoscimento della paternità del C., osservandosi, quanto alla questione di legittimità costituzionale introdotta con il settimo motivo, che la stessa appare all'evidenza manifestamente infondata, essendo ad essa sottesa una inammissibile confusione fra la carenza di legittimazione a proporre opposizione di terzo e diritto di difesa, che riguarda, secondo la stessa prospettazione dei proponenti, non l'accoglimento della domanda di disconoscimento proposta da un terzo, bensì la successiva azione di riconoscimento di paternità nei confronti del loro dante causa, nell'ambito di un autonomo giudizio nel quale il diritto di difesa potrà essere esercitato senza alcun limite, se non quello derivante dall'efficacia "erga omnes" della pronuncia in tema di disconoscimento di paternità. Come già rilevato, "la determinazione dei soggetti legittimati a proporre l'azione di disconoscimento della paternità è una scelta insindacabile del legislatore che ha ritenuto di riservare ai soli soggetti direttamente interessati, e cioè ai membri della famiglia legittima, il potere di decidere circa la prevalenza della verità "biologica" o della verità "legale": una innovazione, che attribuisse direttamente la legittimazione ad agire a soggetti privati estranei alla famiglia legittima, quale è il presunto padre naturale, rappresenterebbe la scelta di un criterio diverso, legato ad una ulteriore evoluzione della coscienza collettiva, che solo il legislatore può compiere. Nè vale opporre che l'equilibrio tra verità legale, che tutela l'unità della famiglia legittima (art. 29 Cost.), e verità biologica (art. 30 Cost.) è stato già modificato dalla L. n. 184 del 1983, con l'ammettere la promozione dell'azione di disconoscimento della paternità su iniziativa del P.M., fino a quando il figlio non abbia compiuto sedici anni, giacchè la nuova norma, prevedendo che l'azione sia poi esercitata non dal pubblico ministero, ma, in nome e nell'interesse del figlio, da un curatore speciale, è rimasta formalmente nei limiti del criterio di determinazione dei soggetti titolari dell'azione assunto dalla L. n. 151 del 1975" (Corte cost., sent. n. 429 del 1991, con la quale è stata ritenuta l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 244 c.c., u.c., in parte qua, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.).
Il ricorso incidentale, dunque, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del procuratore Generale presso la Corte di appello di Roma. Rigetta il ricorso proposto da Mo.Ma., M. e M., nonchè da G. F., che condanna in solido al pagamento, in favore del C., delle spese processuali inerenti al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per compenso, oltre accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 20 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2014


 

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