LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - rel. Consigliere -
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -
Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13839/2008 proposto da:
P.M., - ricorrente -
contro
Z.F. - controricorrente -
contro
R.C.; - intimata -
sul ricorso 17190/2008 proposto da:
R.C., vedova P., - controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
Z.F. - controricorrente al ricorso incidentale -
contro
P.M.; - intimato -
avverso la sentenza n. 195/2008 della Corte D'Appello di Bologna, depositata il 04/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/03/2013 dal Consigliere Dott. Maria Rosaria Cultrera;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato Federzoni Guidi Dario che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale R. C., l'Avvocato Pereno Carlo che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito, per la controricorrente Z., l'Avvocato Morganti Pietro che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale; inammissibilità del ricorso incidentale previa riunione dei ricorsi.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 dicembre 2006 il Tribunale di Parma dichiarava la separazione personale dei coniugi Z.F. e P. M. respingendo le reciproche domande di addebito, affidava la figlia minore ad entrambi i genitori con domicilio presso la madre regolando il diritto di visita del padre, poneva a carico del marito il contributo per il mantenimento della figlia nella misura di Euro 2.000,00 mensili ed in favore della moglie in Euro 1.000,00 mensili.
Nulla disponeva in ordine alla casa coniugale ma imponeva al P. di versare alla moglie, quale contributo per l'affitto di altro alloggio, la somma mensile di Euro 2.000,00 qualora l'usufruttuaria della casa coniugale R.C., che l'aveva concessa in comodato al figlio M., nudo proprietario, intervenuta in giudizio per chiederne la revoca dell'assegnazione alla Z., non avesse consentito al godimento gratuito di casa ed arredi.
Venivano proposti separati appelli dalle parti principali.
Il P. chiedeva la riduzione dell'assegno per il mantenimento della figlia e della moglie e si doleva dell'illegittimità della statuita determinazione di ulteriore contributo per la casa familiare per l'ipotesi in cui la madre non avesse consentito all'utilizzo della casa abitata dalla Z.. Quest'ultima insisteva per il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti e chiedeva l'assegnazione della casa familiare, nonchè modifica migliorativa dell'assegno di mantenimento nell'ipotesi in cui l'usufruttuaria non avesse più consentito l'uso gratuito dell'immobile. La R. si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda proposta dalla nuora.
Riuniti gli appelli, con sentenza del 25 maggio 2007 - 4 febbraio 2008, la Corte di Appello di Bologna aumentava ad Euro 2000,00 l'importo dell'assegno di mantenimento a favore della Z., assegnava a quest'ultima il godimento della casa coniugale, revocava la statuizione concernente l'incremento dell'assegno per l'eventuale locazione dell'immobile, che avrebbe dovuto esser disposto in successivo giudizio di revisione, e confermava nel resto. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il P. deducendo cinque motivi illustrati con memoria. Hanno resistito con controricorso la Z. e la R.. Quest'ultima ha altresì proposto ricorso incidentale affidato ad unico mezzo, illustrato anch'esso con memoria difensiva, resistito dalla Z. con controricorso.

Motivazione

Si dispone in linea preliminare la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa decisione.
Col primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione del principio devolutivo in ordine all'assegnazione della casa familiare alla Z., il ricorrente P. ascrive alla Corte del merito d'aver provveduto in assenza di gravame alla revoca dello statuito incremento del contributo per affitto da parte della predetta di altro appartamento. Soggiunge a conforto che quest'ultima chiese l'assegnazione della casa familiare, non disposta dal primo giudice in assenza del necessario consenso dell'usufruttuaria, e la conferma e non già la riforma del cennato obbligo di versamento del contributo. Il quesito di diritto formulato a conclusione chiede se il giudice d'appello viola l'art. 436 c.p.c., che sancisce il principio devolutivo in fase di gravame se decide questione di cui non è investito avendo l'appellante chiesto conferma e non riforma della sentenza appellata nè l'altra parte avendola impugnata in parte qua.
La resistente deduce infondatezza della censura e chiarisce che il P. chiese la riforma della decisione gravata in parte qua perchè la pronuncia era stata inserita erroneamente nel capo relativo alla casa coniugale vincolandolo non già agli interessi della prole ma all'arbitrio di un terzo, ed essa appellante incidentale chiese l'aumento della misura del contributo già attribuitole dal giudice di prima istanza non già come misura sostitutiva all'assegnazione ma ad ulteriore a tutela degli interessi della figlia minore.
Il motivo è infondato.
Ha osservato la Corte territoriale in relazione all'assegnazione della casa coniugale alla Z., che nelle conclusioni rassegnate nel suo appello incidentale, puntualmente trascritte nella sentenza impugnata, ne aveva chiesto l'assegnazione, e che la R., usufruttuaria del cespite, aveva rinunciato alla sua domanda e l'abitazione era pertanto rimasta nella disponibilità della nuora che ivi viveva con la figlia minore, del cui preminente interesse alla conservazione del suo habitat, suo effettivo domicilio, occorreva necessariamente tenersi conto.
Avverso questo percorso argomentativo, adeguatamente e logicamente illustrato, il mezzo in esame, peraltro confusamente articolato, indirizza critica priva di fondamento stante la precisa devoluzione della questione al giudice dell'appello, nonchè generica, che non ne lascia palesare il sottostante interesse.
Si conclude peraltro con quesito di diritto che richiama astratto e tautologico enunciato senza collegarlo alla fattispecie concreta.
Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1809 c.c., e censura la statuizione impugnata laddove afferma che l'abitazione che costituì la casa familiare venne acquistata in vista del suo matrimonio. Riepiloga all'uopo la scansione in fatto della vicenda acquisitiva, a partire dal momento del compromesso sino al rogito che nel 1992 ne consacrò l'acquisto, per tranne la conferma, esclusa dal giudice del gravame, che la casa, che venne abitata dal suo nucleo familiare nel 1993, cinque anni dopo la stipula del preliminare, non poteva ritenersi soggetta al ravvisato vincolo di destinazione perchè insussistente, e rimasto peraltro indimostrato. Il quesito di diritto chiede se l'art. 1809 c.c., comma 2, sia applicabile qualora la costituzione di usufrutto a favore della madre, contestualmente all'acquisto dell'immobile da parte del figlio nudo proprietario, poi adibito a casa familiare di quest'ultimo e l'acquisto sia antecedente al matrimonio e chi ne chiede l'assegnazione non abbia provato l'effettiva volontà delle parti.
La resistente deduce infondatezza della censura.
Il mezzo in esame merita la sorte del precedente. Argomenta la censura in cui si articola con riferimento a circostanze di fatto che la Corte del merito ha esaminato e quindi apprezzato, reputandole concludenti in quanto univocamente idonee a dimostrare la destinazione impressa dall'usufruttuaria all'immobile sin dal suo acquisto proprio in vista del matrimonio del figlio, nudo proprietario, del resto confermata dalla lettera speditagli dalla predetta in data 30 gennaio 2004 in cui, chiedendo la restituzione dell'immobile, faceva esplicito riferimento alla sua concessione in godimento a titolo precario. Illustrata con tessuto motivazionale puntuale ed esaustivo, e conforme al principio enunciato nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 13603/2004, la decisione è censurata con riguardo al vaglio critico condotto sui fatti ed al risultato che ne ha tratto il giudice del merito, che non è sindacabile in questa sede ed è peraltro fatto segno di contestazione che si conclude con quesito generico ed astratto, neppure pertinente alla censura in quanto prospetta la sussistenza di onere probatorio a carico della Z., rimasto irrisolto, cui non è fatto cenno alcuno nel corpo del motivo.
Col terzo mezzo il ricorrente deduce il vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato la statuita attribuzione del contributo per il mantenimento della minore e della Z., pur in presenza della prova dell'effettiva diminuita sua capacità economica, non tenendo conto: del concordato preventivo chiesto con ricorso del 2004 dalla società F.lli Pagani di cui era socio e amministratore; del fatto che egli pagò personalmente debiti sociali e dovette far fronte alle proprie esposizioni per fideiussioni da lui rilasciate a favore della menzionata società; concluse transazione del contenzioso instaurato per i danni procurati alla società dal commissario giudiziale in forza della quale sostenne un esborso di Euro 252.739,00; rimasto privo di reddito godette del sostegno familiare; percepiva la retribuzione di Euro 3000,00 mensili per la sua qualifica di dirigente della società Reggiane Crns und Plants s.p.a e null'altro; era solo nudo proprietario per 1/3 di immobile in ____.
Di questo deterioramento della sua condizione economica la Corte del merito non avrebbe tenuto conto.
La resistente deduce l'infondatezza del motivo.
Il motivo deve essere dichiarato inammissibile.
La deduzione del vizio d'insufficiente motivazione su punto essenziale della controversia deve essere accompagnata, secondo quanto prescritto dall'art. 366 bis c.p.c., dal prescritto momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) contenente la chiara illustrazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume inidonea (Cass. S. U. 20603/2007), che è assolutamente assente nell'articolazione nonchè nella conclusione del motivo esaminato.
Col quarto il ricorrente denuncia violazione dell'art. 148 c.c., e dell'art. 155 c.c. in relazione all'ammontare del contributo di mantenimento per la figlia minore, che risiederebbe nell'asserita disparità economica tra le sue condizioni e quella della moglie separata, non provata, ma desunta in via logica presuntiva e tenendo conto per la moglie del solo reddito da lavoro. Il quesito di diritto chiede se viene rispettato il principio di proporzionalità riguardo al mantenimento dei figli quando nella comparazione della situazione economica dei genitori si è tenuto conto per l'uno di tutti i cespiti reddituali e patrimoniali e per l'altro del solo reddito da lavoro.
La controricorrente deduce infondatezza della censura.
La sentenza impugnata in parte qua ha confermato la corretta valutazione comparata condotta dal primo giudice, che ha fatto propria nel suo risultato alla stregua della documentazione versata in atti, attestante la disponibilità di cospicuo patrimoniale immobiliare da parte del P., non intaccata dal deterioramento della sua posizione patrimoniale, la partecipazione a numerose società e la titolarità per loro tramite di vasto patrimonio immobiliare. Il tutto dettagliatamente specificato anche in relazione alle conseguenze della crisi che colpì la società F.lli Pagani ed alle sue ricadute sulle condizioni dell'odierno ricorrente. Ha rilevato che le condizioni della Z. sono di contro affidate al solo reddito da lavoro, che percepisce nella misura mensile di Euro 1000,00.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte che in seguito alla separazione la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza (v. sul punto Cass. 2000 n. 15065; n. 8424/2005). E' altresì da considerare che il dovere di provvedere al mantenimento, istruzione ed educazione, secondo il precetto dell'art. 147 c.c., impone ai genitori, anche in caso di separazione o divorzio, di far fronte a tutte le molteplici esigenze dei figli, oltre che all'adeguata predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, e va inoltre osservato ai fini di una corretta determinazione del concorso dei genitori che il parametro di riferimento è costituito, secondo il disposto dell'art. 148 c.c., dalle rispettive sostanze e dalla capacità di lavoro professionale, con espressa valorizzazione di risorse economiche e potenzialità reddituali.
A tali principi si è attenuta la sentenza impugnata nel valutare le condizioni patrimoniali e reddituali delle parti nel senso sopra riferito. In tale complesso argomentativo non si ravvisa pertanto il denunciato errore.
Il motivo in sostanza ne affida la prospettazione ad argomenti che inducono al riesame delle riferite circostanze, del cui apprezzamento la decisione impugnata rende conto con puntuale e corretta motivazione, per l'effetto non ammesso in questa sede, e si conclude con quesito di diritto ancora una volta astratto e generico in relazione alla presunta violazione di legge riscontrabile con riferimento alla specie.
Col quinto motivo infine il ricorrente deduce violazione dell'art. 156 c.c., in relazione alla debenza dell'assegno di mantenimento a favore della moglie separata, stabilito nella misura di Euro 2.000,00 mensili. Il vizio dedotto risiederebbe nel non aver tenuto conto che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non ebbe un livello costante e comunque, in ordine al quantum, che la Z. non solo svolge attività lavorativa retribuita ma è altresì proprietaria del 70% di un'agenzia di viaggi, sì che le reciproche posizioni patrimoniali reddituali sono de reputarsi equivalenti. Il quesito di diritto chiede se è dovuto il mantenimento in favore della moglie in presenza della prova della sua prestazione lavorativa presso agenzia di sua proprietà al 70% e in quanto giovane è munita di capacità lavorativa, e nell'impossibilità di mantenere il pregresso tenore di vita per l'intervenuto depauperamento della condizione patrimoniale del coniuge causare dalle vicende rappresentate.
Anche di questo motivo la resistente chiede il rigetto. La sentenza impugnata utilizza (al fine di attribuire e determinare in maniera congrua il contributo per la moglie le valutazioni comparative effettuate in ordine alla determinazione dell'assegno per la figlia, dunque basandosi su attendibile ricostruzione delle complessive posizioni reddituali e patrimoniali dei coniugi in modo da fissare l'erogazione in favore del più debole, giungendo alla conclusione che l'importo dell'assegno, cui la Z. aveva diritto, determinato dal Tribunale in Euro 1.000,00 mensili fosse adeguato.
Il mezzo in esame richiama sommariamente i passaggi argomentativi sui fatti considerati e ne smentisce il valore probatorio attribuendovi senso opposto a quello ritenuto dalla Corte del merito, la cui statuizione tiene conto delle vicende che hanno determinato il deterioramento della posizione economica e patrimoniale asserita dal ricorrente rispetto al tempo della convivenza matrimoniale e dunque al relativo tenore di vita della coppia, e assunti a base gli elementi comparativi acquisiti al bagaglio istruttorio, ha provveduto facendo corretta applicazione del dettato normativo.
Il motivo induce all'evidenza alla rivisitazione di quelle circostanze ed è perciò inammissibile.
Tutto ciò premesso il ricorso principale deve essere rigettato.
Analoga pronuncia va adottata in relazione al ricorso incidentale che riproduce le censure esposte nel primo motivo del ricorso incidentale.
I ricorrenti in solido vengono condannati al pagamento delle spese in favore della resistente liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:
riunisce i ricorsi e li rigetta, condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidandole in complessivi Euro 5.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento devesi omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2013


 

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