IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
PRIMA SEZIONE CIVILE
Riunito in camera di consiglio e composto da:
Daniela Bianchini - Presidente -
Cecilia Pratesi - Giudice rel. -
Silvia Albano - Giudice -

Motivazione

Letto il reclamo proposto da R.D. avverso il provvedimento emesso nel procedimento ex art. 710 c.p.c. promosso nei suoi confronti dalla moglie separata R. R., con il quale il tribunale in composizione collegiale ha autorizzato la ricorrente a procedere al sequestro dei beni del coniuge ai sensi dell'art. 156.6 cod. civ.
Osserva:
Il ricorrente, nel ritenere impugnabile dinanzi al Tribunale in composizione collegiale il provvedimento reclamato, fa richiamo al recente arresto del giudice di legittimità (Cass. Sez. I civile, sentenza n. 1518/2012), che riconosce nella speciale forma di sequestro ex art. 156.6 c.c. i caratteri tipici dei procedimenti cautelari, con ogni conseguenza in ordine al procedimento applicabile; omette di considerare tuttavia che nella fattispecie all'esame della Cassazione il provvedimento di sequestro ex art. 156.6 c.c. era stato concesso con ordinanza del presidente del Tribunale di Milano, e non già, come nel caso presente, nell'ambito di un procedimento camerale proposto ai sensi dell'art. 710 c.p.c., il cui provvedimento finale è costituito da un decreto emesso dallo stesso organo collegiale (il Tribunale) che dovrebbe oggi essere chiamato a decidere del reclamo, provvedimento che, a mente dell'art. 739 c.p.c. risulta invece reclamabile con ricorso alla corte d'Appello in Camera di Consiglio.

Solo per completezza si ritiene opportuno precisare che il collegio, pur consapevole dell'orientamento richiamato dal ricorrente in ordine alla natura del provvedimento reclamato, ritiene di prestare adesione alla diversa e pur meno recente lettura che esclude la natura cautelare del sequestro ex art. 156 c.c. (posto che esso presuppone un credito già dichiarato e richiede il solo presupposto dell'inadempimento, e non già del fumus boni iuris o del periculum in mora); infatti, l'anomalia dell'istituto, che trova il suo fondamento nella esistenza di un titolo giudiziale già compiuto ed esecutivo, induce a ritenere preferibile la impostazione più risalente, quella cioè che pone la speciale forma di sequestro qui in esame al di fuori del novero dei provvedimenti cautelari in senso proprio.

Ciò anche alla luce della collocazione sistematica dell'istituto e della sua previsione come rimedio alternativo e paritetico rispetto all'ordine di distrazione previsto dalla stessa disposizione, rispetto al quale viene a costituire di fatto una soluzione alternativa per l'ipotesi concreta in cui non vi siano terzi facilmente individuabili come tenuti alla corresponsione di somme periodiche al soggetto gravato da obblighi di mantenimento. Se dunque identica è la funzione delle due misure, preordinate a realizzare una forma agile e rafforzata di garanzia dell'adempimento futuro di obbligazioni periodiche, non pare validamente sostenibile la tesi di una diversa natura sul piano processuale dei due istituti, sebbene il riferimento alla figura del sequestro sia indubbiamente evocativa dell'omonimo provvedimento cautelare tipico. Si legge infatti nell'arresto della cassazione sopra menzionato, che il nomen juris del sequestro richiama la misura cautelare e conservativa per antonomasia: neppure in astratto suscettibile di acquisire efficacia anticipatoria del provvedimento finale (a differenza di altri provvedimenti cautelari), né tanto meno di riuscire immediatamente satisfattoria del diritto vantato dalla parte richiedente, ma tali argomenti vengono a ben vedere indeboliti dalla considerazione che nel caso dell'art. 156 c.c. il diritto vantato dalla parte richiedente è stato già compiutamente accertato ed è recato da un titolo esecutivo in sé perfetto; né argomenti in senso contrario possono trarsi nelle ipotesi in cui gli obblighi di mantenimento scaturiscano da provvedimenti presidenziali provvisori, non solo perché anch'essi dotati di immediata efficacia esecutiva al pari delle statuizioni finali della sentenza, ma soprattutto perché essi pure connotati da potenziale stabilità (v. art. 189 disp. att. c.p.c.).

Del resto la stessa Corte Costituzionale, nel dichiarare, con la sentenza n. 258 del 1996, l'illegittimità costituzionale dell'art. 156, sesto comma, cc., nella parte in cui non prevedeva che anche il giudice istruttore potesse adottare, nel corso della causa di separazione, il provvedimento di sequestro in esame, fatto richiamo dell'orientamento secondo cui il provvedimento previsto dall'art. 156 cod. civ. - ancorché denominato "sequestro" - avesse caratteri del tutto peculiari rispetto all'ordinario sequestro conservativo disciplinato dagli artt. 671 e seguenti c.p.c., ebbe a rilevare l'esistenza di significative differenze tra i due provvedimenti, oltre che sulla base degli elementi già sopra presi in considerazione, anche sul rilievo che il sequestro conservativo "tipico" poteva essere richiesto e concesso ante causam, mentre l'applicabilità della misura in esame era subordinata dal legislatore alla conclusione del giudizio di separazione, ed oggi lo è quantomeno alla adozione dei provvedimenti presidenziali provvisori. Il giudice delle leggi, riprendendo un passaggio ricorrente in diverse pronunce di legittimità, sottolineò nell'occasione - a riprova della diversa natura dei due istituti, la prevalente "funzione di coazione, anche psicologica, all'adempimento degli obblighi di mantenimento posti a carico di uno dei coniugi", formulando infine la conclusione che "detto provvedimento non si sovrappone al sequestro conservativo, ne' è possibile ricomprenderlo nel richiamo che l'art. 669 quaterdecies cod. proc. civ. fa alle cosiddette misure cautelari atipiche".

Ora, la pronuncia della Corte di Cassazione del 2012 cui il collegio non ritiene di prestare adesione, riconosce l'esistenza di "un problema di compatibilità ... in ordine all'eventuale concorso con un titolo esecutivo giudiziale già idoneo, di per sé, alla soddisfazione del diritto mediante esecuzione coattiva", superando tale ostacolo sul rilievo "che l'accertamento giudiziario di un'obbligazione di mantenimento, quale presupposto del sequestro - ma non indefettibile, dopo la sentenza additiva che ne ha esteso l'adottabilità anche in corso di causa di separazione (Corte cost. 19 luglio 1996, n. 258)-n.258) - riguarda solo la genesi del credito: dovendo poi tradursi, volta per volta, in un titolo esecutivo per i singoli contributi storicamente inadempiuti (che potrebbero involgere anche spese straordinarie imprevedibili ab origine nell'an e nel quantum), all'esito di un nuovo giudizio di cognizione, successivo al sequestro", affermazione questa che parrebbe voler estendere a tutti i casi di inadempienza la necessità di munirsi "di volta in volta" di uno specifico titolo esecutivo, esigenza che sussiste invece unicamente nel caso specifico del mancato concorso nelle spese straordinarie, che proprio in quanto imprevedibili, non possono essere quantificate a priori nel provvedimento giudiziale.

Anche in questo caso pertanto l'argomento speso non pare conclusivo; in definitiva, si ritiene che la misura in questione, in quanto non assimilabile ad un provvedimento cautelare in senso stretto, non sia a sua volta soggetta alla relativa disciplina processuale, ivi compreso il profilo della reclamabilità ex art. 669 terdecies c.p.c.
Anche prescindendo dunque dall'erronea indicazione del giudice individuato per decidere dell'impugnazione, le doglianze della parte reclamante non avrebbero trovato accoglimento, per mancanza di ammissibilità del rimedio esperito.
Tornando alla questione preliminare della scelta del giudice operata dal reclamante, posto che questi ha chiesto in via di subordine che gli venisse assegnato un termine per la riassunzione dinanzi al giudice ritenuto competente, occorre fare richiamo al principio (v. Cass Sez. 1, Sentenza n. 26375 del 07/12/2011, recentemente ribadito da Sez. 3, Sentenza n. 11259 del 21/05/2014) secondo cui "nel nostro ordinamento processuale civile non ha fondamento l'assunto secondo cui la regola d'individuazione dell'ufficio giudiziario legittimato a essere investito dell'impugnazione sia riconducibile alla nozione di competenza adoperata dal codice di procedura civile nel Capo I del Titolo I del Libro I, in quanto, se anche la normativa in parola assolve a uno scopo simile, sul piano funzionale, a quello che ha la disciplina dell'individuazione del giudice competente in primo grado, l'una e l'altra afferendo a regole che stabiliscono davanti a quale giudice debba svolgersi un determinato processo civile, tuttavia non è possibile ravvisare tra le due fattispecie una stessa "ratio" sufficiente, quindi, a giustificare l'estensione analogica anche parziale di aspetti applicativi della seconda alla prima.
Ne deriva che l'erronea individuazione del giudice legittimato a decidere sull'impugnazione non si pone come questione di competenza, ma riguarda la valutazione delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame, che deve, pertanto, dichiararsi precluso se prospettato a un giudice diverso da quello individuato dall'art. 341 cod. proc. civ. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione con cui la corte d'appello, invece di limitarsi a dichiarare inammissibile l'appello, aveva dichiarato la propria incompetenza, in favore del tribunale, a decidere il gravame avverso una sentenza del giudice di pace, e ha escluso la conversione del ricorso per cassazione, con cui si era dedotta la nullità della sentenza per vizio "in procedendo", in regolamento di competenza).
Il ricorso è quindi anche sotto questo preliminare ed assorbente profilo, da dichiarare inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.

PQM

- Dichiara inammissibile il reclamo e condanna la parte reclamante al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 1.200,00 per compensi professionali, oltre iva e cpa.
Si comunichi.
Così deciso in Roma il 3 ottobre 2014.
Depositata in Cancelleria il 3 ottobre 2014.


 

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