REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta - Presidente -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. SCRIMA Antonietta - Consigliere -
Dott. VINCENTI Enzo - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 103-2013 proposto da:
CRC DISCOTECA LE CLUB DI D'AGOSTINO DOMENICO & C SNC IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo liquidatore e rappresentante pro tempore D.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA, 11, presso lo studio dell'avvocato PROTO TOMMASO, rappresentata e difesa dall'avvocato BELLANDI ELENA giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FONDIARIA SAI SPA, in persona del suo Procuratore Speciale Dott. G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio dell'avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FASOLA ENRICA, PICARDI ROBERTO, RIVELLESE NICOLA giusta procura speciale notarile del Dott. Notaio CORRADO TETI in MILANO del 30/07/2013 rep. n. 249350;
- resistente -
avverso la sentenza n. 1682/2011 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 22/11/2011 R.G.N. 626/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/07/2015 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l'Avvocato TOMMASO PROTO per delega; udito l'Avvocato ENRICA FASOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il 28.6.2008 un autoveicolo di proprietà di C.M. venne coinvolto in un sinistro stradale, che causò lesioni personali ai due occupanti (diversi dalla proprietaria) e danni al mezzo.
Sul presupposto che il sinistro fosse stato causato da un veicolo rimasto ignoto, C.M. nel 2010 convenne dinanzi al Giudice di Pace di Torino la società Reale Mutua, quale impresa designata dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada, per ottenere il risarcimento del danno al mezzo.

2. L'impresa designata si costituì e negò che l'indennizzo fosse dovuto, sul presupposto che il danno alle cose, quando il sinistro sia stato causato da veicoli non identificati, è dovuto solo in presenza di "lesioni gravi" alla persona, nella specie insussistenti.
3. Con sentenza 22.6.2010 n. 8034 il Giudice di Pace accolse la domanda, ritenendo che il concetto di "gravità delle lesioni" di cui all'art. 283 cod. ass. dovesse desumersi dalle norme penali sul reato di lesioni (art. 583 c.p.), e che le lesioni patite dagli occupanti del mezzo, alla luce di tale criterio, fossero da ritenere "gravi".
4. La sentenza venne appellata dalla Reale Mutua.
Il Tribunale di Torino con sentenza 3.4.20102 n. 2344 accolse il gravame e rigettò la domanda attorea, ritenendo che per "lesioni gravi", ai fini dell'indennizzabilità dei danni alle cose causati da veicolo sconosciuto, dovessero intendersi soltanto quelle produttive di postumi superiori a 9 punti di invalidità permanente, in virtù del combinato disposto degli artt. 138 e 139 cod. ass..
5. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da C.M., con ricorso fondato su 5 motivi.
Ha resistito con controricorso la Reale Mutua.

Motivazione

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3.
Si assume violato l'art. 283 cod. ass.
Espone, al riguardo, che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere "danni gravi alla persona" solo quelli che causano postumi superiori al 9%.
Sostiene che sia alla luce del diritto comunitario, sia alla luce dell'interpretazione sistematica, i "danni gravi alla persona" che, ai sensi dell'art. 283 cod. ass., consentono di pretendere il risarcimento anche dei danni alle cose - nel caso di sinistri causati da veicoli non identificati - non sono soltanto quelli che hanno provocato postumi permanenti superiori al 9%, ma anche tutti i danni alla persona che siano consistiti in lesioni di diritti fondamentali, ovvero che abbiano comportato la necessità di cure ospedaliere.

1.2. Il motivo è infondato.
L'art. 283, comma 2, cod. ass., stabilisce che nel caso di sinistro stradale causato da veicolo non identificato, il risarcimento per i danni alle cose è dovuto solo "in caso di danni gravi alla persona", e solo per la parte eccedente l'importo di 500 Euro.
Poichè l'art. 283 cod. ass. non indica quali siano i "danni gravi alla persona", è giocoforza ricorrere ai tradizionali strumenti dell'ermeneutica per completare la norma.
Nel nostro caso sia l'interpretazione sistematica, sia quella storica, sia quella finalistica, inducono a concludere che per "danni gravi alla persona" debbono intendersi quelli che provocano postumi permanenti eccedenti i 9 punti di invalidità permanente, ai sensi dell'art. 138 cod. ass.. Corretta, pertanto, è stata la decisione del Tribunale di Torino.


1.2.1. Dal punto di vista dell'interpretazione sistematica, l'art. 283 cod. ass. è una norma speciale. E' speciale perchè disciplina non il risarcimento del danno causato da di qualsiasi fatto illecito, ma solo di quello derivante da circolazione stradale; ed è speciale in seno alla disciplina dell'assicurazione r.c.a., perchè in deroga al principio generale di cui all'art. 144 cod. ass., pone un limite al risarcimento dei danni patrimoniali.
In quanto norma doppiamente speciale, essa va letta nel quadro del testo normativo in cui è inserita, in virtù del tradizionale principio incivile est, nisi tota lege perspecta, una aliqua particula eius iudicare ve respondere.
E' infatti principio dettato dalla logica, prima che dalla scienza del diritto, quello secondo cui una norma inserita in un testo normativo organico debba essere, in caso di incertezza, illuminata dagli altri precetti contenuti nel testo cui appartiene, piuttosto che alla luce di regole ad esso estranee.
Nel codice delle assicurazioni gli artt. 138 e 139 distinguono giustappunto le lesioni "di non lieve entità" (art. 138 cod. ass.) da quelle "di lieve entità" (art. 139 cod. ass.).
Le due norme prevedono per le une e le altre diversi baremes per l'accertamento dell'invalidità; diversi valori monetari per la liquidazione del danno, e diversi criteri di personalizzazione del risarcimento.
E' giocoforza dunque concludere che le lesioni "gravi" di cui è menzione nell'art. 283 cod. ass. coincidono con quelle "non lievi" di cui all'art. 139 cod. ass.. Le due norme sono tra loro perfettamente coerenti.

Poichè l'apparente incompletezza dell'art. 283 cod. ass. può dunque essere colmata attraverso le altre previsioni contenute nel D.Lgs. n. 209 del 2005, non v'è bisogno di cercare altrove il senso dell'espressione "danni gravi alla persona". Tanto meno quella espressione può essere interpretata alla luce di norme contenute nel codice penale, le quali non si fondano sulla logica del risarcimento, ma su quella della sanzione, come correttamente rilevato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni.

1.2.2. Dal punto di vista dell'interpretazione storica, il precetto di cui all'art. 283 cod. ass. venne introdotto nel nostro ordinamento in attuazione dell'ari. 1, comma 6, della Direttiva 30.12.1983 n. 84/5/CEE, come modificato dalla Direttiva 11.5.2005 n. 2005/14/CE. Al precetto comunitario diede attuazione il D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 198, che sostituì dell'art. 283 cod. ass., il comma 2.
Il progetto originano della Direttiva 2005/14 (in Gazz. Uff. CE, n. 227E del 24.9.2002, pagg. 387-392) espressamente prevedeva che "data la difficoltà di arrivare ad una definizione armonizzata di gravi danni alle persone, la definizione di questo concetto viene lasciata alla legislazione nazionale". Durante l'iter formativo della Direttiva 2005/14 questa previsione venne criticata dal Comitato Economico e Sociale Europeo, nel parere sulla Direttiva rilasciato dal il 26.2.2003 (in Gazz. uff. CE, n. C95 del 23.4.2003, p. 45). In quel parere il CESE osservò di non approvare "la limitazione, contenuta nel secondo capoverso dello stesso paragrafo, alle gravi lesioni fisiche, in quanto la loro definizione non deve essere in nessun caso di competenza degli Stati membri, per l'ovvia ragione che si creerebbero differenze di regime per le vittime a seconda dei paesi in una materia che dev'essere armonizzata".
L'osservazione del Comitato non venne tuttavia recepita nè dalla Commissione (che aveva proposto la Direttiva), nè dal Parlamento.
Questa particolare vicenda rende evidente come il legislatore comunitario volle espressamente evitare di definire il concetto di "lesioni gravi", e volle lasciarne la definizione agli ordinamenti degli Stati membri. Ciò vuoi dire che non è criterio ermeneutico corretto quello - invocato dalla ricorrente - di cercare, nella Direttiva 2005/14 o in altre norme di diritto comunitario, spunti per la definizione del concetto di "danno grave alla persona": per la semplice ragione che il legislatore comunitario ha voluto deliberatamente e dichiaratamente evitare ogni impegno al riguardo.

1.2.3. Dal punto di vista dell'interpretazione finalistica, infine, v'è da rilevare che lo scopo della limitazione del risarcimento del danno a cose nei soli casi di danni gravi alle persona fu quello di evitare frodi in danno del fondo di garanzia per le vittime della strada.
Lo si afferma nella relazione alla Proposta di Direttiva 2005/14, ove si afferma che quando un sinistro abbia causato danni gravi alla persona, "il rischio di frode è (...) pressochè inesistente", e di conseguenza il danno alle cose può essere risarcito, posto che - questo è il senso della relazione - nessuno si ferirebbe gravemente per ottenere i risarcimento del danno all'automobile.
Ora, è noto che le norme vanno interpretate in conformità alla loro ratio. Se dunque lo sbarramento di cui all'art. 283, comma 2, cod. ass. serve a prevenire le frodi, è del tutto coerente con tale ratio ammettere il risarcimento del danno alle cose quando il sinistro abbia provocato esiti macropermanenti, e negarlo nel caso contrario: infatti un danno alla salute micropermanente (ad es., postumi di lievi traumi contusivi o colpo di frusta) può essere simulato, l'amputazione d'un arto no.
Nè varrebbe obiettare che anche tra le lesioni con postumi inferiori al 9% possono rientrare danni non simulabili (ad es., l'amputazione d'una falange ungueale): adducere inconveniens, infatti, non est solvere argumentum, e qualunque linea di demarcazione fissata dalla legge comporta necessariamente la possibilità di una disparità di trattamento in punto di fatto.
Basti considerare che anche alla tesi della ricorrente ("sono gravi tutte le lesioni per le quali c'è stato ricovero ospedaliero") si potrebbe obiettare che non possono escludersi gravissime lesioni che non hanno comportato alcun ricovero (si pensi allo sfregio deturpante del volto curato in pronto soccorso e senza ricovero), nè all'opposto può escludersi che danni bagatellari rendano necessario il ricorso all'ospedalizzazione.

1.3. Il ricorso va dunque rigettato alla luce del seguente motivo di diritto:

Nel caso di sinistro causato da veicolo non identificato, il danno alle cose è risarcibile solo se dal fatto siano derivati anche danni alla persona consistiti in una invalidità superiore al 9%, ai sensi dell'art. 138 cod. ass..

2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso.

2.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.
Con essi la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati l'art. 2059 c.c.; artt. 138 e 139 cod. ass.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto il danno morale ricompreso nel danno biologico, mentre esso costituisce un pregiudizio autonomo. La tesi della ricorrente è che se il Tribunale avesse ritenuto il danno morale non ricompreso nella liquidazione del danno biologico, il danno alla persona si sarebbe dovuto qualificare come "grave", ed ammettere di conseguenza anche il risarcimento del danno al veicolo.

2.2. Ambedue i motivi sono inammissibili per totale estraneità rispetto alla ratio decidendi.
Il Tribunale ha infatti rigettato la domanda di risarcimento del danno al veicolo sul presupposto che gli occupanti di esso avevano patito lesioni guarite con postumi inferiori al 9%, e che tali lesioni erano dunque "non gravi" ai sensi dell'art. 139 cod. ass..
Si è visto al 1 e ss., tuttavia, che nel sistema della legge il discrimine tra danno alle cose risarcibili e danni alle cose irrisarcibili è rappresentato dall'entità dei postumi permanenti provocati ad una qualsiasi delle vittime del medesimo sinistro.
Nulla rileva, pertanto, se quei postumi debbano essere risarciti nella misura standard risultate dall'applicazione della tabella di legge, ovvero in misura superiore per tenere conto delle specificità del caso concreto. E' infatti il grado di invalidità permanente, e non l'ammontare pecuniario del risarcimento del danno alla persona, la soglia scelta dal legislatore per tracciare la demarcazione tra danni alle cose risarcibili ed irrisarcibili. Ne consegue che, quale che fosse la soluzione che si volesse dare in iure al problema dei rapporti tra danno biologico e danno morale, essa non muterebbe in facto la correttezza della decisione impugnata.
Nè sarà superfluo aggiungere che è la stessa ricorrente ad allegare che, in conseguenza dei sinistro, gli occupanti del veicolo patirono contusioni varie e una distrazione del rachide cervicale: lesioni che solo con una buona dose di nonchalance possono essere ritenute "gravi".

3. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso.

3.1. Anche il quarto ed il quinto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.
Con essi la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati gli artt. 1218, 1223, 2056 e 2058 c.c.; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 1 nonchè un non meglio precisato "L. 5 febbraio 1992, art. 6"); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5.
Lamenta, al riguardo, che il Tribunale avrebbe errato nello stimare i danni al veicolo, perchè non ha conteggiato l'IVA. 3.2. Il motivo è assorbito dal rigetto dei motivi precedenti.

4. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 1.

PQM

la Corte di cassazione:
visto l'art. 380 c.p.c.:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna C.M. alla rifusione in favore di Reale Mutua Assicurazioni delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 1.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 16 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2015


 

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