LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore - Presidente -
Dott. MACIOCE Luigi - Consigliere -
Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. CAMPANILE Pietro - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 12068/2012 proposto da:
C.A., P.R. - ricorrenti -
contro
M.I.D.L. in qualità di tutore del minore P.M., - controricorrente -
e contro
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Bari; - intimati -
avverso la sentenza n. 507/2011 della Corte d'Appello di Bari del 22.4.2011, depositata il 31/05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2013 dal Consigliere Relatore Dott. Pietro Campanile;
udito per la controricorrente l'Avvocato Guido Romanelli (per delega avv. Marialaura Basso) che si riporta agli scritti.
E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott. Libertino Alberto Russo che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso ed inoltre si riporta alla relazione scritta.

Motivazione

Il Consigliere delegato ha depositato, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione.
Con sentenza in data 17 dicembre 2008 il Tribunale per i minorenni di Bari hiarava lo stato di adottabilità del minore B.M., nata a _____
L'appello proposto dai genitori P.R. e C.A. veniva rigettato dalla Corte d'appello di Bari, sezione minori, con decisione n. 507 del 31 maggio 2011, nella quale si riteneva che gli aspetti evidenziati nella decisione appellata circa lo stato di abbandono morale e materiale del minore fossero sussistenti.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso il P. e la C., chiedendone la cassazione sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la nutrice del minore, M.I. D.L.
Si ritiene che in relazione al ricorso in esame possa emettersi ordinanza di inammissibilità, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c.
Emerge dall'esame degli atti che la sentenza impugnata, depositata il 31 maggio 2011, secondo la prescrizione contenuta nella L. n. 184 del 1983, art. 17, è stata notificata, tramite fax (sulla cui validità ed efficacia, in assenza di contestazioni, cfr. Cass., 30 marzo 2012, n. 5168), al domicilio eletto in data 1 giugno 2011.
Il ricorso in esame risulta quindi tardivamente proposto, non essendosi rispettato il termine di trenta giorni specificamente previsto al riguardo.
La L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 17, comma 4, dispone, infatti, che avverso la sentenza emessa in materia di adottabilità del minore, le parti legittimate "possono con ricorso proporre impugnazione, entro trenta giorni dalla notifica dinanzi alla sezione per i minorenni della Corte d'Appello"..., e al comma 5 che "avverso la sentenza della Corte d'Appello è ammesso ricorso per Cassazione per violazione di legge entro trenta giorni dalla notificazione".
Questo chiaro dettato normativo è stato interpretato da questa Corte nel senso che "ai fini del ricorso per Cassazione la sentenza emessa dalla Corte d'Appello-Sezione minorile - in tema di opposizione alla dichiarazione di adottabilità, la notifica d'ufficio di detta sentenza effettuata alla stregua del disposto della 4 maggio 1983, n. 184, art. 17, comma 3, è idonea a far decorrere il termine dimidiato di trenta giorni di cui all'ultimo comma di detta norma, senza che tale limitazione temporale al giudizio di legittimità, quali che siano i motivi del ricorso, arrechi alcun apprezzabile vulnus al diritto di difesa delle parti interessate, che sono perciò comunque tenute al suo rispetto (Cfr. Cass. Sez. Un., 5 aprile 2005, n. 6985).
E' stato altresì precisato che ai fini del ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte d'appello - sezione minorile - in tema di opposizione alla dichiarazione di adottabilità, la notifica di ufficio di detta sentenza, effettuata alla stregua del - è idonea a far decorrere il termine dimidiato di trenta giorni di cui all'u.c. del medesimo art. 17, con la conseguente inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto oltre detto termine (Cass., 28 febbraio 2006, n. 4396; Cass., 1 marzo 2005, n. 4292)".
Con memoria in data 5 febbraio 2013 la difesa dei ricorrenti ha rilevato che la circostanza posta alla base dell'inammissibilità del ricorso, indicata nella relazione nella notifica altre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza, non trova riscontro nelle risultanze processuali, in quanto nel caso di specie la decisione impugnata sarebbe stata notificata soltanto per estratto.
Il rilievo è fondato, in quanto, come emerge dalla documentazione allegata alla memoria, la sentenza della Corte di appello di Bari non è stata notificata nella sua stesura integrale: in tal caso non può trovare applicazione il termine breve previsto dalla L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 17, comma 3. Soccorre, in proposito, il principio secondo cui, in presenza di una comunicazione di cancelleria eseguita a mezzo telefax nel rispetto di quanto dispone l'art. 136 c.p.c., comma 3, l'attestato del cancelliere da cui risulti che il messaggio è stato trasmesso con successo al numero di fax corrispondente a quello del destinatario è sufficiente a far considerare la comunicazione avvenuta, salvo che il destinatario fornisca elementi idonei a fornire la prova del mancato o incompleto ricevimento (Cass., 30 marzo 2012, n. 5168).
Osserva tuttavia il Collegio che nel caso in esame sussistono le condizioni per la pronuncia in Camera di consiglio, ricorrendo in ogni caso una delle ipotesi previste dall'art. 375 c.p.c., ancorchè diversa da quella indicata nella relazione (Cass., Sez. un., 16 aprile 2009, n. 8999).
Invero il primo motivo, con il quale si denuncia, sotto due distinti profili, violazione della L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 4, come successivamente modificato, in relazione alla ritenuta inapplicabilità della norma, per essersi considerato il procedimento iniziato nell'anno 1996, e, comunque, per non aver considerato inutilizzabili gli atti compiuti anteriormente all'entrata in vigore della L. n. 149 del 2001, come prorogata fino al 30 giugno 2007, è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Deve invero constatarsi che al giudizio di secondo grado, come emerge dalla decisione impugnata, ha partecipato sin dall'inizio la tutrice del minore, mentre non risulta nè dal tenore di tale decisione, nè dal ricorso, quale segmento processuale si sia svolto senza che il predetto minore sia stato privo di rappresentanza o assistenza.
Premesso che questa Corte ha affermato il principio secondo cui la rappresentanza legale del minore nel giudizio di adozione ben può avvenire attraverso il proprio tutore, laddove, come nel caso, non esistano elementi concreti tali da far desumere un conflitto di interessi e, quindi, da imporre la nomina di un curatore speciale (cfr. Cass., 4 luglio 2010, n. 16553), deve constatarsi che nel giudizio di merito il minore, quale parte sostanziale del procedimento, ha partecipato attraverso la propria tutrice, che ha nominato all'uopo un difensore.
La tesi secondo cui sarebbe stato violato il diritto di difesa del minore si fonda su un assunto, privo di precisi riferimenti, anche di natura cronologica, al periodo in cui il minore sarebbe stato sprovvisto di rappresentanza.
Assume in proposito decisivo ed assorbente rilievo il principio, affermato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui alla ritardata costituzione del difensore del minore o alla mancata assistenza da parte di costui ad uno o più atti processuali non consegue l'automatica declaratoria della nullità dell'intero processo e/o dell'atto e di tutti quelli successivi, potendo tale sanzione essere invocata dal pubblico ministero o dalle altre partì solo previa allegazione e dimostrazione del reale pregiudizio che la tardiva costituzione o la mancata partecipazione all'atto ha comportato per la tutela effettiva del minore (Cass. 26 marzo 2010 n. 7281).
Il motivo in esame, sotto tale profilo, è assolutamente carente, risolvendosi in una mera denuncia, fine a se stessa, di non meglio precisate carenze sotto il profilo della tutela, laddove non è neppure allegato un potenziale conflitto di interessi in capo al tutore, la cui è finalizzata anche allo scopo - realizzatosi nel caso in esame - di dare al minore un rappresentante legale che abbia la legittimazione a stare in giudizio in nome e per conto dello stesso, onde valutarne e attuarne i superiori preminenti interessi (Cass., 26 aprile 2010, n. 9958).
Quanto al secondo motivo, con il quale si denuncia violazione della legge n. 184 del 1983 come modificata dalla L. n. 149 del 2001, in relazione alla sussistenza dello stato di abbandono del minore, nonchè vizio motivazionale relativo a tale aspetto (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), deve rilevarsi che trattasi di una doglianza con la quale si introduce una diversa valutazione del merito, inammissibile in questa sede.
La Corte di appello, ha innanzitutto rilevato che il bambino, quando aveva soltanto un mese di vita (il _______), era stato collocato presso l'IPPAI di Bari: la madre si era rifiutata di restare nell'istituto per accudire il figlio, mentre il padre si trovava in stato di detenzione. La sempre maggiore sporadicità delle visite della madre aveva condotto, dopo circa un anno (il _______) all'affidamento preadottivo a una coppia con la quale il minore è sempre rimasto.
La Corte ha quindi posto in evidenza come lo stato di abbandono non potesse considerarsi temporaneo, avendo per altro la madre dichiarato, in presenza del difensore, che "per M. era difficile per lei poter costruire un rapporto affettivo che non era mai nato in radice, non avendo il bambino mai trascorso lungo tempo con lei, ma essendo stato, diversamente dai due fratelli, istituzionalizzato sin dalla nascita, ed essendogli quindi mancati proprio i primi momenti dell'attaccamento materno".
E' stato inoltre richiamato il risultato della consulenza secondo cui - nell'anno 1998 - nell'interesse del minore non potevano riprendersi i contratti fra lo stesso e i genitori naturali, che avrebbero potuto determinare "esiti imprevedibili sulla stabilità emotiva del piccolo appena ricostruita", facendosi presente il periodo di lungo silenzio, durato molti anni, da parte degli odierni ricorrenti, "significativo del sostanziale disinteresse della coppia genitoriale nei confronti di M.", rappresentandosi come quest'ultimo avesse dichiarato di voler essere adottato.
La Corte di appello ha quindi verificato la sussistenza di un reale e irreversibile stato di abbandono, fornendo al riguardo congrua motivazione, anche con riferimento all'interesse del minore e alle sue aspirazioni.
Avuto riguardo alla delicatezza dei temi trattati, alla natura della causa e al lungo e travagliato giudizio di merito, ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e compensa le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile - 1, il 19 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2013


 

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