REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Presidente -
Dott. MIGLIUCCI Emilio - rel. Consigliere -
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Consigliere -
Dott. SCALISI Antonio - Consigliere -
Dott. SCARPA Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 21953/2011 proposto da:
N.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI RIZZO 41, presso lo studio dell'avvocato TORTORA MARIA ANTONIETTA, rappresentata e difesa dagli avvocati VITTORIANO BRUNO, ANTONELLO BRUNO;
- ricorrente -
contro
G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIOVANNI RANDACCIO, 1, presso lo studio dell'avvocato MUSA LEONARDO, rappresentata e difesa dall'avvocato CONTE AUGUSTO;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 7/2011 della CORTE D'APPELLO di LECCE, depositata il 08/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/01/2016 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. N.P. con atto di citazione del 10 ottobre 1999 adiva il Tribunale di Brindisi, Sez. Dist. di Francavilla Fontana perchè fosse dichiarata la risoluzione della disposizione testamentaria con la quale sua moglie B.A. aveva legato a G.M. la sua quota di proprietà di un immobile sito in ___.
Egli esponeva che: la legataria non aveva adempiuto all'onere impostole di provvedere alle esigenze sue e della moglie; era stato abbandonato a se stesso dall'estate del 1998.
G.M. si era costituita ed aveva chiesto il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, la corresponsione del compenso per il servizio di assistenza reso al N.
Il Tribunale di Brindisi, Sez. Dist. di Francavilla Fontana, con sentenza n. 223/05 accoglieva la domanda attrice e rigettava quella riconvenzionale.
G.M. proponeva appello con cui si doleva della decisione di prime cure e ne chiedeva la riforma.
La Corte di Appello di Lecce, nella resistenza dell'appellato, a cui con comparsa di costituzione del 22 febbraio 2007 si era sostituita N.A., nella qualità di erede, con sentenza n. 7/2011 rigettava la domanda accolta in primo grado.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che la risoluzione di una disposizione testamentaria per inadempimento di un modus non poteva essere chiesta dal relativo beneficiario.
Avverso la suindicata sentenza della Corte di Appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione N.A., articolandolo su un motivo. G.M. ha resistito con controricorso.

Motivazione

1. Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione avanzata da G.M., secondo la quale il ricorso sarebbe stato proposto tardivamente in quanto non sarebbe stato rispettato il termine di sei mesi previsto dall'art. 327 c.p.c., come modificato dalla L. n. 69 del 2009. Questa è infondata, in quanto la L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17, che ha abbreviato in sei mesi il termine di proposizione delle impugnazioni ex art. 327 c.p.c., trova applicazione, ai sensi dell'art. 58, comma 1, della stessa legge, ai soli giudizi iniziati dopo il 4 luglio 2009 (Cass., Sez. 1, sentenza n. 17060 del 5 ottobre 2012, Rv. 624680). Nella specie, l'atto introduttivo del giudizio di primo grado risale al 10 ottobre 1999, con la conseguenza che il ricorso poteva essere proposto entro un anno dalla pubblicazione della sentenza, come previsto dall'art. 327 c.p.c. nel testo all'epoca vigente e come, in concreto, avvenuto (la sentenza di appello è stata depositata in cancelleria l'8 gennaio 2011, mentre il ricorso in esame è stato notificato il 15 settembre 2011).

2. Con il suo unico motivo di ricorso N.A. impugna la sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 647, 648, 677, 1253 e 1256 c.c.
La Corte di Appello di Lecce avrebbe errato, ad avviso della ricorrente, nel ritenere che il beneficiario di un onere rimasto inadempiuto che fosse pure erede non fosse legittimato a chiedere la risoluzione della disposizione testamentaria a cui accedeva il detto onere.

Il motivo è fondato.
Ai sensi dell'art. 648 c.c., comma 2, "Nel caso d'inadempimento dell'onere, l'autorità giudiziaria può pronunziare la risoluzione della disposizione testamentaria, se la risoluzione è stata prevista dal testatore, o se l'adempimento dell'onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione". Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, tale disposizione va interpretata nel senso che, in tema di legato, l'inadempimento del modus ad opera del legatario legittima i prossimi congiunti del testatore, ancorchè eredi, nonchè i beneficiari dell'onere a proporre, oltre all'azione di adempimento, quella di risoluzione (Cass., Sez. 2, sentenza n. 2487 del 18 marzo 1999, Rv. 524268; Cass., Sez. 2, sentenza n. 2306 dell'11 giugno 1975, Rv. 376143). Con tale giurisprudenza non contrasta il precedente di Cass., Sez. 2, sentenza n. 3049 del 30 settembre 1968, Rv. 335909, menzionato dalla resistente, per il quale la legittimazione all'azione di adempimento del modo ed all'azione di risoluzione della disposizione testamentaria modale non riguarda le stesse persone. Infatti, la prima sarebbe più ampia rispetto alla seconda, spettando a qualsiasi interessato e, quindi, a chiunque abbia un interesse materiale od anche non patrimoniale all'adempimento, fra cui, ad esempio, il beneficiario del modus.

Con riferimento all'azione di risoluzione della disposizione testamentaria modale, invece, detta legittimazione andrebbe attribuita in base ai principi generali sull'interesse ad agire, di cui all'art. 100 c.p.c., interesse che è dato dalla situazione giuridica soggettiva di vantaggio sostanziale, il cui riconoscimento viene posto ad oggetto della pretesa fatta valere in giudizio, e che si concreta nella esigenza di conseguire un risultato utile o giuridicamente apprezzabile attraverso l'intervento del giudice. In tale ottica, il beneficiario dell'onere è da ritenere soggetto che sicuramente ha motivo per chiedere la risoluzione della disposizione testamentaria de qua. Egli, ove sia pure erede, riotterrebbe indietro la res, conseguendo un vantaggio patrimoniale; in ogni caso, potrebbe soddisfare le esigenze morali che erano state perseguite dal de cuius e che, a causa dell'inadempimento del legatario, erano rimaste irrealizzate. Pertanto, nella specie, la Corte di Appello di Lecce, statuendo che N.P., marito ed erede della de cuius, nonchè beneficiario del modus, non era legittimato a chiedere la risoluzione della disposizione in questione ex art. 648 c.c., comma 2, non ha rispettato la giurisprudenza summenzionata. Il ricorso è, quindi, fondato, sicchè la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla stessa corte territoriale, in diversa composizione, pure per le spese del presente giudizio di legittimità, affinchè decida la causa applicando il seguente principio di diritto: in tema di legato, l'inadempimento del modus ad opera del legatario legittima i prossimi congiunti del testatore, ancorchè eredi, nonchè i beneficiari dell'onere a proporre, oltre all'azione di adempimento, quella di risoluzione ex art. 648 c.c., comma 2.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione Civile, il 13 gennaio 2016.
Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2016


 

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