REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOlO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MILANO
SEZIONE 25
HA EMESSO LA SEGUENTE
SENTENZA

Svolgimento del processo

OGGETTO DELLA DOMANDA
Ricorsi riuniti avverso il provvedimento di voto contrario allo proposta di transazione fiscale ex art. 182 ter l.t. e avverso il diniego all'istanza di autotutela al fine dell'annullamento del provvedimento di voto contrario alla proposta di transazione fiscale ex art. 182 ter L.F.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Lo ricorrente, società per azioni in Iiquidazione e concordato preventivo, come sopra rappresentata e difesa, proponeva tempestivamente i ricorsi per i motivi dettagliatamente descritti nell'atto d'impugnazione e così di seguito riassunti:
premesso che
A. La dichiarazione di voto contrario è atto impugnabile innanzi alla giustizia tributaria,
B. tale atto è assimilabile al rigetto di domanda di definizione agevolata di rapporti tributari indicata nell'art, 19 dgs. 546/92,
C. il voto contrario si fonda su motivazioni confliggenti con lo Statuto del contribuente (art. 8 comma 1); sulla base di varie pronunce del giudice amministrativo, è da ritenere che I'impugnazione del provvedimento trova un limite per quanto concerne le questioni attinenti alle valutazioni di convenienza ma, laddove si verta sulla legittimità del rifiuto, ossia sullo rispondenza dell'azione amministrativa alle regole giuridiche, questa è certamente impugnabile innanzi al giudice tributario (In relazione alla Transazione fiscale; parere del Consiglio di Stato e c.m. 8/e del 4. 3.2005).
L'atto di approvazione è un atto interno mentre I'accordo sullo transazione si perfeziona con I'adesione espresso in sede di adunanza dei creditori.

La ricorrente, sulla base di varie pronunce del giudice amministrativo, ritiene che I'impugnazione del provvedimento trova un limite per quanto concerne le questioni attinenti aIle valutazioni di convenienza ma, laddove si verta sullo legittimità del rifiuto, ossia sulla rispondenza dell'azione amministrativa alle regole giuridiche, questa è certamente impugnabile innanzi al giudice tributario (Transazione fiscale; parere del Consiglio di Stato e c.m. 8/ e del 4.3.2005); e non può escludersi l'impugnabilità del diniego in quanto non incluso nell'elencazione di cui all'art. 19, in quanto lo stesso è assimilabile al rigetto della domanda di definizione agevolata di rapporti tributari.

Nel merito eccepisce quanto segue:
- operatività dell'istituto della compensazione (art. 8 Stat. Contr.) anche in mancanza di regolamenti ministeriali stante il carattere precettivo;
- il diniego si fonda sulla circostanza che il credito proposto in compensazione è stato oggetto di richiesta di rimborso, mentre, vi sono casi in cui l'alternatività tra rimborso
e compensazione è stata attuata;
- il superamento del limite annuale per la compensazione dei tributi; eccepito dall'Agenzia, è in contrasto con le disposizioni della Statuto del Contribuente;
- Mancata produzione della garanzia, eccepita dal/'Ufficio, quale titolo giustificativo del diniego è inconsistente, avendo avuto l'Ufficio sette mesi a disposizione per verificare la bontà del credito offerto in compensazione; ciò costituisce grave inadempienza, tra l'altro ancora in atto, in assenza di una pronuncia sui rimborso.
- Mancanza del requisito della continuità dell'impresa, eccepita dall'Ufficio senza citare normative di riferimento; in aggiunta all'assenza di qualsiasi contestazione concreta in merito al piano proposto dalla ricorrente; infattti gli obiettivi del piano concordatario, la conservazione delle componenti positive dell'impresa e dei livelli occupazionali erano coerenti con le indicazioni contenute nella circ. min. n. 40;
- Assoluta carenza d'analisi della proposta, avendo l'ufficio eccepito la mancata indicazione nella transazione fiscale del debito IVA, a fronte dell'esatta indicazione dello stesso
.

Su tali eccezioni e deduzioni, ha concluso rassegnando le seguenti conclusioni:
- rilevare l'illegittimità del provvedimento di voto contrario alla proposta di transazione fiscale ex art. 182 ter sulla base dei motivi su illustrati
- vittoria di spese


Si e costituito in giudizio I'Ufficio, il quale ha ribadito il carattere discrezionale del provvedimento per il quale la giurisdizione è quella del giudice amministrativo.

Nello specifico, deduce che l'attuazione del contenuto sancito nell'art. 8, L. 212 è subordinato all'emanazione di regolamenti; ribadendo che la legge finanziaria 2000 art. 34 impone dei limiti sia in tema di compensazione che di rimborso che non possono essere superati.
Infine, che non può sussistere continuità aziendale allorquando si decide di cedere un ramo d' azienda con contestuale chiusura di altri rami.
Ha concluso rassegnando Ie seguenti conclusioni:
- dichiarare l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione,'
- respingere iI ricorso in quanta infondato: vittoria di spese
.

Motivazione

Preliminarmente occorre sgomberare il campo dall'eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell'art. 19, D.Lgs. 546/92, in merito al difetto d'impugnabilità della dichiarazione di voto contrario alla proposta di transazione fiscale, ritenendo l'Ufficio che il predetto atto non possa trovare accoglimento nella giurisdizione tributaria.
Sul punto, occorre premettere che il giudice tributario può risolvere, in via incidentale, senza autorità di giudicato, ogni questione pregiudiziale alla pretesa fatta valere nell'ambito delle controversie rientranti nella propria giurisdizione con le sole eccezioni delle questioni in materia di falso e sullo stato o capacità delle persone diversa dalla capacita di stare in giudizio; ciò consente al Collegio di affrontare la questione sulla giurisdizione con piena cognizione.

Innanzitutto, va detto che in tema di diniego alla transazione fiscale nessuna opposizione può essere sollevata circa il diritto del contribuente di impugnare tale provvedimento, specialmente se questo ha impedito il concordato preventivo e I'accordo di ristrutturazione del debito facendo conseguentemente aprire la procedura fallimentare, con i relativi pesanti risvolti economici e morali per il fallito.
Viceversa, in merito a quale sia il giudice competente, la Commissione è consapevole che sono sorte diverse osservazioni che hanno prodotto posizioni non omogenee che possono essere riassunte in tre possibilità di individuazione dell'organo di giustizia do invocare; iI giudice tributario, il giudice amministrativo o il giudice ordinario.

La lettera della norma stabilisce che il diniego «e approvato» con atto del Direttore dell'Ufficio e solo successivamente espresso mediante voto contrario in sede di adunanza dei creditori; quindi, tale terminologia e tutt'altro che esplicita, sui presupposto che, in sede d'interpretazione letterale, per "approvazione" vada inteso I'atto di controllo con cui I'Amministrazione rende eseguibili ed efficaci atti giuridici già compiuti e perfezionati. Analogo dubbio si può riscontrare nell'ambito degli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
concluso con gli altri creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti ove, di fatto, l'Ufficio si sia espresso con un diniego.
Ciò indurrebbe a considerare che II voto dissenziente in sede di adunanza dei creditori non abbia natura propriamente tributaria e, conseguentemente, andrebbe esclusa la giurisdizione del Giudice tributario a favore del Giudice amministrativo, cosi come avviene più in generale, anche per tutti gli atti discrezionali.

In secondo luogo, sul presupposto che le citate valutazioni di merito, poi espresse tramite il voto in sede di adunanza dei creditori, formano parte di un accordo stipulato con tutti i creditori dal Commissario giudiziale, sia pure destinato ad essere sottoposto all'omologazione del tribunale, si potrebbe affermare che la natura tributaria del diniego espresso dall'Amministrazione rimane confinata solo all'interno del rapporto fra imprenditore ed Amministrazione stessa. per cui l'individuazione della giurisdizione andrebbe riferita al Giudice ordinario.

In considerazione delle predette osservazioni, ritiene il Collegio che il punto di partenza per la determinazione della giurisdizione sia costituito dal principio che la giurisdizione delle Commissioni presuppone la natura tributaria della controversia, essendo stata dichiarata l'illegittimità della norma che riservava alle Commissioni anche la cognizione delle sanzioni comunque irrogate dagli uffici finanziari (Corte cost. 2008/130). Per cui, si può, ricorrere al Giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con I'esplicitazione delle concrete ragioni che la sorreggono, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria.

I principi elaborati dalla Corte Costituzionale per qualificare come tributarie alcune entrate possono essere così riassunti:
- doverosità della prestazione;
- mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti;
- collegamento della prestazione alla pubblica spesa in relazione a un presupposto economicamente rilevante.
Mentre è del tutto irrilevante la formale denominazione della pretesa, ciò non esime dalla necessità, tenuto conto del disposto normativo di, comunque, individuare gli atti impugnabili davanti al giudice tributario.
In sintesi si può affermare che se I'atto impugnato è finalizzato all'accertamento del rapporto d'imposta, di diritto soggettivo e sottoposto alla giurisdizione delle commissioni tributarie.
II comma 2° dell'art. 12, L. n. 448/01, configura la giurisdizione tributaria come giurisdizione a carattere generale, che si radica in base alla materia, indipendentemente dalla specie dell'atto impugnato; poi I'art. 19 d.lgs, 546/1992, reca I'elenco degli atti dei vari uffici dell' A.F. e degli altri enti territoriali aventi capacita impositiva ed emessi in una delle materie descritte al precedente art, 2, suscettibili d'impugnazione avanti le commissioni tributarie. L'elencazione degli atti impugnabili davanti al giudice tributario, di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, non esclude I'impugnabilità di atti non compresi in tale novero ma contenenti la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria.
II principio da cui dedurre I'impugnabilità di un atto è desumibile dal postulato che un atto che abbia contenuto impositivo non può essere privato di tutela giurisdizionale. Va, al riguardo, operata una precisazione, nel senso che l'elencazione degli "atti impugnabili" contenuta nell'art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, tenuto conto dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n. 448 del 2001, deve essere interpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost) e di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.), riconoscendo la impugnabilità davanti al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall'ente impositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con I'esplicitazione delle concrete ragioni che la sorreggono, senza necessita di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo della spontaneo adempimento a cui è naturalmente preordinato, si vesta della forma impositiva di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 citato.

Pertanto, risulta ormai superato il principio della tassatività degli atti impugnabili indicati dall'art. 19 D.lgs 546/92, alla luce delle pronunce della Suprema Corte che hanno riconosciuto l'impugnativa e la consequenziale tutela giurisdizionale davanti alle Commissioni tributarie contro I'atto di revoca dell'accertamento con adesione e contro il diniego di autotutela. Infatti, anche il provvedimento di rigetto della domanda di condono è atto autonomamente impugnabile, in considerazione dello scopo che ha e degli effetti che produce, nonostante, I'assenza di una specifica previsione.
In merito alla fattispecie in esame, ritenuto che la valutazione in merito alla transazione fiscale parte dalla verifica delle posizioni tributarie; rilevato che oggetto della transazione fiscale è comunque una questione di natura tributaria basata su una verifica fondata sull'interpretazione e sull'applicazione di norme tributarie, si deve riconoscere l'impugnabilità di provvedimenti davanti al Giudice tributario ogni qual volta vi sia un collegamento fra atti della Amministrazione e rapporto tributario; nel senso che tali provvedimenti debbano essere idonei ad incidere sui rapporto tributario, dovendosi ritenere possibile una interpretazione non solo estensiva ed anche analogica della categoria degli atti impugnabili previsti dal citato art. 19, d.lgs. 546/92.
Per cui costituisce, ormai, principio affermato "che con I'art. 12. comma 2, della L. 28 dicembre 2001, n. 448 (secondo cui "appartengono aIla giurisdizione tributaria tutte Ie controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie") la giurisdizione tributaria è divenuta - nell'ambito suo proprio - una giurisdizione a carattere generale, competente ogni qual volta si controverta dl uno specifico rapporto tributario, o di sanzionl inflitte da uffici tributari. Di conseguenza, è stato modificato I'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto II contribuente può rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta abbia interesse a contestare la convinzione espressa dall'Amministrazione in ordine alla disciplina del rapporto tributario' (Cass., SS.UU., 10 agosto 2005. n. 16776).

Pertanto, nonostante l'elencazione tassativa degli atti impugnabili, contenuta nell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, il contribuente può impugnare anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco, purchè espressione di una compiuta pretesa tributaria.
Altra considerazione a supporto della giurisdizione tributaria è che la transazione fiscale produce degli effetti pressochè identici con le domande di definizione agevolata dei rapporti tributari, nonostante essi non siano espressione di un potere discrezionale, bensì un dovere di esercizio della pubblica funzione. L'art. 19 del D.lgs. 546/92, infatti, anche se non indica I'impugnazione alla transazione fiscale nell'elenco degli atti tassativamente indicati, devolve esplicitamente al giudice tributario I'impugnazione del rigetto di domande di definizione agevolata del rapporto tributario.
lnoltre, il diniego di transazione potrebbe essere assimilabile al diniego di autotutela per la fondatezza e legittimità dell' intera pretesa, ma anche alla luce delle sue possibilità di recupero, nonostante il nuovo elemento costituito dalla situazione di crisi imprenditoriale causa dell' indebitamento. Pertanto, ritiene la Commissione che la fattispecie di cui è controversia rientra nel novero della giurisdizione tributaria.

MERITO
L'istituto della transazione fiscale, disciplinato dall'art. 182-ter della LF., rappresenta una particolare procedura "transattiva' tra erario e contribuente, inserita nel corpo della Legge Fallimentare, nell'ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, avente ad oggetto la possibilità di pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che di quello chirografario. AI riguardo va osservato che l'istituto della transazione, rinvenibile nell'art. 1965 del cod. civ., è da considerare un'innovazione introdotta nell'ordinamento tributario, nel quale è storicamente applicabile il principio di indisponibilità del credito tributario.

Di conseguenza, la relativa disciplina normativa, sul presupposto che deroga alle regole generali, non può essere interpretata in via analogica o estensiva, costringendo l'interprete ad una stringente analisi letterale del contenuto (art. 14 disp. sulla legge in generale). Pertanto, per effetto del suddetto principio di indisponibilità del credito tributario, non è possibile pervenire ad una soddisfazione parziale dello stesso, al di fuori della specifica disciplina di cui all'articolo 182-ter.

Ciò comporta che l'eliminazione, la decurtazione o Ia rateizzazione del credito tributario è ammissibile soltanto qualora il debitore si attenga con puntualità alle disposizioni relative alla transazione fiscale di cui all'articolo 182-ter; mentre, va esclusa laddove, con il piano di cui all'art. 160 della L.F. ai fini del concordato preventivo, ovvero nell'ambito delle trattative che precedono la stipula dell'accordo di ristrutturazione di cui all'articolo 182-bis della L.F., la proposta di transazione fiscale non sia formulata in conformità delle citate disposizioni.
Tale conclusione vale in ogni caso, pur considerando che, ai sensi del nuovo comma 2° dell'art. 160 L.F., la proposta di concordato "può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente". Detta disposizione può riferirsi, infatti, ai crediti di natura tributaria a condizione che siano rispettate le disposizioni di cui al predetto articolo 182-ter, per cui, in assenza della proposta di transazione fiscale, i crediti tributari devono essere soddisfatti in maniera integraIe ed alle scadenze prescritte dalla legge.
Si osserva inoltre che, attualmente, l'inserimento della transazione fiscale nell'ambito delle procedure di concordato preventivo e dell'accordo di ristrutturazione fa sì che la stessa risulti assistita da garanzie di controllo da parte di organi giudiziali, all'interno di una procedura che vede la partecipazione dei creditori. La riforma del diritto fallimentare ha comportato I'abrogazione della transazione sui ruoli e la sua sostituzione con un istituto molto piu avanzato, qualificato come transazione fiscale, disciplinato dall'art. 182 ter L.F., ed inserito in concreto come procedimento endo-concorsuale.

Dall'esame della documentazione in atti, si rileva che la fattispecie di cui è controversia rientra nel quadro normativo prima descritto, ragion per cui la valutazione delle doglianze avanzate dalla contribuente vanno affrontate e risolte nell'ambito della specialità della disciplina della procedura concorsuale. Sul punto, si ritiene, quindi, che sotto il profilo formale sussistano tutti i presupposti che legittimano la proposizione dell'impugnazione. Infatti, la disciplina dell'art. 182 ter della L.F., offre una programmazione del rapporto con il Fisco diretta a favorire i connotati consensuali nella soddisfazione della pretesa, con specifica attenuazione della storica indisponibilità dell'obbligazione tributaria e i rigorosi vincoli formaIi riferibili al regime pubblicistico del rapporto.

Tutto ciò consente alla Commissione di esprimere valutazioni di merito in relazione alle determinazioni del Fisco intraprese in ordine al diniego alla proposta di transazione fiscale avanzata dalla contribuente.
Come si desume chiaramente dall'art. 182 ter, 1 ca., l'istituto può trovare applicazione soltanto nell'ambito del concordata preventivo, sia esso con ristrutturazione dei debiti (art. 160, 1 ca., lett. a), a con cessione dei beni (art. 160, 1 co., lett. b), ed ora, sulla base del decreto correttivo 12.9.2007, n. 169, anche nella procedura di ristrutturazione del debiti (art. 182 bis).
In tal senso, dispone il contenuto letterale dell'art. 183 ter, (nel testo modificato ed integrato dall'art. 32, D.L. n. 185/2008 - L. di conv. n. 2/2009 .), e comunque, di fronte ad un qualsiasi dubbio interpretativo e/a applicativo va seguita la logica dell'interpretazione, in ossequio alla ratio della norma, che ha prospettato, in tal modo I'eliminazione di disparità di trattamento tra Ie obbligazioni pubbliche e iI concorso dei privati.
In tale ottica, contrariamente, a quanto eccepito dall'Ufficio a supporto del diniego, è da considerare irrilevante l'assenza del decreto ministeriale attinente alle modalità di applicazione, ai criteri ed alle condizioni di valutazione della transazione fiscale da parte degli enti impositori, in quanto, in ogni caso, il decreto non può avere la forza normativa di stravolgere I'assetto legislativo prima evidenziato; in tal caso, infatti, si realizzerebbe un'eventuale invadenza produttiva di regolamenti e creazioni di prassi che, in ogni caso, non sono vincolanti in sede giurisdizionale.
Sotto questa profilo, quindi, ritiene il Collegio che I'eccezione, ribadita dall'Ufficio nelle proprie contro deduzioni, a giustificazione del diniego opposto, non abbia fondamento e, quindi, va censurata.

A questa punto, non e sfuggito al Collegio che il dissenso dell'Ufficio, sostanzialmente, si fonda sulla pretesa impraticabilità dell'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione del credito IVA, che viene ricondotta a mera e semplice applicazione della norma tributaria che disciplina la materia. Nello stesso ambito, quindi, vanno circoscritti i termini della controversia, per cui la stessa può essere affrontata e risolta con I'accertamento del diritto alla compensazione del credito; tale accertamento, pertanto, e assorbente di qualsiasi altra eccezione e deduzione ed in grado da solo di decidere Ie sorti del presente giudizio.
Si sottolinea, comunque, che i complessi e dettagliati oneri procedurali posti a carico degli uffici e dell'esattore sono funzionali alla esatta quantificazione ed al consolidamento del debito fiscale, unitariamente inteso e contestualizzato alla fase introduttiva della domanda di concordato preventivo.
Per cui, I'eventuale diniego deve conseguire ad una approfondita ed immediata verifica della posizione debitoria del contribuente, attività che dovrebbe concludersi prima di opporre il diniego in merito alla liquidità e certezza del credito IVA offerto in compensazione; mentre, nella fattispecie in esame, I'Ufficio, ha opposto il diniego senza avere prontamente, a seguito dell'istanza di rimborso e della presentazione della transazione, esercitato i poteri accertativi e di controllo (in questa sede, comunque, non conosciuti e non e data sapere se attuati) che avrebbero permesso di stabilire I'esistenza e iI quantum del credito IVA offerto in compensazione, ciò in palese violazione del principi costituzionali di "Buona Fede" e "Buon Andamento" della Pubblica Amministrazione.
Violando, altresì, il nucleo qualificante ed innovativo della transazione fiscale che, si ribadisce, non consiste nella decurtazione dei crediti tributari (già esistente prima della riforma come diretta conseguenza del concordato di cui all'art. 184 L.F.), ma che consiste nel consolidamento del rapporto con il Fisco, sui presupposto che la transazione fiscale postula una rigorosa fase di quantificazione del debito fiscale, sullo quale si innesta la definizione transattiva"; mentre, nel caso in esame (almeno da ciò che si desume dalle risultanze documentali) si rilevano ritardi ed imprecisioni da parte dell'Ufficio nel condurre e determinare gli inevitabili accertamenti sui quali eventualmente fondare il diniego. Per cui l'esigenza di ricondurre il Fisco sullo stesso piano degli altri creditori, ovvero di far prevalere I'interesse della procedura sull'interesse fiscale, sono state per lo più disattese, determinando un comportamento iIIegittimo.

Tornando alla specificità della questione, come prima evidenziato, rileva il Collegio che I'art. 160, 1°c., lett. a), della L. F. sancisce che nella procedura di concordato preventivo i crediti concorsuali possono essere soddisfatti "attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa I'attribuzione ai creditori nonchè a società da queste partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari o titoli di debito'.
Molto più rigoroso appare, invece, iI testo dell'art. 182-ter L.F., il quale prevede unicamente il "pagamento parziale o dilazionato'. Ritiene la Commissione che tale assunto ricomprende comunque la possibilità di compensare il credito tributario, trattandosi pur sempre di una forma di pagamento; in tal senso, I'orientamento della Cassazione (n. 6932/84), secondo la quale "Ia compensazione non è ammessa nella legislazione tributaria, se non nei limiti nei quali è esplicitamente regolata" (come eccepito dall'Ufficio nelle proprie contro deduzioni); tale assunto va armonizzato, in via interpretativa, con il disposto di cui all'art. 8, L. n. 212/2000 (c.d. "Statuto del contribuente").
Tale norma, pur non avendo rango costituzionale, costituisce principio generale dell'ordinamento tributario, e la stessa prevede espressamente che "I'obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione" e I'art. 169 L.F. (norma speciale in quanto applicabile solo al concordato preventivo), richiamando l'art. 56 L.F., esplicitamente disciplina i casi in cui è possibile estinguere un debito per compensazione.

Deve concludersi, quindi, che anche in caso di avvio di una procedura di transazione fiscale sia possibile compensare crediti e debiti tributari nei limiti imposti dall'art. 56 L.F. trattandosi di norma speciale.

Pertanto, i ricorsi riuniti sono fondati e vanno accolti, con consequenziale annullamento degli atti impugnati; mentre Ie spese, in considerazione delle particolari difficoltà interpretative della fattispecie, dell'assenza di giurisprudenza consolidato in merito alla determinazione della giurisdizione tributaria in tema di transazione fiscale nell'ambito della disciplina del concordato preventivo, si ritiene sussistano giustificati motivi per procedere alla loro integrale compensazione.

PQM

accogli i ricorsi riuniti; compensa le spese.
Così deciso in Milano il 29 ottobre 2013


 

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