REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro - Presidente -
Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere -
Dott. FERNANDES Giulio - Consigliere -
Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere -
Dott. MANCINO Rossana - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 23068-2013 proposto da:
B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 28, presso lo studio dell'avvocato BOLOGNESI RICCARDO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ORLANDI MAURO giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
TELECOM ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati BOCCIA FRANCO RAIMONDO, ROMEI ROBERTO, MORRICO ENZO giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2910/2013 della CORTE D'APPELLO di ROMA del 21/03/2013, depositata il 29/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;
uditi gli Avvocati Bolognesi Riccardo e Mauro Orlandi difensori del ricorrente che si riportano agli scritti;
udito l'Avvocato Roberto Romei difensore della controricorrente che si riporta agli scritti.

Motivazione

1. Il Tribunale di Roma dichiarava l'inefficacia della cessione da Telecom Italia S.p.A. a HP DCS s.p.a. del ramo d'azienda cui era addetto l'attuale ricorrente e condannava la cedente a ripristinare il rapporto di lavoro.
2. Telecom Italia S.p.A. non ottemperava all'ordine di ripristinare il rapporto di lavoro malgrado la formale offerta della prestazione ed il lavoratore, che continuava a lavorare per la società cessionaria, chiedeva ed otteneva, dal Tribunale di Roma, decreto ingiuntivo con il quale si intimava a Telecom il pagamento delle retribuzioni maturate.

3. L'opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo veniva rigettata dal Tribunale di Roma.

4. La Corte d'appello di Roma ha accolto il gravame svolto dalla società.
5. Ad avviso della Corte territoriale le conseguenze della condotta della Telecom s.p.a., pur illegittima (per non aver provveduto al ripristino della funzionalità del rapporto benchè a tanto sollecitata), non rilevava, in difetto della prestazione, sul piano retributivo ma sul solo piano risarcitorio, con conseguente eccepibilità o rilevabilità dell'aliunde perceptum, nel caso in esame di entità tale da elidere completamente il danno subito per effetto della perdita della retribuzione.

6. Il lavoratore ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a due motivi.
7. Telecom Italia s.p.a. ha resistito con controricorso.
8. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

9. Il ricorrente deduce violazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1256 e 1453 c.c., per avere la Corte territoriale escluso, nella fattispecie, il diritto alla retribuzione in conseguenza dell'omesso ripristino della funzionalità del rapporto e riconosciuto solo il diritto ad ottenere il risarcimento del danno, con detrazione dell'aliunde perceptum; violazione dell'art. 2094 c.c. per aver ritenuto l'erogazione del trattamento economico anche in caso di mancata prestazione, un'eccezione prevista esclusivamente dalla legge o dal contratto.

10. I motivi del ricorso, esaminati congiuntamente per la loro connessione logica, sono qualificabili come manifestamente infondati, tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte formatasi con riferimento alla medesima vicenda delle cessioni ritenute illegittime di rami d'azienda da parte della Telecom (v., fra le altre, Cass. 7281/2015).

11. La questione degli effetti della dichiarazione di nullità della cessione di ramo d'azienda è stata affrontata da questa Corte nella sentenza n. 19740 del 2008, cui occorre dare continuità, che ha ritenuto che l'obbligazione del cedente che non proceda al ripristino del rapporto di lavoro deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell'aliunde perceptum.

12. Costituisce infatti un principio che si è andato consolidando nell'elaborazione di questa Corte quello secondo il quale il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive nel quale l'erogazione del trattamento economico in mancanza di lavoro costituisce un'eccezione, che deve essere oggetto di un'espressa previsione di legge o di contratto, ciò che avviene ad esempio nei casi del riposo settimanale (art. 2108 cod. civ.) e delle ferie annuali (art. 2109 cod. civ.).

13. In difetto di un'espressa previsione in tal senso, la mancanza della prestazione lavorativa dà luogo anche nel contratto di lavoro ad una scissione tra sinallagma genetico (che ha riguardo al rapporto di corrispettività esistente tra le reciproche obbligazioni dedotte in contratto) e sinallagma funzionale (che lega invece le prestazioni intese come adempimento delle obbligazioni dedotte) che esclude il diritto alla retribuzione - corrispettivo e determina, a carico del datore di lavoro che ne è responsabile, l'obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni.

14. Proprio perchè si tratta di un risarcimento del danno - ed in assenza di una disciplina specifica per la determinazione del suo ammontare - soccorrono i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conseguenza che dev'essere detratto l'aliud perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lucrativa.

15. Tali principi sono stati affermati da questa Corte in relazione a fattispecie che, seppure diverse da quella che ci occupa, sono a questa pienamente assimilabili sotto il profilo esaminato, quali gli intervalli non lavorati nel caso di successione di una pluralità di contratti a termine, nei quali l'apposizione della clausola sia stata ritenuta illegittima (Cass. S.U. n. 2334 del 5 marzo 1991, Sez. L, n. 9464 del 21/04/2009), la dichiarazione di nullità del licenziamento orale (Cass. Sez. U, n. 508 del 27/07/1999), la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro con accertamento della giuridica continuità dello stesso (Cass. Sez. L. n. 4677 del 2006, Sez. L, n. 15515 del 02/07/2009), l'accertamento della nullità di clausola del contratto collettivo prevedente l'automatica cessazione del rapporto di lavoro al raggiungimento della massima anzianità contributiva con conseguente accertamento della continuità giuridica del rapporto di lavoro (Sez. U, n. 12194 del 13/08/2002 e successive conformi tra cui ex multis Sez. L, n. 11758del 01/08/2003, Sez. L, n. 13871 del 14/06/2007, Sez. L. n. 14387 del 2000).

16. La qualificazione in termini risarcitori delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro come conseguenza dell'obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto risulta peraltro influenzata, in maniera decisiva, dalle modifiche introdotte dalla L. n. 108 del 1990, art. 1 alla L. n. 300 del 1970, art. 18 che ha unificato quanto dovuto per i periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell'obbligo risarcitorio (così Cass. Sez. L, Sentenza n. 4943 del 01/04/2003 e successive plurime conformi tra cui v. Sez. L, n. 16037 del 17/08/2004, Sez. L, n. 26627 del 13/12/2006), con la conseguente detraibilità dell'aliunde perceptum.

17. Tale principio di diritto è stato ribadito con specifico riferimento a fattispecie identiche a quella oggi in esame (nel caso di cessione di ramo d'azienda da parte della Telecom ritenuto inefficace, ma con pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario) in numerosi precedenti di questa Corte (cfr. Cass. nn. 19490, 16095, 19228 del 2014 e numerosissime altre).

18. A quanto detto consegue che nel caso in esame, pacifico essendo che i lavoratori hanno continuato a prestare l'attività lavorativa alle dipendenze della cessionaria, venendone retribuiti, a loro incombeva l'onere (che non risulta essere stato assolto) di dedurre e dimostrare i danni sofferti, tra i quali l'inferiorità di quanto ricevuto rispetto alla retribuzione che sarebbe loro spettata alle dipendenze della società cedente (così Cass. 8514/2015).

19. Risulta, pertanto, immune da censure la sentenza impugnata che si è conformata ai principi esposti.
20. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
21. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi, nonchè in Euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2015


 

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