REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo - Presidente -
Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere -
Dott. GENOVESE Francesco Antonio - rel. Consigliere -
Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere -
Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13897/2008 proposto da:
C. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore rag. B.A., e G.M. , nella qualità di liquidatore del concordato, elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso l'avvocato DI GIOIA GIOVAN CANDIDO, che le rappresenta e difende unitamente all'avvocato GUGLIERMERO PATRIZIA MARIA, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
S. L. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t. S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA PANETTERIA 15, presso l'avvocato AVITABILE MARIA TERESA, rappresentata e difesa dall'avvocato COMINI STEFANIA, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1263/2007 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 31/07/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/05/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;
udito, per le ricorrenti, l'Avvocato GIOVAN CANDIDO DI GIOIA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La S. L. Spa, operante nel settore della produzione e distribuzione di prodotti sanitari per la medicazione, titolare dei diritti inerenti il marchio "Luxor", relativo ai propri prodotti di cotone idrofilo (e garze semplici e medicate, ecc.) chiedeva, in relazione al commercio di prodotti similari praticato dalla srl C., che utilizzava il marchio "Luxor India" (solo in un secondo tempo sostituito con quello di "India superiore"), dapprima il sequestro delle confezioni di cotone ed altre misure da adottarsi a carico della intimata e, poi, con atto di citazione, notificato il 21 gennaio 1998, proponeva azione di contraffazione del marchio, con pronuncia di inibitoria e, in subordine, azione di concorrenza sleale, con richiesta di risarcimento danni. La srl C. si costituiva contestando tutte le domande e il Tribunale, concesso il sequestro, successivamente revocato in sede di reclamo, uditi i testimoni e disposta Ctu, respingeva tutte le domande.

2. L'appello proposto dalla S. L. Spa veniva, invece, integralmente accolto dalla Corte d'appello di Torino che, con sentenza depositata il 31 luglio 2007, dichiarava che il marchio "Luxor" o "Luxor India" usato dalla C. srl costituiva una contraffazione di quello di cui era titolare la S. L. Spa e ne inibiva l'utilizzazione, condannando la contraffattrice al pagamento di una somma di danaro oltre accessori, alla pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani, alle spese del doppio grado di giudizio e a una somma per ogni confezione di prodotto messa in vendita in violazione della decisione e successivamente alla sua pronuncia.
Secondo il giudice di appello, premesso che il marchio "Luxor" è un marchio forte, nei fatti la C. srl se ne sarebbe appropriata, con un'aggiunta linguistica ("India") poco significativa e senza che i segni grafici apposti sulle confezioni potessero rilevare e dar luogo ad una significativa differenza dei segni distintivi, dimostrando, invece, l'esistenza della denunciata contraffazione, la cui domanda di accertamento veniva accolta esimendo la Corte territoriale dall'esame della subordinata (quella proposta per l'accertamento della concorrenza sleale). Il danno veniva quantificato, in via globale ed equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., dalla Corte d'appello, attraverso la Ctu disposta in primo grado, con la quale era stato verificato l'ammontare del fatturato della C. nel periodo di tempo esaminato, considerato un ricarico del 20% sul venduto e sottratta una quota di prodotto di cui era ipotizzabile la vendita con un diverso marchio.
3. Avverso tale decisione la C. srl ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di censura, contro cui resiste la S. L. Spa, con controricorso.

Motivazione

1.1. Con il primo motivo di ricorso (violazione delle norme sulla competenza) la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: Se alla luce della decisione della Corte costituzionale n. 112 del 2008, la sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale presso la Corte d'Appello di Torino fosse competente a decidere la controversia di cui sopra, ove il primo grado si era svolto secondo le norme antecedenti all'entrata in vigore del c.d. codice della proprietà industriale, ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2005, o se non fosse competente la Corte d'appello di Torino.
Secondo la ricorrente, posto che la menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 112 del 2008, che ha dichiarato l'illegittimità del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 245, comma 2, nella parte in cui stabilisce che sono devolute alla cognizione delle sezioni specializzate le controversie in grado d'appello iniziate dopo l'entrata in vigore del codice della proprietà industriale, è si sopravvenuta alla pronuncia di appello ma la stessa, pendendo il ricorso per cassazione, per non essere ancora passata in cosa giudicata, sarebbe invalida perchè pronunciata da un organo incompetente, analogamente a quanto avviene per le decisioni adottate da sezioni non specializzate rispetto alla competenza delle sezioni specializzate agrarie.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione degli artt. 2711 e 2697 c.c., e artt. 184 e 210 c.p.c., nonchè omessa motivazione) la ricorrente in relazione alla violazione di legge, ha formulato i seguenti quesiti di diritto: a) Se sia conforme al disposto di cui all'art. 2111 c.c., nonchè artt. 210 e 212 c.p.c., l'ordine rivolto alla parte di esibire integralmente le proprie scritture contabili, in assenza di un'istanza della controparte formulata entro il termine per il deposito delle memorie istruttorie di cui all'art. 184 c.p.c. (nella formulazione previgente) e in assenza di una indicazione e/o deduzione circa il contenuto rinvenibile dai documenti da esibirsi;
b) Se si sostituisca o meno all'onere probatorio incombente alla parte, a norma dell'art. 2697 c.c., il giudice civile che ordini ad una parte, in assenza di apposita istanza della controparte, di esibire in giudizio, senza alcuna precisa indicazione, la documentazione necessaria per addivenire alla determinazione del danno rivendicato dalla controparte medesima. In relazione al vizio motivazionale ha così riassunto la doglianza: Nonostante la C. avesse contestato l'ammissibilità della Ctu nei termini sopra indicati e, quindi, l'utilizzabilità della stessa ai fini della decisione, la Corte d'Appello di Torino, senza motivare sul punto, ha preso a riferimento le risultanze della stessa per pervenire alla liquidazione del danno patito dalla S.

La ricorrente ha premesso che la decisione relativa alla quantificazione del danno si è basata sulla Ctu svolta in primo grado, che ha accertato l'entità ed il fatturato complessivo realizzato con la vendita del prodotto oggetto della contraffazione, ed ha ricordato le fasi processuali della sua ammissione nonchè del suo svolgimento. Ha ricordato che l'eccezione di inammissibilità della Ctu, ribadita anche nella comparsa conclusionale, con riguardo alla tassatività delle ipotesi in cui questa è consentita dall'art. 2711 c.c., sarebbe stata riproposta anche nella comparsa di costituzione in appello ma, la Corte, non ne avrebbe tenuto conto nè avrebbe motivato in merito. In tal modo sarebbero state violate le regole riguardanti il riparto dell'onere probatorio consentendo, con la disposizione dell'ordine di esibizione impartito d'ufficio, un indebito vantaggio per la società attrice ed appellante.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso (violazione degli artt. 1226 e 2697 c.c.) la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto:
Se sia conforme ai disposti di cui agli artt. 1226 e 2697 c.c., nella liquidazione del danno a seguito di contraffazione di marchio, ricorrere al criterio equitativo, in assenza di alcuna prova da parte del titolare del diritto di marchio della contrazione di vendite subita o del calo di fatturato patito a causa dell'asserito illecito, prendendo come riferimento il solo dato delle vendite effettuate dall'impresa contraffattrice.
Assume la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nella sua decisione in quanto l'attrice non avrebbe allegato, come era suo dovere, nè una contrazione di vendite nè un calo del fatturato per effetto della contraffazione. Aver quantificato il danno con il criterio equitativo è equivalso a eludere il dovere probatorio in capo alla società attrice.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso (violazione dell'art. 1 della legge marchi, nel testo vigente ratione temporis, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) la ricorrente, in relazione alla presunta violazione di legge, ha formulato il seguente quesito di diritto:
Se sia conforme all'art. 1, della legge marchi (nel testo vigente all'epoca dei fatti) aver ritenuto l'asserita contraffazione senza effettuare alcun giudizio sulla identità e/o affinità tra i prodotti oggetto dei due marchi in contestazione. In relazione al vizio motivazionale ha così riassunto la doglianza: La Corte d'appello ha completamente omesso ogni valutazione circa l'identità e/o affinità tra i due prodotti.
Infatti, non esisterebbe alcuna identità o affinità tra i due prodotti commerciati secondo il criterio relativo all'attitudine a soddisfare lo stesso bisogno. Nella specie le due confezioni di cotone comparate apparterrebbero a differenti settori merceologici (cotone per uso sanitario destinato alle farmacie e agli ospedali e cotone per la cosmesi e l'igiene, destinato al mercato della grande distribuzione).

2.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l'illegittimità della sentenza di appello per essere stata pronunciata in difetto di "competenza", quale risultante dalla pronuncia di illegittimità costituzionale a seguito della sopraggiunta decisione della Consulta n. 112 del 2008, è infondato.
Non è in discussione il presupposto, secondo il quale la sentenza di appello non è passata in cosa giudicata formale, essendo ancora pendente il giudizio di cassazione al momento della pronuncia di illegittimità costituzionale, ma forma oggetto di dibattito la questione delle conseguenze della sopravvenuta pronuncia del Giudice delle Leggi il quale ha accolto l'eccezione di incostituzionalità della disposizione denunciata, in conseguenza della quale la questione non avrebbe dovuto essere decisa da quel particolare organo giurisdizionale.
2.2. Pur non essendo in discussione un problema di legittimità costituzionale dell'organo giurisdizionale in sè e per sè, ma solo la misura delle sue attribuzioni giurisdizionali, appare utile partire dalle considerazioni che questa stessa Corte ha svolto in relazione all'ipotesi di accoglimento della contestata legittimità costituzionale dell'organo giurisdizionale in sè medesimo.
In tali casi, di riconosciuta incostituzionalità dell'organo (o di una sua particolare composizione), questa Corte ha affermato (Sez. U, Sentenza n. 9217 del 2003 e successive conformi) che le "dichiarative della incostituzionalità (in sè o in relazione ad alcune sue componenti) di un organo giurisdizionale non comportano l'inefficacia della fase processuale svoltasi innanzi a tale organo e del provvedimento che l'abbia conclusa, ove intervengano dopo l'esaurimento di essa, salvo che la relativa questione di legittimità costituzionale sia stata sollevata prima della conclusione di detta fase, ovvero dedotta, come motivo impugnatorio della sentenza, per il profilo del difetto di costituzione del giudice, ai sensi dell'art. 161 c.p.c., comma 1, in relazione all'art. 158 c.p.c." (fattispecie relativa alla composizione della Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte di appello di Napoli, con l'ingegnere capo dell'ufficio tecnico erariale di Napoli o un suo delegato - cui ha fatto seguito l'intervento correttivo del legislatore attuato con il D.L. n. 251 del 2002, art. 7, convertito nella L. n. 1 del 2003 -).
E ciò in ragione del principio secondo cui la nullità derivante dal vizio di costituzione del Giudice, ancorchè assoluta e rilevabile d'ufficio, non si sottrae, ai sensi dell'art. 158 c.p.c. (che fa espressamente salva la disposizione del successivo art. 161), al principio di conversione delle cause di nullità in motivi d'impugnazione, con la conseguenza che, in caso di mancata, tempestiva denuncia del vizio de quo attraverso lo strumento dell'impugnazione, il rilievo della detta nullità resta precluso per tutto l'ulteriore corso del processo" (Sez. U, Sentenza n. 3074 del 2003).
Dunque, anche in casi estremi siffatti, la pronuncia di merito resta salva, a meno che l'organo - ovvero la sua composizione - sia, nella sua tenuta costituzionale, stato "contestato" tempestivamente (o prima della pronuncia o successivamente ad essa, con i motivi di impugnazione formulati prima della pronuncia di costituzionalità): ciò che non è avvenuto nel caso di specie.

2.3. Già tanto basterebbe a confutare il motivo di ricorso che, invece, si riferisce a vizio (di minor gravità) che il ricorrente erroneamente ascrive alle questioni di competenza (assimilando il caso delle sezioni specializzate per la proprietà industriale a quelle agrarie, che hanno una composizione quali - quantitativa diversa da quelle delle sezioni ordinarie della Corte d'appello ed a quella specializzata per la proprietà industriale) che la costante giurisprudenza di questa Corte riduce a questione avente solo rilievo organizzativo e semmai di rito. Come da ultimo ha fatto questa Corte (Sez. 6-1, Ordinanza n. 21668 del 2013) ricordando che "la ripartizione delle funzioni tra le sezioni specializzate e le sezioni ordinarie del medesimo tribunale non implica l'insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all'interno dello stesso ufficio; ne consegue che una sezione ordinaria del tribunale non è incompetente a trattare una causa che, secondo l'art. 134 del codice della proprietà industriale (D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30), andrebbe assegnata alla sezione specializzata dello stesso tribunale istituita ai sensi del D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168".
2.4. Sennonchè, nel caso di specie, il vizio di costituzionalità relativo al D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 245, comma 2, nella parte in cui stabilisce che sono devolute alla cognizione delle sezioni specializzate le controversie in grado d'appello iniziate dopo l'entrata in vigore del codice della proprietà industriale, anche se il giudizio di primo grado è iniziato e si è svolto secondo le norme precedentemente in vigore, è stato sanato dall'intervento del legislatore il quale ha dato un nuovo testo all'art. 245, comma 2, del D.Lgs. cit. (con la L. 23 luglio 2009, n. 99, art. 19, comma 5). In base ad esso, i giudizi in grado di appello intrapresi dopo l'entrata in vigore del menzionato d.lgs. restano devoluti alla cognizione delle sezioni specializzate anche se quello di primo grado od il giudizio arbitrale siano cominciati o si siano svolti secondo le norme precedentemente in vigore, a meno che non sia intervenuta nell'ambito di essi una pronuncia sulla competenza.
Perciò questa Corte ha considerato validamente decise anche le controversie che - iniziate dopo il 19 marzo 2005 e pendenti alla data del 15 agosto 2009 - siano state promosse dinanzi a corti d'appello presso le quali non siano state istituite le sezioni specializzate (Sez. 6-1, Ordinanza n. 2102 del 2013), in conformità a quanto già affermato da questa stessa sezione (Ordinanza n. 2203 del 2007) secondo cui "ai sensi del capoverso dello stesso art. 6, d.lgs. n. 168 del 2003, che fa applicazione della regola generale di cui all'art. 5 c.p.c., restano invece assegnate al giudice competente in base alla normativa previgente le controversie già pendenti e iscritte al ruolo alla data del 30 giugno 2003, quale che sia il grado di giudizio nel quale esse si trovino al momento dell'entrata in vigore della legge".

2.5. Nel caso di specie, in conclusione, la Corte d'appello che ha deciso della controversia in esame è quella di Torino presso la quali è stata - ab initio - istituita la sezione specializzata per la proprietà industriale, al quale la causa è stata attribuita secondo Tabella dell'Ufficio, e che quindi aveva pieno titolo a trattarla senza che sia neppure applicabile la sanatoria di legge, intervenuta dopo la pubblicazione della decisione della Corte costituzionale (e in difetto di qualsiasi eccezione di contestazione della costituzionalità dell'organo giurisdizionale), e ciò alla luce della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata in materia di composizione dell'organo giurisdizionale (generico e specifico), peraltro costituito in maniera non difforme da quello ordinario della Corte (per quantità ed estrazione dei suoi componenti) e con le garanzie della specializzazione della stessa proprio per l'esperienza accumulata nella materia del diritto industriale.

3. Il quarto motivo, che ha priorità logica e giuridica rispetto ai restanti, deve essere esaminato subito dopo il primo.
Infatti, è giusto il richiamo operato dalla ricorrente circa la necessità che il giudizio di comparazione venga effettuato anche in rapporto ai due tipi di prodotti messi in commercio.
Questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 1424 del 2000), infatti, ha già chiarito che "La norma di cui al R.D. n. 929 del 1942, art. 1, (come novellato dalla L. del 1992) sanziona uno specifico illecito concorrenziale, che si realizza quando un imprenditore determini, sul mercato, il rischio di confusione tra prodotti adottando un marchio confondibile con quello adoperato da un imprenditore concorrente per contraddistinguere un prodotto affine. Il giudizio di confondibilità va, in particolare, fondato sul previo accertamento della eventuale identità o confondibilità tra i segni adoperati, nonchè sul contestuale esame circa la identità o confondibilità tra prodotti, sulla base (quantomeno) della loro ontologica affinità".

3.1. Tuttavia la doglianza non ha pregio perchè è dato pacifico che le due confezioni comparate riguardano lo stesso tipo merceologico ossia il cotone idrofilo di prima medicazione, e tale circostanza non ha mai formato oggetto di contestazione, non emergendo dalla motivazione della sentenza impugnata neppure la trattazione del punto.
Nè la ricorrente dice se, come e quando ha agitato la questione nel corso del giudizio di impugnazione.

4. Il secondo motivo di ricorso attiene a due diversi vizi, uno di violazione di legge e l'altro di vizio della motivazione.
4.1. Con riferimento al primo, con il quale si lamenta l'erroneità dell'ordine di esibizione impartito dal giudice, le censure e le argomentazioni attengono palesemente al giudizio di primo grado e, quindi, come tali esse sono inammissibili perchè non censurano questioni poste ed esaminate nel corso del giudizio di appello.
Invero, la ricorrente afferma di aver eccepito l'inammissibilità della Ctu nella comparsa di costituzione del giudizio di appello (senza ulteriori e più chiare specificazioni), ma si tratta di richiamo che non attiene all'ordine di esibizione bensì ad altro mezzo istruttorio la cui ammissione discrezionale è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 2007: la consulenza tecnica d'ufficio è mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario e la motivazione dell'eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitamente considerato effettuata dal suddetto giudice).

4.2. Con riferimento al secondo profilo, con il quale la ricorrente la censura si duole della acritica adesione della Corte territoriale alla Ctu, l'inammissibilità della doglianza risulta dalla mancata esposizione dei rilievi mossi contro la Ctu da parte della ricorrente. Peraltro, a tale proposito, va ricordato il principio di diritto (v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 125 del 2003) secondo cui quando il giudice di merito ritenga di aderire alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad una particolareggiata motivazione, ben potendo il relativo obbligo ritenersi assolto con l'indicazione, come fonte del proprio convincimento, della relazione di consulenza. Tanto più quando manchino le critiche e i rilievi mossi contro di essa.

5. Infine, anche il terzo motivo è infondato, atteso che la quantificazione del danno è stata operata sulla base delle risultanze della Ctu relative al fatturato specifico della società, dedotta una quota di prodotto che, ove non fosse stato contraffatto il marchio, sarebbe stata venduta dalla ricorrente, all'epoca dei fatti per cui è causa.
A tal proposito, deve affermarsi il principio secondo il quale il danno cagionato all'impresa titolare del marchio contraffatto non necessariamente consiste in una riduzione delle vendite o in un calo del fatturato, rispetto al periodo precedente considerato, potendo esso manifestarsi solo in una riduzione del potenziale di vendita e quindi consistere in una minore crescita delle vendite, senza che si abbia una corrispondente riduzione od un calo rispetto agli anni precedenti considerati. Ciò accade, infatti, quando le vendite sono in crescita nel corso del periodo preso in considerazione e, in tali casi, non si manifesta alcun calo o riduzione delle vendite, pur potendosi manifestare un danno da riduzione del potenziale.
In conclusione il ricorso, complessivamente infondato, deve essere respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle relative spese, liquidate come da dispositivo.

PQM

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla resistente e che si liquidano nella misura di Euro 5.200,00, di cui Euro200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie, nella misura del 15%, ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 13 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2014


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.