>Alle Sezioni Unite la questione sulla retroattività dell’art. 12 comma 4 bis D.P.R. 602/72 – impugnabilità dei ruoli

1. L’ordinanza interlocutoria dell’11.02.2022

La V Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria pubblicata in data 11.02.2022, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, per l’interpretazione del contestatissimo art. 3 bis D.L. 146/2021.

L’art. 3 bis comma 1, come è noto, ha modificato l’art. 12 DPR 602/1973, aggiungendo il comma 4-bis che così recita:
“L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’ art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40,  per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

La Suprema Corte, dopo aver dato atto che “La giurisprudenza di legittimità successiva si è posta nel solco della pronuncia di questa Corte a sezioni unite (n.19704/2015), con l’affermazione della possibilità per il contribuente di impugnare la cartella non notificata, ma conosciuta tramite l’estratto di ruolo (Cass., sez. 6-5, 21 gennaio 2022, n. 1971; Cass., sez. 6-5, 11 gennaio 2012, n. 587; Cass., sez. 5, 24 dicembre 2021, n. 41508; Cass., sez. 5, 10 dicembre 2021, n. 39282; Cass., sez. 5, 7 dicembre 2021, n. 38964; Cass., sez. 5, 22 novembre 2021, n. 36013; Cass., sez. 6-5, 5 ottobre 2020, n. 21289; Cass., sez. 5, 17 settembre 2019, n. 23076; Cass., sez. 6-5, 9 settembre 2019, n. 22507; Cass., sez. 6-L, 25 febbraio 2019, n. 5443; Cass., 1 giugno 2016, n. 11439” ha preso atto dello ius superveniens, rilevando che “L’intento del legislatore pare quello di limitare la tutela giurisdizionale anticipata del contribuente ai casi tassativamente previsti dalla norma: a) pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto pubblico; b) pregiudizio per la riscossione di somme dovute dai soggetti pubblici, per il pagamento di importi superiori ad euro 5.000 (dal 1 ° gennaio 2018, prima euro 10.000,00);c) pregiudizio per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

2. L’art. 3 bis è una norma di interpretazione autentica?

La Suprema Corte sembrerebbe escludere - da una prima lettura dell’ordinanza- che l’art. 3 bis possa essere considerato norma di interpretazione autentica “si rammenta che una norma può essere qualificata come di interpretazione autentica, con valore retroattivo, o se vi è la qualificazione espressa di norma di interpretazione autentica, oppure se sussistono i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l’adozione”.

Particolarmente interessante il passaggio successivo: “Del resto, la Corte costituzionale, con sentenza n. 133 del 2020 (ma già prima con sentenza 525 del 22 novembre 2000) ha ribadito che il legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative, non solo quando sussista una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le varie possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore (anche Corte Cost., n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994; oltre all’ordinanza n. 480 del 1992). Il tasso di polisemia della prima norma viene sterilizzato, sicché la norma che risulta dalla saldatura della disposizione interpretativa con quella interpretata ha quel contenuto fin dall’origine e in questo può dirsi retroattiva, costituendo un “precetto normativo unitario” (Corte Cost., n. 133 del 2020 e n. 397)".

A parere dello scrivente già il richiamo, operato dal nuovo art. 4 bis, a norme entrate in vigore decenni dopo il D.P.R. dovrebbe escludere radicalmente la natura di interpretazione autentica del procedimento, non potendo seriamente sostenersi che il riferimento al codice dei contratti pubblici (entrato in vigore nel 2016) o al regolamento 80/2008 possano essere considerati “possibili varianti di senso del testo originario” del D.P.R. 602, pubblicato, si rammenta nel lontano 1973.

L’ordinanza prosegue sottolineando che “la Corte costituzionale ha individuato, oltre alla materia penale, altri limiti, che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali, tra i quali i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico, e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (ciò che vieta di intervenire per annullare gli effetti del giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice). L’affidamento del cittadino deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscono il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio, secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali (Corte Cost. n. 111 del 1998)”.
La chiarezza del testo non rende necessario alcun commento.

3. Prima ricostruzione teorica favorevole alla tesi della retroattività della norma

Nell’ordinanza de qua, inoltre, si prende atto di una prima ricostruzione teorica favorevole alla tesi della retroattività della norma: “In assenza di una disciplina transitoria, con riferimento alla sussistenza delle condizioni dell’azione, e segnatamente dell’interesse ad agire e ad impugnare le cartelle di pagamento, invalidamente notificate, ma conosciute tramite gli estratti di ruolo, il giudice deve d’ufficio valutare la sussistenza delle stesse (Cass., 29 settembre 2016, n. 19268), salva la formazione di un giudicato sul punto (Cass., 30 giugno 2006, n. 15084). Del resto, la novella legislativa si innesta, pleno iure, nel filone giurisprudenziale di legittimità che ha riconosciuto, da un lato, la non impugnabilità degli estratti di ruolo, e dall’altro, la possibilità di impugnare, in via anticipata, le cartelle di pagamento non validamente notificate, ma conosciute tramite gli estratti di ruolo (Cass., sez.un., 2 ottobre 2015, n. 19704)”.

Il Supremo Consesso ha precisato che “Nel caso si opti per la prima soluzione, il contribuente ovviamente avrebbe diritto a dimostrare la sussistenza dell’interesse ad impugnare tali cartelle di pagamento, anche in sede di legittimità”.
Ciò in palese contrasto con le recenti pronunce di alcune Commissioni Tributarie Provinciali, le quali, come è noto, si sono limitate a dichiarare inammissibili i ricorsi presentati in data antecedente il 21.12.2021 senza, tuttavia, concedere alcun termine al ricorrente.

4. Seconda ricostruzione teorica: irretroattività dell’art. 3 bis

Secondo una diversa ricostruzione teorica, invece, l’art. 3 bis non può che applicarsi ai giudizi introdotti in data successiva al 21.12.2021: “Si è fatto leva anche in questo caso sul principio “tempus regit actum”, questa volta per affermare che il principio cardine delle logiche temporali del processo è quello in base al quale un atto deve seguire le norme vigenti nel momento in cui viene realizzato, andando, dunque, ad applicarsi le regole esistenti nel momento in cui l’atto ha origine. Il processo si articola in fasi processuali, collegate le une alle altre, ma la nuova norma va ad incidere sulla specifica fase processuale in cui si innesta. Si è fatto riferimento, poi, alla giurisprudenza formatasi in ordine al regime di impugnazione di un provvedimento giudiziario. Si è ritenuto (Cass., sez.3, 12 maggio 2000, n. 6099; Cass., 20 settembre 2006, n. 20414; Cass., sez. 3, 2 ottobre 2008,, n. 24491; Cass., sez. 3, 15 febbraio 2011, n. 3688), che, in difetto di esplicite previsioni contrarie, il principio dell'immediata applicazione della legge processuale sopravvenuta (nella specie, l'art. 68 della legge 353/90, a mente del quale "la proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre ricorso per cassazione", norma applicabile ai giudizi pendenti al 1° gennaio 1993 ex art. 9 legge 534/95) ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all'entrata in vigore della legge stessa, alla quale non è dato incidere, pertanto, sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio del "tempus regit actum", dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere. Un generale principio di "affidamento" legislativo (desumibile dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale) preclude, difatti, la possibilità di ritenere che gli effetti dell'atto processuale già formato al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione siano da quest'ultima regolati, quantomeno nei casi in cui la retroattività della disciplina verrebbe a comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica del processo. Nel caso di successione di leggi processuale nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand’anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all’epoca di introduzione del giudizio (Cass., sez. 3, 15 febbraio 2011, n. 3688) (…) Pertanto, poiché il ricorso di prime cure, l’appello ed anche il ricorso per cassazione, compreso il controricorso, sono stati articolati secondo le norme vigenti prima della novella legislativa del dicembre 2021, lo ius superveniens non dovrebbe esplicare alcun effetto retroattivo. Al momento di presentazione del ricorso di prime cure era possibile impugnare la cartella ed il ruolo, tramite l’estratto di ruolo conosciuto “casualmente”, senza la necessaria sussistenza di un interesse “qualificato” del contribuente. Pertanto, seguendo questo orientamento, l’impugnazione di un atto deve avvenire secondo le regole vigenti al momento in cui esso è emesso. Il nuovo regime di impugnazione dovrebbe operare solo per i ricorsi notificati dal 21 dicembre 2021.

5. I dubbi di legittimità costituzionale – Gli incomprensibili vuoti di tutela

La Corte di Cassazione, inoltre, ha preso atto dei dubbi di legittimità costituzionale della norma: “Non si può celare che la dottrina si è mostrata aspramente critica verso l’innovazione legislativa, sollevando plurimi profili di incostituzionalità, sia con riferimento alla lesione del diritto di difesa del contribuente, sotto la lente d’ingrandimento dell’art. 24 della Costituzione, sia in relazione alla diversità di trattamento tra i vari contribuenti, che non trova idonee giustificazioni”.

Il Supremo Consesso ha, inoltre, evidenziato che – a prescindere dalla problematica relativa all’efficacia temporale della norma, l’applicazione del nuovo art. 4 bis porterebbe a incomprensibili vuoti di tutela:
“Tra l’altro, si rileva che questa Corte ha ripetutamente ribadito che l’Amministrazione finanziaria può essere ammessa al passivo fallimentare esclusivamente sulla base dell’estratto di ruolo, senza che occorra la preventiva notifica della cartella di pagamento (recentemente Cass., sez.un., 11 novembre 2021, n. 33408), avendo quest’ultima solo la funzione di informare il curatore della pretesa erariale, anche se tale funzione è già assolta dal deposito della domanda di ammissione al passivo da parte dell’Amministratore finanziaria; tuttavia, applicando la novella legislativa, se l’Agenzia delle entrate intende insinuarsi al passivo del fallimento del contribuente facendo valere il ruolo o le cartelle erroneamente notificati, ma risultanti dall’estratto di ruolo, mentre le cartelle ed il ruolo sono impugnabili nei “soli casi” evidenziati dall’art. 12, comma 4-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 (rapporti con la P.A.), è evidente che il curatore avrebbe l’interesse “qualificato” all’impugnazione “diretta” di cartelle e ruolo dinanzi alle commissioni tributarie; di qui un vuoto di tutela del tutto incomprensibile, dovendosi consentire anche in questo caso l’impugnabilità diretta del ruolo e della cartella invalidamente notificati. Inoltre, la tutela anticipata consentirebbe al contribuente di approntare le proprie difese, in caso di regolare notifica delle cartelle di pagamento, prima di incorrere nell’inizio dell’azione esecutiva, come in caso di pignoramento presso terzi. Il debitore, dunque, dovrebbe attendere l’inizio del procedimento esecutivo, e quindi il pignoramento, ex art. 491 c.p.c., per potersi dolere della erronea notifica delle cartelle di pagamento. Senza contare che, in tema di circolazione delle aziende, l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, consente al cessionario di avvalersi della certificazione rilasciata dall’Ufficio finanziario per evitare di rispondere delle pretese fiscali relativi al triennio precedente alla cessione dell’azienda; tale fattispecie non è stata presa in considerazione dal legislatore della novella.

6. Possibile violazione del diritto unionale

E’ stata, inoltre, rilevata la possibile violazione del diritto Unionale: “In dottrina, si sono palesate anche possibili violazioni del diritto unionale, e segnatamente dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il quale prevede che “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”; il contribuente, dopo la disposizione innovativa, non avrebbe più la possibilità di “ripulire le sue pendenze fiscali”, con conseguente minaccia permanente sui propri beni e pregiudizio al loro godimento. Si è anche invocato l’art. 6 della CEDU sul diritto ad un equo processo, che in questo modo sarebbe impedito, anche se l’applicazione al tema tributario di tale previsione non è pacifica. Si è anche profilata la possibilità della violazione dell’art. 117 della Costituzione, per conflitto della disciplina innovativa con la “norma interposta” integrata dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.

7. Conclusioni

L’art. 3 bis, come già esposto, è entrato in vigore in 21.12.2021.
Ad appena 49 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, quindi, la V Sezione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
La rapidità della richiesta di rimessione alle Sezioni Unite, dovrebbe fare riflettere sulle evidentissime responsabilità del legislatore, il quale, si rammenta, ha ritenuto opportuno inserire, in sede di conversione in legge del D.L. 146/2021, un articolo avulso per materia e finalità al decreto legge stesso.
Articolo, inoltre, scritto in maniera obiettivamente poco chiara e che ha sollevato evidentissimi dubbi di legittimità costituzionale, per non parlare degli evidentissimi contrasti interpretativi.
Articolo che, inoltre, potrebbe esporre lo Stato Italiano a numerose richieste risarcitorie per violazione del diritto unionale.
Sarebbe stata opportuna, secondo lo scrivente, una maggiore attenzione nella redazione di un articolo le cui evidentissime – e rilevantissime - ricadute processuali non potevano essere ignorate dai redattori della norma.

Marco Di Pietro

Avvocato del foro di Catania, cassazionista, esperto in diritto tributario e diritto scolastico collabora dal 2018 con la rivista DirittoItaliano.com. E' possibile contattarlo all'indirizzo email

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