REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Paolo Stile- Presidente -
Dott. Giuseppe Napoletano - Consigliere -
Dott. Antonio Manna - Consigliere -
Dott. Paolo Negri Della Torre - Consigliere -
Dott. Matilde Lorito - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5529-2014 proposto da:
B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 123, presso lo studio dell'avvocato STEFANIA VOTANO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato MARIO SILVIO CLAUDIO MARINO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
BANCA DEL GARDA - GARDA BANK S.P.A., CREDITO EMILIANO S.P.A.;
- intimate -
nonchè da:
CREDITO EMILIANO S.P.A.,, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonchè BANCA DEL GARDA - GARDA BANK S.P.A. poi VENETO BANCA HOLDING S.C.P.A. e ora VENETO BANCA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell'avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA, che le rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIANPIERO M. BELLIGOLI, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
B.M.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 346/2013 della Corte d'Appello di Venezia, depositata il 01/10/2013 r.g.n. 760/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2015 dal Consigliere Dott. Matilde Lorito;
udito l'Avvocato Armentano Antonio per delega Avvocato Boursier Niutta Carlo;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Marcello Matera, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, accoglimento ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Venezia confermava la sentenza del Tribunale di Verona con cui era stato respinto il ricorso proposto da B. M. nei confronti della s.p.a. Credito Emiliano nonchè della s.p.a. Banca del Garda - Garda Bank poi Veneto Banca Holding s.c.p.a. e ora Veneto Banca s.c.p.a., inteso a conseguire l'accertamento della assenza di giusta causa e di giustificato motivo del licenziamento, intimatogli in data 5.2.04, e la condanna al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso, del trattamento di fine rapporto e della indennità supplementare, nonchè al risarcimento dei danni ex artt. 2049 e 2087 cod. civ. risentiti per effetto della condotta posta in essere dalle convenute, integrante gli estremi del mobbing. Con la medesima pronuncia la Corte territoriale respingeva altresì l'appello incidentale con cui era stata chiesta la condanna del B. al pagamento della somma di Euro 65.380,45 - una volta compensato il credito del ricorrente risultante dall'ultima busta paga con quanto dovuto per la sanzione irrogata dalla CONSOB - per le condotte poste,in essere dal lavoratore in violazione della normativa in materia di intermediazione finanziaria.

La pronuncia si fondava, per quel che in questa sede interessa, sui seguenti rilievi:
a) quanto alla censura avente ad oggetto la tempestività della contestazione disciplinare, corretta era da ritenersi la procedura seguita dalla parte datoriale, avuto riguardo ad una nozione in senso relativo di detto requisito, riferito allo spazio temporale necessario alla valutazione dei fatti, in relazione alla loro problematicità e alla complessità della organizzazione della impresa, in coerenza con i consolidati approdi di questa Corte di legittimità; b)quanto al merito degli addebiti, concernenti la movimentazione di conti correnti riconducibili al B. in assenza di documenti di riscontro e l'autorizzazione all'esecuzione di operazioni in cambi nel periodo 10.12.2002 di una linea di credito scaduta il 1.10.2001 effettuata dal cliente G. s.a., se ne ribadiva la fondatezza, già acclarata dal giudice di prima istanza, alla stregua del compendio probatorio scrutinato, e la idoneità a scuotere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro inter partes, stante la connotazione in termini di gravità, del comportamento del dipendente in ragione della posizione rivestita (vicedirettore generale e responsabile area finanziaria di Garda Bank s.p.a. di cui Credem aveva acquisito il 51% della partecipazione), dell'oggetto delle mansioni, del grado di affidamento da queste richiesto; c) quanto alla domanda risarcitoria riferita ai comportamenti vessatori attribuiti alla società, si rimarcava l'infondatezza delle censure formulate al riguardo dal lavoratore, in assenza di alcuna prova del denunciato intento persecutorio, diretto ad emarginarlo dall'azienda; d) per quanto attiene al motivo di impugnazione incentrato sul capo della sentenza di primo grado che aveva escluso la responsabilità del Credito Emiliano per le obbligazioni assunte da Banca del Garda nei confronti del lavoratore, si riteneva che la sentenza di primo grado avesse correttamente interpretato il contenuto del contratto, nel senso che recasse un impegno a far rispettare dalla Banca del Garda gli obblighi assunti con il contratto di lavoro nell'ipotesi di acquisizione di capitale di quest'ultima società e non all'assunzione da parte di Credem, di una responsabilità solidale nei confronti del lavoratore; e) quanto all'appello incidentale, attinente alla individuazione della disciplina applicabile nel caso in cui - come era avvenuto nella fattispecie in esame - la società sanzionata dalla Consob omettesse di esercitare l'azione di regresso D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 195, comma 9 nei confronti del responsabile della infrazione, era da respingere, in forza della Delib. 8.5.1999 con la quale la società datrice di lavoro aveva assunto, anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i debiti per le sanzioni conseguenti alle violazioni che i rappresentanti e i dipendenti della società potessero commettere nello svolgimento delle loro mansioni. A fronte di una disciplina che non prevede una specifica sanzione all'omesso esercizio della azione di regresso, l'unica conseguenza della inosservanza dell'art. 195 non poteva essere che nel senso della responsabilità degli amministratori ai sensi degli artt. 2394 ss. cod. civ.

Il ricorso del B. domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resistono, con controricorso, la s.p.a. Credito Emiliano e la s.p.a. Banca del Garda - Garda Bank poi Veneto Banca Holding s.p.a., ora Veneto Banca s.c.p.a. che propongono ricorso incidentale affidato ad unico motivo.
Il B. ha a propria volta notificato controricorso avverso il ricorso incidentale.

Motivazione

1. Preliminarmente devono riunirsi i ricorsi siccome proposti avverso la medesima decisione (art. 335 c.p.c.).

1.1. Con il primo motivo di ricorso principale, il ricorrente si duole, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, della omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio consistenti nel primo motivo di licenziamento (movimentazione di danaro su conti correnti del B. o a lui riconducibili, recante indici di anomalia ai sensi della normativa antiriciclaggio) e della violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 3 e 5 della Legge Antiriciclaggio.
In particolare il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia rigettato il primo motivo di appello sulla infondatezza e la mancanza di tempestività del primo motivo di licenziamento richiamando esclusivamente testimonianze addotte dalla Credem ed omettendo di valutare ogni altro fatto o risultanza documentale e testimoniale.

1.2 Il motivo è privo di fondamento.
E' bene rammentare che il principio della necessaria immediatezza della contestazione - da intendersi peraltro in senso relativo, dovendo decorrere dall'avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dall'astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi e potendo in concreto essere quindi compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, allorchè l'accertamento e la valutazione dei fatti abbia richiesto uno spazio temporale maggiore - ha lo scopo di garantire la possibilità di un'utile difesa da parte del lavoratore e, quindi, l'effettività del contraddittorio, nonchè la certezza dei rapporti giuridici nel contesto dell'esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede; come tale esso trova applicazione anche nel procedimento disciplinare instaurato nel caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo e la violazione di tale principio, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è causa dell'illegittimità del licenziamento stesso, costituendo peraltro la valutazione della tempestività della contestazione un giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 3845/1987; 10855/1997; 16754/2003; 8461/2007; 21546/2007; 5546/2010).

1.3 Il ricorrente censura, nei termini già indicati, la suddetta valutazione relativa alla immediatezza della contestazione; tale doglianza, per come svolta, si rivela però inammissibile, siccome non riconducibile al paradigma di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente a seguito della sua riformulazione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ratione temporis nel presente giudizio; ciò in quanto, secondo l'interpretazione dalle Sezioni Unite di questa Corte resa, da un lato è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, cosicchè tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione; e, dall'altro, che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr, Cass., nn. 8053/2014; 8054/2014; 9032/2014).

1.4 Ne discende l'irretrattabilità della negata violazione del principio di immediatezza della contestazione, avendo la Corte distrettuale specificamente e congruamente motivato in ordine alla questione delibata, con argomentazioni, peraltro conformi a diritto, laddove ha evidenziato che le anomalie riscontrate nelle operazioni di conto corrente riferibili al ricorrente, rispetto alla disciplina antiriciclaggio, erano state accertate solo a seguito di un controllo capillare avviato dal servizio Auditing nel maggio 2003, proseguito sino al novembre dello stesso anno e concluso con un rapporto pervenuto alla Direzione della Banca del Garda nel dicembre 2003, di guisa che coerente con i dicta giurisprudenziali di questa Corte, doveva ritenersi la contestazione disciplinare comunicata al B. in data 19.12.2003.

2. Con secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si deduce l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di contestazione tra le parti, consistente nel secondo motivo di licenziamento (l'aver autorizzato e/o tollerato l'esecuzione di operazioni in cambi nel periodo 10.12.2002 di una linea di credito, scaduta in data 1.10.2001, effettuata dal cliente G. s.a.). Ci si duole più specificamente che la Corte distrettuale abbia omesso di valutare cospicui elementi di natura documentale e testimoniale acquisiti agli atti (report scritto del Servizio Auditing di ottobre 2003 secondo cui le asserite violazioni della delibera del CDA del 18.10.2002 sarebbero inferiori a quelle contestategli e comunque detta delibera sarebbe vaga, inattuabile, e sostanzialmente disapplicata anche dal Consiglio di Amministrazione; il Consiglio di Amministrazione di Banca del Garda aveva riconosciuto a verbale che il B. era stato messo a conoscenza tardivamente della delibera del 18.10.2002 e ne scusava e ratificava la condotta).

2.1 Anche tale doglianza presenta le medesime carenze riscontrate in relazione al motivo che precede.
Al di là dei profili di inammissibilità riscontrabili in ragione del difetto di autosufficienza che lo connota, per non essere riportato il tenore della delibera che si assume non correttamente interpretata, va rimarcato che la pronuncia impugnata ha sottoposto ad attento scrutinio il materiale probatorio acquisito, valorizzando le deposizioni testimoniali che confortavano la conoscenza da parte ricorrente, del contenuto della delibera 18.10.02, nonchè il ruolo rivestito in ambito sociale che in ogni caso gli imponeva la conoscenza del contenuto delle delibere del C.d.A.
La critica formulata si palesa, pertanto, non conferente rispetto ai dettami di cui al novellato art. 360, comma 1, n. 5 nella esegesi elaborata da questa Corte e richiamata nel motivo che precede, giacchè la pronuncia impugnata è sostenuta da una motivazione chiara e completa, perfettamente in equilibrio fra le sue componenti che si esprimono nella approfondita disamina dei dati istruttori acquisiti, la cui lettura risulta valorizzata alla stregua del ruolo apicale rivestito dal ricorrente nell'assetto organizzativo aziendale, sottraendosi pertanto, alla censura all'esame.

3. Con il terzo motivo di ricorso, è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043, 2049 e 2087 cod. civ..
In particolare il B. lamenta che la Corte d'Appello ha fondato la decisione di rigetto della domanda di risarcimento del danno da mobbing sul mancato assolvimento, da parte del medesimo, degli oneri probatori relativi alla condotta "mobbizzante" e al danno dedotti in giudizio, senza fare alcun riferimento all'ampia ricostruzione fattuale e documentale offerta in giudizio dal medesimo ricorrente.

3.1 Non può sottacersi che la doglianza presenti il medesimo difetto di autosufficienza riscontrato in relazione al secondo motivo di ricorso, mancando la riproduzione degli atti che nella prospettazione del ricorrente, si atteggiano quali dati costitutivi della presunta condotta mobbizzante (contestazioni di fatti risalenti agli anni 2000- 2002). Neanche appaiono specificamente indicati i tempi e i modi di deduzione delle circostanze medesime e, tantomeno, la loro rituale produzione, nell'osservanza dei dettami di cui all'art. 369 c.p.c., comma 4.

3.2 La critica presenta ulteriori aspetti di inammissibilità laddove, sia pur mediante la deduzione di un vizio di violazione di legge, tende a pervenire ad una rinnovata valutazione della attività istruttoria non consentita in questa sede di legittimità.
Questa Corte ha affermato il principio, che va qui ribadito, alla cui stregua in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione (vedi Cass. nn. 15499/04, 16312/05, 10127/06 e 4178/07). Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (vedi Cass. n. 16698/2010). Nella specie ricorre proprio siffatta ultima ipotesi in quanto la violazione di legge viene dedotta mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa la cui censura è ammissibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione, che qui non viene denunciato, ma non sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge.

3.3 Peraltro, la definizione del quadro probatorio delineata dalla Corte territoriale in relazione alla delibata questione, in quanto sostenuta da una argomentata valutazione in ordine alla insussistenza del denunciato intento persecutorio sotteso alla condotta della parte datoriale, resiste comunque alle censure all'esame.

4. Con il quarto motivo di ricorso il B. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173 c.c. e ss. sul capo relativo alla responsabilità solidale della Credem s.p.a. nelle obbligazioni pecuniarie di Banca del Garda nascenti dal contratto di lavoro del 1.2.1999.
In particolare il ricorrente lamenta la erroneità della sentenza nella parte in cui non ha tenuto conto della circostanza che in data 1.2.1999 la s.p.a. Credem aveva sottoscritto, insieme alla s.p.a. Banca del Garda, il contratto di lavoro con il B., espressamente assumendosi l'onere di far rispettare gli impegni sottoscritti da Banca del Garda- Garda Bank s.p.a..

4.1 Anche in tal caso, la censura non appare coerente con il principio di autosufficienza che governa il ricorso per cassazione, giacchè non reca il tenore del contratto inter partes su cui fonda la tesi accreditata della responsabilità solidale della Credem s.p.a. in relazione agli obblighi assunti dalla Banca del Garda.
4.2 Essa, peraltro, non è conforme a diritto, principio affermato da questa Corte, che va secondo cui in tema di interpretazione del sindacato di legittimità non può investire interpretativo in sè, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (vedi ex aliis, di recente, Cass. n. 2465/15).
In definitiva, alla stregua delle considerazioni sinora esposte, il ricorso principale è respinto.

5. Con l'unico motivo di ricorso incidentale, si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195. In particolare si sostiene che detta disposizione al comma 9 (secondo cui "le società e gli enti ai quali appartengono gli autori delle violazioni rispondono in solido con questi della sanzione e delle spese di pubblicità prevista dal secondo periodo del comma 3 e sono tenuti ad esercitare il diritto di regresso verso i responsabili") avrebbe introdotto una azione di regresso ex lege, che non contempla discipline pattizie di tipo diverso, sicchè la delibera del Consiglio di Amministrazione dell'8.5.2009, in virtù della quale la Banca si era assunta, anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, l'"onus solvendi" di tutti i debiti per le sanzioni conseguenti alle violazioni che i rappresentati o i dipendenti della società avessero commesso nello svolgimento delle proprie mansioni, sarebbe nulla per contrarietà a norma imperativa.

5.1 Il motivo è fondato.
Secondo gli approdi ai quali sono pervenute le Sezioni Unite di questa Corte, che vanno qui ribaditi, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l'azione di regresso prevista dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 9, nei confronti del responsabile, è connotata dal crisma della obbligatorietà (vedi Cass. S.U. n. 20929/2009 cui adde Cass. n. 14208/2012 e Cass. n. 19509/2013). E'stato al riguardo affermato che se il meccanismo dell'art. 1292 c.c. disegna, nei rapporti interni Una architettura autonoma del vincolo di ciascun coobbligato verso il creditore (Banca d'Italia o Consob, autorità tecniche di vigilanza il cui potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie agli esponenti aziendali degli intermediari finanziari risulta rafforzato dal regime attuale), nondimeno nei rapporti interni possono rinvenirsi situazioni soggettive condebitorie caratterizzate da un diverso grado di dipendenza. Nell'ottica descritta, un indiscutibile vincolo di dipendenza fra obbligazioni sorge - ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9 - in ragione della previsione dell'obbligo di regresso, che ne esclude ogni autonomia sostanziale.

5.2 Nella fattispecie contemplata dalla norma in parola, difatti, la posizione dell'autore materiale/condebitore è destinata a restare definitivamente pregiudicata dal provvedimento sanzionatorio ingiunto, peraltro, nei confronti della (sola) persona giuridica la quale, dal suo canto, nei rapporti interni, è obbligata per legge a non lasciare a carico del proprio patrimonio la sanzione pecuniaria ed a chiedere il rimborso al suo dipendente (od organo) che il decreto sanzionatorio abbia ormai individuato come responsabile di una condotta applicando una conseguente sanzione; in capo alla persona giuridica nasce, dunque, un'obbligazione accessoria ex lege, che presuppone quella principale ma che, all'esito dell'accertamento, deve gravare per intero sul singolo responsabile (vedi in motivazione Cass. cit. n. 29029/2009).

L'assunto del giudice d'appello risulta, dunque, privo di pregio giuridico ove si consideri che l'azione di regresso ha natura di obbligazione accessoria ex lege, predisposta dall'ordinamento a presidio di un interesse generale, come quello alla trasparenza del mercato finanziario, come tale inderogabile, stante la ratio sottesa a tale azione, volta nel contempo a tutelare - è bene rimarcarlo - pure l'interesse al risparmio, a copertura costituzionale, perchè incoraggiato in tutte le sue forme anche attraverso la disciplina, il coordinamento e il controllo dell'esercizio del credito (art. 47 Cost.).

5.3 Le argomentazioni sinora svolte rinvengono decisivo conforto anche nel riferimento al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, e successive integrazioni e modifiche (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche") il cui contenuto attesta come le azioni di regresso vengano opportunamente reputate dal legislatore utili strumenti a tutela di rilevanti interessi per la collettività, anche in prevenzione di illegittime condotte delle pubbliche amministrazioni essendo dette amministrazioni obbligate al recupero delle somme corrisposte a titolo risarcitorio verso i propri dirigenti responsabili di illegittima assunzione o di illegittimo impiego di lavoratori.
La delibera emessa in ispregio ai precetti indicati dalla disposizione mentovata è, pertanto, radicalmente nulla in quanto emessa contra legem.

6. Per le argomentazioni sinora esposte, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione che, statuendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione, applicherà il seguente principio di diritto:

"L'azione di regresso prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9 ha natura di obbligazione accessoria ex lege, come tale, inderogabile stante la natura degli interessi alla trasparenza del mercato finanziario ed alla tutela del risparmio a copertura costituzionale. Ne consegue che la delibera con cui le società e gli enti che operano nel mercato finanziario rinunziano all'azione di regresso, disciplinata dalla suddetta norma imperativa, è nulla per violazione dell'art. 1418 c.c.".

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2016.


 

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